Consigli dall’esperto: mai pensato di adottare un vero nido di vespe?

Difficile negare come nella maggior parte delle circostanze, Internet possa rappresentare l’effettiva via d’accesso ad una serie di conoscenze che potrebbero risultare spaventose, inutili, sconcertanti o semplicemente… Innaturali. Ogni potenziale via d’accesso sperimentale alla sapienza, tuttavia, tende a dimostrare nella maggior parte delle circostanze la propria validità nel tempo; e guadagnarsi, presto o tardi, il merito opportuno al fine di essere tramandata. Jesse_Etk, alias Robybar, alias Wasp Journals è il giovane entomologo di Catanzaro che racconta, con orgoglio e dovizia dei particolari, gli entusiasmanti risultati ottenuti mediante l’utilizzo continuativo nel tempo di un particolare Metodo acquisito da parecchi anni, mediante discussione su di un forum Web coi sui colleghi e amici americani. La stessa nazionalità del gruppo di utenti su Reddit (forse il vero erede Social degli antichi siti di confronto e discussione) che l’altro ieri chiedevano come mai le vespe fossero solite radunarsi nei mesi autunnali attorno alle antenne per le telecomunicazioni ed altre alte strutture costruite dall’uomo: “Oh, io posso aiutarvi: sapete, tengo le vespe. [Segue breve spiegazione dell’impiego da parte dell’imenottero striato di simili punti di riferimento al fine di trovare partner riproduttivi.].” Una di quelle affermazioni del tipo che, nella maggior parte delle circostanze, difficilmente potrebbe passare inosservate, soprattutto negli ambienti digitalizzati d’Oltreoceano, dove il concetto stesso di questo particolare insetto suscita immediate immagini memetiche di spietati persecutori della razza umana, pericolosi approssimativamente quanto il leggendario morso del koala trasformatasi in drop bear mannaro. Questo perché l’associazione inflazionata statunitense della vespa è con il gruppo informale di specie definite collettivamente yellowjacket, inclusive di una vasta varietà di appartenenti ai generi Vespula e Dolichovespula dal tipico comportamento invadente ed aggressivo, del tutto paragonabile alle nostrane V. germanica che fanno il nido sottoterra, responsabili della più alta percentuale di punture che subiamo nei contesti europei. “Tutt’altra storia” spiega Jesse con il consueto linguaggio accattivante e l’ottimo inglese “Rispetto alle amichevoli vespe del genere Polistes, più comunemente detto delle vespe cartonaie”.
Ape. Il problema resta quello, ovviamente: perché paragonato all’essenziale insetto sostenitore di una significativa parte dell’impollinamento terrestre, nonché produttore di uno degli alimenti più apprezzati sulle nostre tavole, ogni altro insetto eusociale appare indesiderabile o superfluo, quando non addirittura dannoso in forza del suo acuminato e sempre pronto pungiglione, più che abile nell’impresa di riuscire a perforare da parte a parte la pelle umana. Laddove la cognizione generica di “vespa” può tranquillamente essere avvicinata ad una pluralità di funzioni utili, prima tra tutte la predazione di una significativa quantità d’insetti, e il conseguente mantenimento dell’equilibrio nei delicati ecosistemi della Terra. Cui si aggiunge la mansione d’impollinatrici primarie per piante come l’euforbia, l’edera e svariate tipologie d’ombrellifere, normalmente disdegnate dalle più apprezzate primedonne mellifere dei cartoon a tema animale. E ciò senza considerare la primaria ragione, tra tutte, per cui potrebbe risultare opportuno mettersi ad allevar le vespe: il loro essere così dannatamente, diabolicamente, straordinariamente Interessanti…

La costruzione del nido della vespa cartonaia è uno dei processi più affascinanti in natura, con la precisa replica delle cellette una di seguito all’altra, gradualmente riempite dalle capsule delle uova. Tra le idee più interessanti, quella di fornire materia prima variopinta tra la cellulosa messa a disposizione degli insetti, così da poter disporre successivamente alla loro partenza (o dipartita) di una piccola opera d’arte multicolore.

L’effettiva spiegazione dell’approccio non-brevettato di Jesse (che potrebbe anche esserlo per l’assoluta funzionalità e mancanza di gesti superflui) viene quindi spiegato per filo e per segno nei suoi molti video esplicativi su YouTube presso il canale Wasp Journals, le trattazioni informali sui forum e la sopracitata lunga spiegazione facebookiana. Il tutto facendo seguito al breve disclaimer, senz’altro difficilmente trascurabile, in cui si sconsiglia tale impresa a chiunque abbia una storia pregressa di allergia al veleno delle vespe in famiglia, visto come la sopravvivenza debba necessariamente venire prima di qualsiasi hobby e passatempo, per quanto potenzialmente utile alla crescita intellettuale e l’approfondimento delle cose affascinanti di questo mondo. Perché allevare un nido di vespe senza riportare punture è senz’altro possibile, ma niente affatto garantito.
Il percorso inizia quindi con l’avventura in un campo, verso le prime ore del vespro, armati di pratico retino per la cattura d’insetti e la pazienza necessaria a procurarsi almeno un paio di fondatrici in cerca di nuovi siti da colonizzare, auspicabilmente del sesso opposto o che siano delle femmine precedentemente già fecondate. Questo perché nel genere Polistes, tutte le appartenenti al Cielo di Venere possiedono i requisiti necessari a diventare delle potenziali regine, previa l’accettazione da parte della comunità dei loro sudditi grazie all’emissione di un particolare tipo di feromoni. Tanto che nei nidi in cui dovesse verificarsi la dipartita della beneamata sovrana, sarà un’intera pluralità delle sue operaie ad assumersi l’incarico di continuare la riproduzione, sebbene ciò tenda a generare un certo grado di confusione ed il sostanziale fallimento del nido. Ecco perché nell’allestimento dell’habitat, Jesse consiglia di seguire con la massima attenzione il suo approccio, che consiste nell’impiego di un classico recipiente in plastica trasparente con i buchi per l’aria venduto nei negozi d’animali, capovolto in modo che il coperchio funzioni da base. Questo per due ragioni: primo, massimizzare la visibilità del nido dall’alto e secondo, poter intervenire all’interno agendo dal basso, in modo che le vespe tendano istintivamente a volare verso l’alto e la luce quando spaventate, rendendo così meno probabile la puntura o la fuga. All’interno dello spazio deputato si dovrà quindi creare un piccolo angolo riparato, mediante l’uso di cartone corrugato e potenzialmente qualche striscia di scotch per creare ruvidità. Molto utile, in tale recesso per la costruzione del nido, sarà poter disporre di un esempio della stagione precedente infilzato in posizione mediante l’uso di uno spillone; questo perché le vespe amano costruire dove altre prima di loro l’hanno già fatto. Sul fondo-coperchio del contenitore, quindi, troveranno posto le provviste necessarie agli insetti: una certa quantità di rami secchi e cartoncini, affinché la vespa cartonaia possa masticarli ed impiegarli per costruire la struttura da cui prende il nome. E naturalmente, una ciotola con l’acqua ed una certa quantità di miele, l’alimento perfetto per garantire la sopravvivenza di qualsiasi varietà d’insetto. Mano a mano che il nido crescerà nelle dimensioni e le uova in ciascuna celletta inizieranno a schiudersi, sarà tuttavia necessario iniziare ad introdurre una certa quantità di prede vive, come vermi da pesca (cagnotti o bigattini) piuttosto che insetti a guscio molle catturati nel proprio ambiente domestico o giardino (mosche, bruchi, falene). La varietà della dieta è importantissima, senza contare l’interessante scoperta di Jesse di come le larve possano assumere colori diversi, a seconda di ciò che consumano! Chi l’avrebbe mai detto? Crescendo fino a un massimo di 20-30 esemplari tra regina, maschi ed operaie, con il procedere dei mesi il nido potrà raggiungere la prosperità ed un giorno, diventare abbastanza grande da dover pensare di separarsi. Ed è questo il momento in cui l’allevatore responsabile, verso la fine del suo percorso scientifico, dovrà trarre un gran respiro e collocare la sua scatola sul davanzale. Per aprire finalmente quel coperchio l’ultima volta, affinché la nuova generazione di costruttrici di sogni possa andare via, nel mondo, a fare ciò che gli riesce meglio: ronzare e andare ad accoppiarsi attorno ai pali della luce e i ripetitori dei telefoni cellulari.

Vespe=cattiveria, ne siamo sicuri? Uno dei più importanti messaggi veicolati da Jesse tramite i suoi canali Web è l’assoluta improprietà di tale associazione. Come in questa circostanza, in cui nutre tranquillamente insetti non domestici tramite una goccia di miele attaccata alla punta del suo stesso dito.

Chi ha mai detto, dunque, che ogni cosa piccola debba per forza esserci avversa, causa l’imprescindibile invida verso le nostre ricchezze tecnologiche, il benessere ed il predominio incontrastato della razza umana nei confronti di ogni altro essere sulla Terra… Laddove insetti come questi, guidati da un complesso sistema istintivo ma anche la capacità di elaborare collettivamente associazioni e semplici idee, sono pronti a cogliere le opportunità che gli vengono date, traendo il massimo persino da una situazione innaturale all’interno di un contenitore trasparente. Per questo appaiono del tutto soggettive, ed assai poco scientifiche dal punto di vista dell’inclinazione, tutte le obiezioni portate a margine di questa serie di procedure, che stigmatizzano la “cattura e stravolgimento” di quella che dovrebbe essere la vita ideale di una vespa.
Dopo tutto è assolutamente risaputo come in natura, soltanto una minima percentuale dei molti nidi che vengono costruiti da tali insetti riescono effettivamente a raggiungere la stabilità e la sopravvivenza. Ed ogni assistenza ricevuta dai un custode senziente in tale compito, non potrà certo stravolgere il naturale funzionamento dell’ecosistema. A meno che s’iniziasse a mettere il tutto in pratica su larghissima scala. Ed io non credo che nemmeno 10 persone, tra quelle che hanno letto per intero questo articolo, inizieranno da un giorno all’altro a mettersi fisicamente ad allevare le vespe. Giusto?

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