Il timbro elettrico di “Africa” suonata usando il sacro fulmine di Zeus

Una casetta bianca su due piani, nella placida periferia della città. Varcammo quella soglia con tutto l’entusiasmo di chi da l’inizio ad una nuova vita, giusto mentre l’impresa dei traslochi terminava di disporre i mobili secondo lo schema precedentemente fornito. Guardai lei con espressione lieta: l’affetto nei suoi occhi, ogni problema, ogni dubbio rimasto a Seattle, oltre l’uscio di un’esistenza ormai quasi dimenticata. Tra queste mura, speravamo, avremmo finalmente trovato la felicità. Trascorso un giorno intenso ad aprire e svuotare scatoloni, rimandando al giorno successivo il giro per salutare i vicini, stanchi ed asociali ma indubbiamente soddisfatti, ci sdraiammo finalmente nella grande camera da letto con la finestra sul giardino. E giusto mentre stavo per chiudere gli occhi, cominciò. Dapprima un tenue lucore, per l’effetto della lampada posta sul portico dall’altra parte della staccionata. Subito seguito da quel rumore, assai difficile da tradurre in parole; come un miliardo di mosche, liberato all’improvviso da una gabbia sospesa tra l’Inferno e il Paradiso; come il canto di un gallo elettrico, sognato da un androide all’ora dello spuntino di mezzanotte. Ma le proporzioni del problema diventarono finalmente, davvero chiare nel momento in cui l’albero azzurrino prese a fare capolino oltre la linea del davanzale, mentre il grido modulato dei dannati saliva e scendeva di tono: il concerto aveva avuto inizio e non c’era niente, a meno di gettarci nelle fiamme di Lucifero in persona, che potessimo riuscire a fare per riuscire a fermarlo. Guardai mia moglie, il cui volto lampeggiava come la sirena della polizia in una notte di Venere, pianeta privo di satelliti o lune. Le sue labbra si muovevano leggermente come in una sorta di trance, pronunciando in modo inudibile: “I bless the rains down in Africa… The wild dogs cry out in the night…” I tamburi battevano sulla distanza, probabile traccia digitale aggiunta al suono orribile dell’elettricità. Una cosa, in quel saliente attimo, fu chiara oltre il benché minimo dubbio: di notti come queste, ce ne sarebbero state MOLTE altre…
C’è una storia certamente, nell’evoluzione progressiva del celebre canale YouTube di Franzoli Electronics, il cui campo d’interesse consiste nel produrre cover elettroniche di vari capolavori della musica Pop, Classica e Ludica dei nostri giorni. Passato repentinamente dalla produzione nella tenebra di un apparente laboratorio o scantinato sotterraneo al palcoscenico erboso del suo giardino, creando un’interfaccia polifonica notevole con la convivenza convenzionale del buon vicinato. Una settimana, due settimane, 1 mese fa, 2 mesi fa… Ad ogni occasione, completato il sequencing mediante software di sua specifica invenzione, dopo l’ora del tramonto a immettere le note di quanto richiesto dal suo pubblico di Internet. Dentro il computer che comanda, da una rispettosa distanza di sicurezza, il più notevole, terrificante, pericoloso strumento musicale della Terra. Avete una chiara idea, a tal proposito, di quanto sia potente un MILIONE di watt? A quante migliaia di lampade a LED brevemente accese, a quante auto elettriche parzialmente ricaricate, a quanti pannelli solari possa corrispondere? Perché nel mondo dell’elettricità, un conto è la potenza e tutt’altra storia la durata. Ma esiste un metodo, magnifico e perfetto, per scambiare la prima con la seconda, “trasformandola”, letteralmente, nella sublime altresì perfetta realizzazione della potenza senza compromessi di sorta. Naturalmente un trasformatore, al giorno d’oggi, è un oggetto semplice, sicuro e razionale, costituito da una scatola di plastica con un pezzo di ferro all’interno, che agisce come punto di raccordo per l’oscillazione elettrica del flusso generato all’interno delle pareti di casa. Ma non fu sempre così e un uomo, tra tutti, risulta responsabile di aver lasciato entrare alla fine del XIX secolo, su una scala totalmente differente, quella possente luce oltre l’uscio della conoscenza pregressa umana. Quell’uomo era Nikola Tesla, il carismatico, misterioso, spregiudicato scienziato serbo-americano…

Nel suo tentativo di massimizzarne il potenziale, Tesla costruì la sua bobina più grande a Shoreham, New York. La torre di Wardenclyffe fu giudicata quindi un fallimento, ma il suo principio sopravvive al giorno d’oggi grazie al Tesla Coil del Museo della Scienza di Little Rock, in Arkansas, capace di generare fulmini lunghi fino a 18 metri.

Una bobina di Tesla per come la conosciamo attraverso letterali milioni di video sulle curiosità scientifiche, dimostrazioni extra-scolastiche, scene cinematografiche ed esperimenti da YouTube non è altro che la versione su scala minore, ma tecnologicamente del tutto comparabile, ai primi prototipi costruiti dal fornitore di quel nome all’interno del suo laboratorio di 33 South Fifth Avenue, a New York. Quando stanco di essere subordinato nel mondo accademico e imprenditoriale alla figura rinomata del suo eterno rivale Thomas Edison, lui che era stato ex-dipendente di quest’ultimo risolse di mostrare al mondo l’ineccepibile potenziale (in più di un senso) del tipo di corrente elettrica alternata che oggi energizza i nostri poderosi agglomerati urbani e non solo, con l’acronimo inglese di AC. E per farlo lavorò al concetto, all’epoca del tutto nuovo, di come si potesse accumulare e rilasciare tutto assieme una quantità superiore di elettricità, in quantità tale da poter varcare la naturale resistenza dell’aria come avveniva per le onde radio, raggiungendo remote destinazioni senza l’impiego di alcun tipo di cavo pre-esistente. Verso il risultato notevole di un nuovo tipo di bobina (Coil) laddove un filo attorcigliato di rame costituiva già la base di qualsiasi elemento finalizzato a manipolare il potenziale elettrico, se non che l’originale versione faceva affidamento su due grovigli indipendenti ciascuno dotato di un condensatore, il secondo collocato all’interno di un toroide attentamente isolato dal mondo esterno con olio minerale, e divisi tra di loro mediante l’uso di uno spinterometro ad aria. In altri termini, nient’altro che uno spazio vuoto dove oggi collochiamo il ferro del trasformatore, affinché soltanto una carica sufficientemente forte, avendo saturato la prima parte della bobina, potesse istantaneamente tracimare nella seconda, facendo poi ritorno a un ritmo parimenti impressionante. Creando in questo un ciclo oscillante, affine al dondolìo di un’altalena, capace d’incrementare ad ogni passaggio reiterato la potenza della scarica, conseguentemente liberata nell’approssimazione artificiale più ragionevolmente simile a una tempesta di fulmini nel cielo terrestre. Il tutto ottenendo, nell’idea dell’inventore, un campo elettrico idealmente in grado di saturare la stessa atmosfera del nostro pianeta, ponendo le basi di quello che egli definiva ambiziosamente il “Sistema Mondiale Senza Fili” almeno finché nel corso della sua lunga carriera d’inventore, proprio lui avrebbe scoperto come un conto è trasmettere il segnale di un’onda; tutt’altro, a conti fatti, poter godere a distanza della sua effettiva capacità d’induzione. Il fulmine, tuttavia era ormai fuori dalla bottiglia per così dire, ed innumerevoli spettacoli iniziarono ad essere incentrati sull’effetto scenografico del Tesla Coil; mentre lui stesso, con l’usuale predisposizione alla comunicazione d’effetto, andava in giro per le fiere a far percorrere il suo corpo da innocue quantità di corrente alternata, schiere di prestigiatori dimostravano la surreale dote di riuscire a sopravvivere alle ramificazioni elettriche di tali “impossibili” meccanismi.
Un gusto che per vie traverse sopravvive ancora, in performance come quelle di Franzoli Electronics effettuate mediante il sistema della Bobina Musicale o come viene chiamata in alternativa, zeusafono o thoramin dai due rispettivi Dei del fulmine, greco e norreno. Il cui funzionamento, a conti fatti, non è arduo da desumere: ogni oscillazione dopo tutto produce un suono, e per variare la frequenza di questa tipologia di trasformatore ad aria tutto ciò che occorre, per l’appunto, è variare la distanza del “ponte d’aria” (lo spinterometro) che il ponte elettrico dovrà varcare per riuscire a chiudere il circuito, cambiando conseguentemente l’intonazione. Niente che un attuatore computerizzato frutto del solito sistema Arduino (o equivalente) abbia difficoltà a realizzare, ponendo simili progetti pienamente nella giurisdizione degli hobbisti appassionati del variopinto mondo contemporaneo…

Il gruppo multiculturale statunitense degli Sky Fire Arts mette in scena da parecchi anni fantastiche danze marziali usando il principio sfolgorante del Tesla Coil. Notate, a tal proposito, la natura coprente e protettiva dei loro costumi, probabilmente anche dotati, nella maschera, di un vero e proprio respiratore.

Praticare l’arte della bobina non è d’altronde un passatempo sempre consigliabile ed adatto ad ogni occasione. Questo poiché il plasma liberato come emanazione dal toroide risulta chiaramente ed inerentemente carico di un potenziale sufficiente ad arrestare (o arrostire) il cuore umano, mentre come conseguenza del processo all’origine dei fulmini, viene liberato nell’atmosfera il gas diossido di azoto NO2, capace di trasformarsi in acido nitrico una volta inalato all’interno dei polmoni umani. Ma di questo, un vero appassionato come il nostro amico musicista appassionato dei Toto e innumerevoli altri artisti della musica contemporanea, non sembrerebbe aver alcuna intenzione di preoccuparsi.
Perché la passione, più di ogni altra cosa, è lo scudo di cui ha bisogno chi coltiva fino ai massimi livelli le più remote conseguenze delle sue idee. Ma persino quella, a volte, può rivelarsi deleteria. Nikola Tesla, esposto per anni ai vapori e scintille più terribili da questo lato del multiverso, morì all’età di 86 anni per trombosi coronarica, probabile complicazione dell’essere stato investito cinque anni prima da un taxi newyorchese. Evento a seguito del quale, come aveva sempre fatto nel corso della sua vita, si era sempre rifiutato categoricamente di vedere un dottore, rifugiandosi nella solitudine di una camera d’albergo, da cui dava da mangiare ai piccioni. A volte il fato ti colpisce da recessi trasversali e inaspettati. E tutto quello che puoi fare, a quel punto, è ascoltar la musica ed aprire la finestra. Facendo affidamento sull’arrivo di un’ultima rondine, o l’affetto impersonale dei tuoi amici alati, abitanti di un cielo ancor più elettrico di quanto mai, dal saldo suolo, avremmo potuto provare ad immaginare.

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