Escursionista dello Utah sfugge agli artigli della madre-puma inferocita

Recarsi a passeggiare nella natura è un hobby capace di regalare notevoli soddisfazioni videografiche e ciò riesce ad essere vero, nello stesso modo, anche quando ci si ritrova a proprio malgrado nel mezzo di un documentario del National Geographic. Intitolato nel caso specifico, per suprema sfortuna del nostro protagonista umano, “Come comportarsi quando il secondo felino più grande del Nuovo Mondo inizia ad inseguirti con la probabile intenzione di aggredirti” continuando quindi ad arretrare, investendo la massima attenzione, per un periodo approssimativo di 5 minuti. Non tantissimi, in termini generali eppure decisamente abbastanza, mentre ci si trova a ricercare una possibile via di fuga da quello che potremmo definire, per analogia col nome comune delle Americhe, il (Re) Leone di Montagna (Puma concolor). O per meglio dire la regina, volendo approfondire in maniera più specifica le esatte circostanze dell’ultimo, incredibile video virale proveniente dalle pagine incorporee di Instagram.
Creazione chiaramente accidentale di Kyle Burgess (alias Kunkyle e recentemente diventato celebre col nome di cougar guy) amante delle lunghe passeggiate tra i territori selvaggi e affascinanti del Wasatch Range, i monti situati al confine tra Utah e Idaho ed almeno a partire da oggi, un probabile portatore di pistola nel corso delle sue esplorazioni tra gli alberi e le siepi piene di pericoli non visti. È lui stesso a maledire, d’altra parte, la mancanza di un’arma da fuoco in uno dei momenti salienti del sopracitato incontro, in cui l’animale sempre più nervoso continua a pedinarlo a pochi metri di distanza, effettuando ripetuti accenni d’aggressione mediante balzo in avanti e con le zampe sollevate, mimando il gesto utilizzato normalmente da questi carnivori da 53-100 Kg per ghermire la preda, prima di morderla fatalmente all’altezza del collo. Un destino già toccato, nella cronistoria registrata a partire dal secolo scorso, ad un totale di 27 persone nei 125 attacchi registrati dalle cronache statunitensi e canadesi. Per un totale di casistiche relativamente basso, rispetto per esempio a quello degli orsi o delle vespe, proprio per la bassa probabilità d’incontrare questi schivi e almeno normalmente, cauti felini. Benché l’importanza della statistica, per sua inerente natura, decada nel momento in cui è tuo stesso destino trovarsi in quella condizione, quel preciso momento, l’effettivo rischio potenzialmente letale delle circostanze.
La scena già diventata celebre su scala internazionale si svolge, dunque, verso l’inizio della scorsa settimana e lungo il sentiero dalla forma ad anello del Rock Canyon, in prossimità dell’area metropolitana di Provo-Orem, non troppo lontano dalle propaggini meridionali di Salt Lake City. In quella cosiddetta “interfaccia uomo-natura” diventata progressivamente celebre, nelle ultime decadi, come ambiente abitativo dalla conclamata bellezza ma anche il teatro ideale di una serie d’incontri alquanto problematici. Di cui questa non è che l’ultima, potenzialmente drammatica dimostrazione digitale. Un episodio particolarmente arduo da dimenticare, perché come dice una famosa osservazione dei dintorni nord-americani: “Se hai visto di recente un cervo, il puma non può essere troppo lontano.” Ed sarebbe assai difficile, a questo punto, volgere gli occhi altrove nei confronti del rischio ringhiante in arrivo…

Gli incontri con i puma lungo i sentieri all’interno di un bosco o una foresta sono spesso i più pericolosi, proprio perché l’animale può spuntare da dietro un’angolo all’improvviso. Un’eventualità felina superata per pericolosità, nell’intero continente americano, soltanto dall’inopportuna visita del giaguaro, coabitante di taluni territori siti nel distante meridione.

Per assumere un’inclinazione analitica in relazione alla straordinaria sequenza, occorre a questo punto risalire alle precise circostanze in cui ha trovato la realizzazione, motivata da quel tipo di pretesto che riceve, nella maggior parte dei casi, un certo numero di (giustificate?) obiezioni. Tutto inizia infatti con Kyle Burgess che avvista, più in avanti sul sentiero, alcune piccole forme feline, che ha poi ammesso nelle molte interviste rilasciate dall’orribile esperienza di aver scambiato momentaneamente per i cuccioli di una lince canadese. Lunga e travagliata è infatti questa storia, delle due specie animali tanto spesso scambiate tra di loro nonostante la differenza delle dimensioni sia notevole, con soli 6,4-18 Kg per la Lynx rufus, largamente insufficienti a classificarla come animale pericoloso per l’uomo. E chi non ricorda, a tal proposito, i numerosi esempi di gatti scambiati per indefinite “pantere nere” nella foga del momento, anche presso l’estendersi dell’intero territorio italiano, normalmente privo di simili terrori della natura. Ciò che avviene poco dopo, dato l’eccessivo avvicinarsi dell’improvvisato etologo per audience internettiana, è l’improvvisa quanto problematica scoperta della verità. Con l’effettiva, imponente ed arrabbiata madre che compare sul sentiero, ringhiando e soffiando tutta la sua protettiva ira all’indirizzo di una potenziale minaccia per la beneamata prole. Ora, il nostro Kunkyle avrebbe a questo punto potuto reagire in modi parecchio diversi, molti dei quali conduttivi verso l’effettiva realizzazione di conseguenze piuttosto gravi. Riuscendo invece a mantenersi calmo, il giovane si è dimostrato in grado di scampare il disastro. Mentre un passo alla volta, continuava a mantenere lo sguardo all’indirizzo del predatore, senza mai voltarsi e neanche chinarsi, per raccogliere armi improvvisate, visto come ogni qualvolta faceva l’accenno ad abbassare la sua altezza complessiva, il formidabile felino diventava progressivamente più aggressivo. Almeno finché dopo il trascorrere di un tempo sufficientemente lungo, nonché dato il concretizzarsi di un distanziamento eccessivo dai cuccioli lasciati soli sul sentiero, per l’umano è stato possibile afferrare un sasso, scagliandolo all’indirizzo della madre, riuscendo finalmente a spaventarla e rimandarla lì da dove era venuta.
Postato un po’ ovunque incluso un grande numero di testate giornalistiche, il video dell’escursionista dello Utah è stato quindi oggetto di un’approfondita serie di analisi, miranti a trarre un qualche tipo di lezione o insegnamento dalla sua avventura fortunatamente rimasta priva di conseguenze. Verso l’ottenimento di un consenso secondo cui, in effetti, le linee comportamentali seguite sono state ottime, visto come una precipitosa fuga, o un atteggiamento eccessivamente aggressivo, avrebbero potuto provocare l’attacco del puma. In molti hanno fatto notare, ad ogni modo, come la madre fosse preoccupata più che altro dal proteggere i cuccioli, piuttosto che uccidere o ferire la percepita minaccia, proprio per il tempo concesso a quest’ultima nell’arretrare e mettersi al sicuro. Mentre un puma realmente affamato, e intenzionato ad uccidere, non viene generalmente scorto prima di pochi attimi dall’aggressione. Una situazione nella quale, basandoci sulla maggior parte dei casi registrati, un individuo adulto e in buona forma fisica può riuscire spesso ad avere salva la vita, benché non senza conseguenze anche piuttosto gravi per se stesso e/o l’animale.

Travis Kauffman è il jogger (corridore) diventato famoso a febbraio dell’anno scorso, suo malgrado, per un incontro particolarmente ravvicinato con un puma, fermamente intenzionato a sbranarlo. Eventualità da scampò miracolosamente lottando con tutte le sue forze e, posto dinnanzi all’ultima e più terribile delle prove, riuscendo miracolosamente a soffocare a mani nude la belva feroce.

Nel glorificare in modo estremo l’ottima e decisamente fortunata risoluzione della faccenda, ad ogni modo, è inevitabile che un’ulteriore messaggio finisca per andare in secondo piano. E con ciò mi riferisco all’istinto mediatico contemporaneo, che porta l’utente di Instagram a ricercare sempre l’occasione in qualche modo capace di catturare l’opinione pubblica, fino al punto di avvicinarsi per girare un video a quelli che sono palesemente i figli piccoli di un animale carnivoro nel bel mezzo del suo elemento, la foresta. E considerate a tal proposito, per inciso, come anche l’incontro originariamente preventivato con l’inesistente madre-lince avrebbe potuto dimostrarsi alquanto ansiogeno e preoccupante. Senza neppure entrar nel merito dello spavento, dovuto ad una condizione di disturbo fuori dal contesto, riportato in ogni caso da parte dei cuccioli stessi.
Non è facile trattenere, da abitanti di contesti per lo più urbani come noi siamo, il legittimo interrogativo sul perché recarsi a passeggiare proprio presso un luogo potenzialmente occupato dai puma. Benché occorra considerare come la natura territoriale dei felini li porti, all’aumento esponenziale della loro popolazione, ad occupare zone geografiche sempre più vaste. E lo stesso si può dire, come sappiamo molto bene, per l’uomo…

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