L’irreale proliferazione del verme che ramifica se stesso per procreare

Era l’estate del 1879 quando a bordo della nave della marina inglese HMS Challenger, a largo dell’arcipelago delle Filippine, il biologo marino scozzese William Carmichael McIntosh lanciò una forbita esclamazione all’indirizzo della bacinella d’acqua portata sul ponte, contenente gli ultimi esemplari a campione raccolti dalla squadra di marinai assegnata alle sue ricerche in materia d’invertebrati. Questo perché sotto la luce splendente di un sole tropicale, in mezzo a una sottile nebbiolina costituita da krill, minuscole meduse e larve d’organismi più grandi, continuava a contorcersi qualcosa d’assolutamente inusitato. Quello che gli era parso essere, di primo acchito, un groviglio di vermi policheti attorcigliati tra loro, in maniera ragionevolmente analoga alla gestalt quasi-demoniaca di un rat king, adesso rivelava il suo segreto in tutta l’eccezionale assurdità delle circostanze: una sola testa, molte code, molte code che ne avevano a loro volta delle altre. Ed occhi distribuiti liberalmente lungo l’estendersi di un tale corpo, costellato di setole del tutto simili alle zampe di un millepiedi. “Per Giove…” disse nuovamente lo studioso “Questi sono rami, anzi, stoloni!” Il primo ufficiale, che nel frattempo si era avvicinato per comprendere le ragioni del capannello di persone, lo guardò a questo punto perplesso, non comprendendo il termine botanico. “Intendo un ramo naturale che si dirama dalla gemma principale, generando a sua volta ulteriori diramazioni della pianta. Il verme sarebbe la pianta. E noi, da oggi, gli agricoltori.” Ma il singolo esemplare catalogato per la prima volta con il nome descrittivo di Syllis ramosa, convenientemente inserito in una delle più diversificate e variegate famiglie di anellidi sottomarini, non sarebbe sopravvissuto al lungo viaggio di ritorno verso l’Occidente, diventando per il mondo accademico una creatura leggendaria alla stregua dell’unicorno, la manticora o la coccatrice. Almeno finché nel 2006, presso la laguna di Darwin in territorio australiano, l’esimio collega ed erede professionale Christopher Glasby non spezzò a metà con fare indagatore una spugna porifera del genere Petrosia, facendo un’eccezionale scoperta. Una miriade di corpi, incanalati nelle cavità di filtrazione dell’acqua possedute dall’organismo sessile costellato di spicole calcaree, tutti riconducibili allo stesso punto di partenza o radice. Dal quale un grosso paio d’occhi tondi lo guardavano con fare indagatore, quasi sfidandolo a trovargli un nome. “Ti chiamerò… Ramisyllis multicaudata. Ma sappiamo molto bene entrambi, quello che sei davvero!”
Un verme polichete per sua generica natura non è in effetti altro che una creatura tubolare e longilinea tra i 3 mm ed i 14 cm che vive sul fondale di molti mari della Terra, in cui la ripetizione del singolo modulo permetterebbe, in linea di principio a ciascun singolo segmento di avere un cuore, uno stomaco, una bocca ed un cervello. Il che tende a verificarsi nella maggior parte dei casi quando le condizioni e la temperatura risultano essere perfettamente ideali, lanciando un segnale universale che conduce chiaramente alla riproduzione. Ora se c’è una sola cosa che sia possibile affermare su tale classe di creature, ed in modo particolare per quanto concerne la famiglia tassonomica dei Syllidae, è che essi possiedono una vasta quantità di metodi per moltiplicare se stessi, da quello relativamente semplice dell’epigamia o schizogamia, consistente in una metamorfosi delle proprie chete o setole mentre il corpo si appiattisce, acquisendo in tal modo le caratteristiche necessarie per iniziare a nuotare e sollevarsi quindi nella colonna sottomarina. Al fine, molto chiaramente, di trovare un proprio simile con cui convolare a gioiosa congiunzione dei reciproci gameti (sperma, ovuli o entrambi) per permettere a ciascuno di mettere al mondo una nutrita quanto microscopica prole. Ma esiste anche il caso, e si tratta di un’eventualità piuttosto frequente, in cui specifiche varietà di questa categoria abbiano implementato, nel corso della loro evoluzione, un sistema per prevenire il rischio di una simile manovra, capace di renderli dei bersagli particolarmente invitanti per la fame insaziabile dei pesci ed altri predatori, tra cui l’uomo stesso. Il che sembrerebbe aver dato i natali, attraverso i lunghi secoli e millenni, alla particolare trasformazione nota come epitochia, consistente nel suddividere se stessi. Ed inviare parti analoghe di tale formula vincente a fare ciò da cui il corpo centrale, per ovvie ragioni, preferirebbe mantenersi a una ragionevole distanza di sicurezza…

Il verme ramificato costituisce l’unico esempio noto di una creatura vivente capace di moltiplicarsi in maniera non lineare, ovvero generando diramazioni multiple a partire da un solo corpo di partenza. Qualcosa che potrebbe fare comodo anche a noi esseri umani, in determinate circostanze.

Ciascuna porzione del verme segmentato avviata a compiere la sua importante missione prende quindi il nome già citato di stolone, mano a mano che si stacca in modo sequenziale dalla parte più lunga del suo creatore. Si tratta di un processo noto già da lungo tempo agli umani, come esemplificato dall’usanza della tradizione polinesiana del Palolo, brulicante insalata creata in occasioni conviviali con gli stoloni dei vermi del Pacifico Meridionale, tra cui le specie Palolo siciliensis, P. viridis ed Eunice viridis. Ben sapendo come la sopravvivenza dei loro corpi principali, a molte centinaia se non migliaia di metri di profondità, avrebbe largamente garantito la sostenibilità di una simile pesca miracolosa. L’intera famiglia Syllidae, suddivisa in 71 generi di cui ben 36 si trovano nel solo Mar Mediterraneo, costituisce quindi una vista relativamente frequente presso determinate coste battute dalle correnti, dove la principale strategia capace di garantire un ragionevole successo della riproduzione viene offerta dalla quantità elevatissima degli esemplari che vi partecipano, riuscendo a sfuggire tra le maglie di tutti coloro che vorrebbero trasformarli in un elemento primario della loro prima colazione. Benché alcuni tra di loro posseggano anche funzionali strategie alternative, come l’Odontosyllis enopla delle isole Bermuda capace di emanare una luce brillante in grado di spaventare i suoi nemici, o ancora il verme barbuto di fuoco alias Hermodice carunculata, famoso presso le Isole Vergini per la sua capacità di nutrirsi del corallo urticante Millepora, incorporando nel suo stesso organismo il principio attivo del suo veleno. Un caso ad ogni modo piuttosto particolare, per una categoria di creature onnivore ma per lo più detritivore, abituate a setacciare il sostrato sabbioso mediante l’uso del proprio singolo, grande dente centrale. Mentre molto diverso risulta essere il caso delle due varietà citate in apertura, in grado di creare stoloni con reciproca disposizione a forma di lettera Y, la cui forma simile a quella di un florido rampicante non permetterebbe la deambulazione efficiente lungo tratti estesi di fondale marino. E per i quali si sospetta, sebbene in assenza di approfonditi e puntuali studi sull’argomento, una misteriosa capacità di filtrare i microrganismi dall’acqua stessa come fatto dalla spugna stessa che in almeno un caso sappiamo essere stata impiegata alla stregua di un nascondiglio. Il che spiegherebbe anche la particolare rarità di tali avvistamenti, vista la natura stanziale di questi vermi in particolari regioni oceaniche, laddove l’innata capacità di adattamento degli altri membri della stessa famiglia gli ha concesso in epoca moderna di distribuirsi egualmente da un lato all’altro del pianeta, principalmente grazie all’incorporamento accidentale nei serbatoi d’acqua marina usata per stabilizzare le grandi navi. Tale da rendere, ad esempio, la specie orientale della Megasyllis nipponica una visione particolarmente frequente sulle coste californiane ed in modo particolare nella baia di San Francisco, dove è giunto a costituire una visione piuttosto frequente all’apice dei mesi estivi. Non che eventualità simili siano ignote all’altro lato dello stesso continente, come desumibile dal racconto dello stesso Cristoforo Colombo, che scrisse di aver avvistato un mare di non meglio identificati stoloni bioluminescenti dell’Atlantico all’epoca del suo primo approdo nella baia di Fernandez, presso le isole Bahamas. Senz’altro un’ulteriore ragione di meraviglia, da inserire nel nutrito novero di quel misterioso e incomprensibile continente. Ma il desiderio di portare notizie economicamente vantaggiose alla regina di Castiglia, come sappiamo molto bene, avrebbe ben presto preso il sopravvento su qualsiasi presupposto di ricerca scientifica in quanto tale. Una linea di ragionamento destinata a durare nel tempo almeno fino all’introduzione del metodo scientifico propriamente detto, oltre a strumenti d’osservazione e studio maggiormente validi, capaci di permettere lo studio dei variopinti e contorti vermi policheti in tutta la loro segreta, insospettabile magnificenza.

Il fatto di essere “soltanto” uno stolone non priva le parti natanti del verme di un fondamentale istinto materno, come esemplificato da questo esemplare che abbraccia la propria sacca delle uova, nel tentativo di proteggerla da occhi eccessivamente indiscreti.

Creature inusitate che tendono a specializzarsi, perseguendo con estrema efficacia il ruolo per cui il processo di selezione naturale è riuscito tanto laboriosamente a perfezionarle. Poiché non è difficile, nel nostro caso, risultare particolarmente fieri della nostra straordinaria intelligenza e le meraviglie tecnologiche che ci hanno permesso, attraverso i secoli, a raggiungere il predominio assoluto della nostra inconsapevole Madre Terra. Ma neppure noi possiamo dire con assoluta certezza che saremo ancora qui tra mille, diecimila, un milione di anni. O per lo meno che saremo ancora gli stessi, al trascorrere di un intervallo tanto distante di date. Traguardo non soltanto possibile, ma già efficientemente raggiunto da colui che può produrre molte copie di se stesso, semplicemente allungandosi e poi dividendosi come il rudimentale personaggio ludico del videogame Snake. E chi può negare, alla fine, che possa esserci un qualcosa di assolutamente imprescindibile, in tutti quegli approcci alla prosperità che ci sembrano così evidentemente funzionali? Quasi come se la nostra stessa mente, così elevata, tanto orgogliosa e straordinaria, fosse la chiara risultanza della stessa serie di processi ininterrotti. Dalla testa originale del grande verme, fino alle plurime declinazioni del suo pigidio.

Il Myrianida pachycera, con il suo dorso variopinto, costituisce uno dei policheti più immediatamente riconoscibili presenti sulla costa degli Stati Uniti occidentali. Si tratta di un epitoche di tipo convenzionale, ovvero incapace di sviluppare alcun tipo di ramificazione.

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