Il topo nato senza la pazienza di restare congelato

Ci sono individui che, piuttosto di sentire il peso della variabile miriade degli impegni quotidiani, danzano a una tale musica e in qualche proficua maniera, riescono a trarre giovamento da quel senso di essere “importanti” o “utili” a uno scopo superiore. Già, il ritmo. Un principio secondo cui, attraverso una delle più trasversali e rare leggi trasversali della fisica, la giusta vibrazione può riuscire a demolire le montagne. Così vibrano, costoro, e raggiungono uno stato che in qualche maniera definisce i limiti delle proficue circostanze. Senza più fermarsi, baffi coda e tutto il resto, fino all’ultimo dei loro giorni su questa Terra. O acqua che dir si voglia: vi siete mai chiesti, a tal proposito, cosa può permettere di dare un senso a quel sottile spazio, gelido e intangibile, che costituisce la barriera tra i due unici elementi che tendono ad accumularsi sul fondo? Non è solo, o necessariamente, quello stato concesso dall’alto di “esseri anfibi”. Poiché dove manca di assisterci la biologia, può giungere, talvolta, il supremo potere del desiderio.
Ciò hanno visto con i propri stessi occhi, e questo potrebbero riconfermare in modo enfatico, i due pescatori sul ghiaccio russi che, dopo aver scavato un profondo buco sull’involucro non-molto-trasparente di un non meglio definito specchio d’acqua, hanno visto a un tratto fuoriuscire la creatura non più lunga di 7-8 centimetri, più altrettanto per la coda. Ovverosia una palla, con un folto pelo, quattro zampe zig-zaganti, il naso lungo e arcuato come quello di un coboldo in cerca di… Qualcosa. L’unica cosa possibile, per chi possiede un’organismo che vive letteralmente al volgere dei singoli minuti, rischiando ogni giorno di morire se non mangia l’equivalente del proprio peso. Neomys fodiens, toporagno d’acqua eurasiatico, potremmo a questo punto definirlo, se soltanto stesse fermo quel momento necessario per scattargli la foto della patente. Non che abbia bisogno di nessun veicolo, al fine di raggiungere la meta. Perché tutto quello che succede nel corso della vita, dal suo punto di vista, avviene al rallentatore. Siamo onesti: questa è una creatura che può arrivare a contare, nel migliore dei casi, un massimo di tre anni (se non viene divorata prima da uno dei suoi molti predatori) e se in un tale periodo si prendesse anche il tempo necessario per andare in letargo, dormendo tutto il tempo, difficilmente avremmo basi logiche per definire la sua vita… Interessante. Ecco, quindi, la sua soluzione a un simile problema: restringere se stesso ed abbassare le sue aspettative di alimentazione, con il cervello e gli organi che in autunno, perdono almeno un terzo della loro massa complessiva. Nella vaga speranza che la Provvidenza dei topi ed altri piccoli mammiferi, in un frangente particolarmente lieto, gli offra l’occasione di provare il gusto e la felicità dell’abbondanza…

Il toporagno d’acqua possiede un pelo particolare che intrappola minuscole bollicine d’aria, permettendogli di tornare a galla con la minima fatica. Quindi, una volta ritornato nella sua tana, l’umidità viene immediatamente rilasciata ed assorbita dalla terra, prevenendo per lui il congelamento.

L’ampia proliferazione della succitata specie, facente parte della famiglia dei toporagni (Soricidae) permette di attestarne la presenza in un vastissimo areale che si estende dalla Spagna fino alla Corea, con le più ampie popolazioni in tutta l’Europa occidentale, inclusa l’Italia. Detto ciò, simili creature non costituiscono una vista frequente nonostante siano tutt’altro che rare, semplicemente in funzione della loro natura schiva, le piccole dimensioni ed il particolarissimo stile di vita. Che le porta a nutrirsi, in maniera pressoché costante, d’insetti, larve degli stessi, piccoli cobepodi e vermi, benché non disdegni l’occasionale seme di provenienza vegetale, all’interno di un territorio ripariale fieramente difeso dai sui simili lungo l’argine di un fiume o la riva di un lago. Apparirà evidente, a questo punto, che ci troviamo di fronte a una creatura sostanzialmente diversa dai comuni roditori, per cui le preferenze alimentari, benché vaste, non conducono praticamente mai alla difficile esistenza di un vero e proprio e predatore. E ogni toporagno non a caso, incluso quello d’acqua, è un fiero rappresentante dell’ordine degli eulipotifli (talvolta definiti, in maniera non del tutto corretta, insettivori) che include anche i ricci, le talpe, i solenodonti e le gimnure. Il che comporta alcuni significativi svantaggi, tra cui denti che non possono ricrescere, dopo il raggiungimento dell’età adulta. Ragione per cui il principale toporagno eurasiatico, come del resto i suoi simili, li vede caratterizzati da un deposito organico a base di ferro, il che ne colora le punte di un vistoso ed inquietante rosso sangue.
Raramente, d’altra parte, il colore in natura manca di portare un qualche tipo di messaggio a chi abbia la pazienza, e capacità di giungere a una giusta interpretazione. E se l’equazione primordiale di rosso=pericolo dovesse a voi sembrare inadeguata, a un predatore tanto piccolo e sostanzialmente inoffensivo, vi invito per un attimo a pensare al suo particolare nome di topo…Ragno. Il che conduce, per associazione logica, a una sola estrema conseguenza: il suo veleno. La miscela di peptidi contenuta nella saliva del toporagno può avere infatti un’effetto lievemente irritante per gli umani, benché il suo effetto su creature di molti ordini di grandezza inferiori risulti essere paralizzante, o persino letale. In questo crudele modo, la piccola palla di pelo riesce a catturare, o difendersi da esseri anche sensibilmente più grandi di lei. Non che l’espediente serva a molto, contro gli acuminati artigli di una civetta o le fauci fulminee di una volpe, mustelide, gatto o pesce predatore.

Catturare temporaneamente un toporagno per studiarlo, conoscerlo o per dargli da mangiare, non è certo un’impresa semplice. Sopratutto perché una leggenda popolare li vorrebbe tanto timidi, e schivi, da poter morire d’infarto al risuonare di un singolo tuono distante. Casistica evidentemente smentita, durante la breve esperienza scientifica di questo ragazzo americano.

Il toporagno, in natura, conduce un’esistenza solitaria e guardinga, diffidando da qualsiasi altro membro della sua specie, che non viene tollerato a meno di 50 metri dalla tana. L’unico momento in cui una tale regola viene temporaneamente allentata si verifica tra aprile e settembre, a seguito del raggiungimento della maturità riproduttiva che avviene verso gli 8 mesi di età. Al felice concludersi dell’incontro, quindi, la femmina può arrivare a partorire anche più di una cucciolata a stagione, composta da fino a 12 esemplari (la media è 6) temporaneamente del tutto sordi e ciechi. I primi timidi passi fuori dal nido saranno possibili dopo un periodo di appena 18 giorni, mentre al ventunesimo, già inizieranno a cacciare.
Sarà evidente, a questo punto, di come ogni problematica relativa alla conservazione della specie Neomys fodiens debba essere vista primariamente in potenza, benché esista almeno un singolo caso, della sottospecie spagnola niethammeri, che sembrerebbe presentare un qualche tipo di rischio d’estinzione. Questo perché creaturine tali, dal metabolismo tanto accelerato, risultano estremamente propense ad assorbire i pesticidi e gli altri veleni presenti nel suolo. Con conseguenze tristemente facili da immaginare.
Perciò quando siete in aperta campagna presso il corso di un ruscello, e all’improvviso scorgete la ragionevole approssimazione di un topo che balza fuori dall’acqua venendovi vicino, non pensate subito che il poverino stesse per annegare. Forse era soltanto una creatura indaffarata, intenta in quello che sa fare meglio: dilatare il tempo. Riuscendo a trasformare quei 36 mesi (a voler essere ottimisti) in una sceneggiatura che risulti degna di essere narrata. Forse non al cinema o teatro, ma…

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