Gli architetti di Londra si sfidano nella città di marzapane


Secondo la tradizione dalle origini incerte della casetta realizzata in materiale commestibile pepparkakor (biscotto aromatizzato con Zingiber officinale) il creativo è libero di esprimere il suo spirito natalizio nella maniera che gli riesce più spontanea. Non ci sono regole in merito all’aspetto, tipologia e ornamenti dell’edificio, che si presenterà spesso con l’aspetto di una baita di montagna, ma può anche rappresentare un palazzo, un granaio, un monumento… E secondo il gusto dell’estetica post-moderna, anche un’astronave di Guerre Stellari, la cabina spazio-temporale del Dr. Who, l’automobile di Ritorno al Futuro… Di pari passo, una simile evoluzione è stata sperimentata dal concetto basilare del “museo”. Un tempo lo spazio espositivo destinato a particolari reperti storici ed opere d’arte contemporanee, piuttosto che l’attuale luogo d’incontro/svago, spesso dotato di bar, lounge, libreria e sala per l’osservazione degli audio-visivi… Diamine in effetti, volendo seguire una particolare visione delle cose, non è neppure necessario che ci siano delle mura e un tetto chiaramente definite. Vedi il caso del Museo dell’Architettura di Londra, una definizione che nei casi in un cui viene direzionata a un qualcosa di diverso dall’universalmente rilevante Victoria & Albert del quartiere Brompton di Londra, ricade spesso su un’entità senza fissa dimora che potrebbe effettivamente essere definita come una semplice associazione culturale, se non fosse per la sua capacità di polarizzare, anno dopo anno, tutta l’attenzione dei principali studi di settore nella capitale di appartenenza, con nomi come Foster and Partners, FDP, Bell Phillips Architects, Capita etc. che partecipano annualmente ai loro eventi e conferenze, spesso capaci di attrarre grande attenzione mediatica su ciascuno dei temi trattati di volta in volta. Impresa particolarmente riuscita guarda caso proprio in corrispondenza del Natale scorso, quando per un’iniziativa di Melissa Woolford, fondatrice e direttrice del “museo”, si è scelto di far competere alcuni rappresentanti dei principali studi cittadini nella costruzione dell’iconico arredo commestibile particolarmente popolare nei paesi del Nord. Mentre oggi la sfida giunta ormai alla sua seconda edizione, e trasferita in un prestigioso locale in affitto nei pressi della stazione di South Kensington, sembra aver condotto a delle vette realizzative persino più elevate.
Il tutto, ovviamente, secondo regole e con presupposti chiaramente definiti: trattandosi infatti di un progetto finalizzato a far conoscere al grande pubblico di tutte le età alcune regole base dell’urbanistica, gli organizzatori avevano prima di tutto stilato, con l’aiuto dei loro sponsor dello studio Tibbalds, un piano generale che prevedeva la suddivisione del terreno dell’expo in una serie di zone dai nomi spiccatamente gastronomici, tra cui la città vecchia di Crumble Square (da un piatto inglese che può essere sia dolce che salato) e il distretto finanziario di Central Baking (to bake=cuocere in forno) oltre a un quartiere ecologico ed un’altro dedicato all’approvvigionamento energetico, presumibilmente per l’alta quantità di luci utilizzati nei vari edifici in gara. Con il risultato che l’insieme finale, pur mancando necessariamente di un certo grado di coesione, si è trasformato in una favolosa accozzaglia di virtuosismi archi-dolciari, utili a dimostrare, se non altro, le insospettate capacità d’innovazione culinaria che possono essere estrinsecate da chi normalmente lavora con i progetti e le opere in muratura. O forse, ipotesi altrettanto probabile, l’abbondanza di risorse di grandi entità operative come quelle fin qui citate, più che in grado di assumere temporaneamente dei mastri pasticceri soltanto per farsi aiutare nel trionfare sulla pubblica piazza, con un riscontro mediatico misurabile ed un’ottima, per quanto settorializzata pubblicità. “Lasciate che il bello sia vario” sembra così affermare nell’aere incorporeo, la voce inespressa del progetto in questa sua microscopica applicazione. Non è forse vero, del resto, che la stessa macroscopica città di Londra si configura ormai da diversi anni secondo un modulo espressivo del tutto similare? Con edifici splendidi se considerati come delle entità separate, notoriamente posizionati senza preoccuparsi eccessivamente di rispondere allo stesso modulo dell’estetica cittadina. O farsi parte dell’unicum di un progetto di definizione degli spazi continuativo. E così pure, la piccola città di marzapane…

Questo intrigante piccolo museo naturale, recante presumibilmente le iniziali AST* dello studio denominato Assorted Skills + Talents* si è classificato al quinto posto, a pari merito con l’opera di NBBJ.

Ne deriva una chiara dimostrazione, se vogliamo, da una breve analisi dei tre primi in classifica della valutazione recentemente portata a compimento, che non potrebbero essere più diversi tra di loro. Apre la carrellata, così come compare nel sito ufficiale, il castello fiabesco della Emrys Architects, che forse a causa della forma naturalmente assunta dalle meringhe usate per i pinnacoli delle torre finisce per assomigliare vagamente alla cattedrale russa di San Basilio, evocando l’immagine inaspettata di una commestibile (nonché deliziosa) Piazza Rossa. Subito seguìto dall’Università di Crumble London della Burwell Deakins, intrigante edificio vagamente neoclassico con tanto di cupola degna della scuola Rinascimentale italiana, il cui alto numero di finestre sovrapposte, suggestive di una scala non propriamente in linea con quella del castello, lasciano intuire un’abilità di assemblaggio del marzapane tutt’altro che trascurabile per chi dovrebbe teoricamente appartenere a una categoria professionale pienamente distinta. Possibile che ci sia, inaspettatamente, una sovrapposizione di skills? Per passare quindi al terzo classificato, qui abbiamo il “cinema magico” dello studio EPR, con tanto di pista di pattinaggio e mongolfiera di Babbo Natale, per fare un silenzioso giro con la fantasia al di sopra della città addormentata. Particolarmente interessante, in questo caso, risulta essere la gigantesca vetrata centrale realmente trasparente, presumibilmente creata con dello zucchero caramellato. Mentre dei punti aggiuntivi, sarei pronto a scommetterci, sono stati attribuiti per l’originalità. Non compare neppure nell’elenco dei primi quindici una delle mie opere preferite, l’avveniristica isola con una torre simile a una pietra dalle molte sfaccettature dello studio Zaha Hadid. Forse il suo stile ultramoderno, nonché vagamente astratto, non è stato visto come adeguato a quello che doveva pur sempre configurarsi come un rassicurante evento natalizio.
Le radici (ah!) di questa usanza della casetta di marzapane, del resto, vengono fatte risalire da alcuni narratori addirittura alla figura apocrifa del quarto re magio, un ulteriore “uomo saggio” d’Oriente (dopo tutto, anche i “tre” moschettieri contavano un membro addizionale del team) che si sarebbe smarrito durante il viaggio, per finire a trascorrere i suoi ultimi giorni guarda caso in Siria. Dove, diventato grande amico di un rabbino, che era solito far costruire ai suoi discepoli delle piccole strutture abitative commestibili, simboliche della città di Betlemme (il cui nome significa, per l’appunto, Casa del Pane) luogo in cui secondo la profezia della cometa stava per nascere il grande re degli ebrei. E fu allora che lui, aprendo lo scrigno che aveva portato dal suo misterioso paese per farne dono a Gesù, si accontentò di lasciarne piuttosto il contenuto a questa guida spirituale, che negli anni seppe farne buon uso. Contenitore al cui interno, piuttosto che inutili oro, incenso e mirra, si trovavano i semi di una pianta: lo zenzero officinale. Fu così che il rabbino scoprì, a distanza di tempo, come quest’ultima potesse essere usata per migliorare l’aroma e il gusto del pane. Facendo si, tra l’altro, che si conservasse più a lungo. Ma tutto ciò era e resta più che altro una leggenda. Mentre i primi dolci con forme particolari di marzapane storicamente attestati li possiamo trovare non prima del XVII secolo, quando nelle principali città mitteleuropee il sistema delle gilde aveva riservato la preparazione di un tale alimento ai soli fornai specializzati, che finivano così spesso per ritrovarsi ai vertici della cultura gastronomica delle loro intere città di appartenenza. Si trattava il più delle volte di proposte stagionali, riservate al mondo dei bambini, con soggetti per loro affascinanti come cavalieri, giocolieri, pistole, spade… Ed a partire dall’opera di catalogazione antologica dei fratelli Grimm, alle soglie del 1800, un soggetto particolarmente rilevante: la casa commestibile della strega di Hansel e Gretel. La quale alla fine, slegata dalla sua cupa leggenda di provenienza, riuscì a rappresentare più che altro un principio e un’idea.

La più grande città di marzapane resta ad ogni modo quella di Bergen, in Norvegia. Evento a cadenza annuale dalla storia notevolmente più antica, prevede la partecipazione di ampie fasce della popolazione locale, inclusi i bambini. Proprio per questo, pur essendo meno sofisticato della sua versione britannica, mostra un grado superiore di spontaneità.

Risulta ad oggi progressivamente più diffusa, secondo il pragmatismo dei tempi correnti, l’idea secondo cui il Natale dovrebbe essere un “periodo come gli altri”, in cui assolvere con enfasi al proprio dovere di cittadini consumatori. Acquistare, ridere, festeggiare, senza del resto allontanarsi mai eccessivamente dal proprio cellulare eternamente connesso, al fine di rispondere a esigenze urgenti del proprio profilo Facebook o gli scambi di SMS coi parenti lontani.
In quest’ottica, l’addobbo degli ambienti può diventare superfluo: a cosa dovrebbero servire alberi o presepi, quando il vero nesso resta il flusso virtuale delle informazioni, o quello pecuniario degli scambi commerciali? In termini meramente utilitarisitici, potremmo dire che creano il “mood”, alterando le aspettative ed inducendo, per tutt’altro che sottili vie psicologiche, il cliente a fare quello che deve. A partire da simili presupposti, per lo meno, la casetta di marzapane ha un vantaggio: se ci si stanca di vederla prima dell’arrivo della sacrosanta ricorrenza, si può sempre decidere di mangiarla. Forse è proprio per questo, che sta diventando progressivamente più rara.

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