Orologiaio ricostruisce la misteriosa macchina di Anticitera

La precisa percezione dello scorrere del tempo è uno dei più preziosi tesori che l’umanità possa aspirare a possedere e ciò è vero adesso, come un paio di migliaia di anni fa. Immaginate di essere un greco dell’epoca ellenistica, tra uno e due secoli prima della nascita di Cristo. E che qualcuno vi chieda, all’improvviso, quando saranno le prossime Olimpiadi. Rispondereste subito, giusto? Che cosa ci vuole, a tenere conto di un periodo di quattro anni? Già, che cosa ci vuole… Basta contare i giorni l’uno dopo l’altro, tracciando altrettanti segni su una parete sul retro del tempio, diciamo di Zeus. Fatta eccezione per il piccolo problema di che cosa accadrebbe, se soltanto un giorno il sacerdote mancasse l’appuntamento con tale sacro dovere. E questo senza neppure tenere conto del problema di quegli altri del tempio di Apollo, che notoriamente tengono il loro personale conto, il quale potrebbe risultare addirittura… Diverso. E adesso immaginate di essere, in quell’epoca remota, un uomo di scienza. Presso cui i potenti si recavano, ordinatamente, per conoscere la verità. Ora, potrebbe sembrare strano parlare di un tale concetto, in un’epoca in cui il metodo sperimentale era conosciuto solamente in maniera superficiale, attraverso alcuni degli scritti del grande Aristotele, che l’aveva impiegato in alcuni celebri frangenti. Ma non servono ulteriori 10 secoli di cultura per comprendere, commentare e interpretare l’Universo. Sopratutto non servono, per tradurre le proprie osservazioni tramite l’impiego della tecnologia. Basta girare la manovella di un astrolabio, seguendo con lo sguardo il moto delle sue lancette. E il più antico di tutti gli astrolabi giunti fino a noi, è molto più antico di quanto si potrebbe essere propensi a credere. Per quanto ne sappiamo, non è detto che sia stato il primo.
La scoperta risale al 1900 esatto, quando un gruppo di pescatori di spugne greci, tuffandosi a largo dell’isola di Anticitera (vedi titolo) si trovarono di fronte a un qualcosa di decisamente inaspettato: il relitto di una nave romana, con tanto di scheletri dei defunti, monete, gioielli, statue e un assortimento di altri oggetti preziosi. Si trattava, secondo una delle teorie più accreditate, di un carico di bottino sottratto dal regno del Ponto, che stava venendo riportato verso la capitale per celebrare il trionfo del generale Lucio Licinio Murena su re Mitridate VI. Compresa la palese importanza della scoperta, quindi, iniziarono subito a recuperare i reperti, non mancando poi di avvisare il museo nazionale di Atene, che immediatamente completò l’operazione e trasportò nel suo centro di studio ed analisi l’incredibile contenuto della nave. Per due anni interi, quindi, continuò il lavoro di restauro, mentre in un angolo del vasto repertorio restava, a prendere polvere, quella che sembrava in effetti essere una semplice roccia, recuperata per chissà quale motivo. Finché nel 1902, l’archeologo Valerios Stais non fece notare che c’erano tracce di legno semi-fossilizzato e un ingranaggio di bronzo dentro. “Impossibile!” Convennero istantaneamente i colleghi. “Qualcuno vuole prendersi gioco di noi. Come è possibile che attorno al 100 a.C, fosse stata costruita una macchina la cui complessità non avrebbe avuto pari nel mondo fino al 1400, 1500 del primo Rinascimento?” Rifiutandosi di accettare una simile assurda ipotesi, gli studiosi abbandonarono ogni proposito di approfondimento. Tuttavia, l’oggetto esisteva, mentre una spiegazione, no. A gettare nuova benzina sul fuoco della comprensione ci avrebbe perciò pensato l’archeologo Derek J. de Solla Price, soltanto nel 1951, quando stilò alcuni spunti di analisi, ma soprattutto 20 anni dopo, con l’invenzione della macchina ai raggi X. Perché fu allora che Price, assieme al tecnico Charalampos Karakalos, realizzarono uno schema preciso degli 82 frammenti in cui era stata suddivisa la macchina, iniziando a comprendere la sua vera, spropositata complessità.

L’originale macchina di Anticitera era racchiusa e sostenuta da una scocca di legno, che non avrebbe permesso di apprezzarne il funzionamento interno. Per questo, l’intenzione di Clickspring è quella di realizzare una copertura che può essere rimossa facilmente.

Oggi l’incredibile funzionamento della macchina di Anticitera rivive, soprattutto grazie all’ingegno di coloro che volendo comprenderla, ne costruiscono delle imitazioni pienamente funzionanti ed altrettanto valide allo scopo. Estremamente celebri restano quelle di Michael Wright, curatore del dipartimento d’ingegneria del Museo della Scienza di Londra, che per una significativa parte della sua vita si è applicato a comprendere come fosse stato possibile realizzare una simile meraviglia. Una menzione merita anche l’adattamento costruito da Andrew Carol nel 2010 mediante l’utilizzo delle costruzioni LEGO Technic, più volte fatto rimbalzare tra innumerevoli canali online. L’ultimo ad averci provato in ordine di tempo tuttavia, in questa estate del 2017, sarà ben presto l’orologiaio e maker di YouTube, alias Clickspring, che negli ultimi tempi per dare soddisfazione ai suoi utenti paganti del portale Patreon, sta letteralmente superando se stesso. Nel suo video programmatico del progetto, qui sopra riportato, in cui tra l’altro realizza i piloncini che dovranno, nella nuova versione a scopo didattico/divulgativo, tenere separati i diversi pannelli del meccanismo permettendone l’osservazione, già s’intuisce un’attenzione ai dettagli e soprattutto un desiderio di mostrare ogni passaggio del processo. Benché a scopo meramente pratico, almeno una parte di esso verrà effettuata attraverso l’impiego di strumenti e attrezzi moderni. La sua macchina di Anticitera, come quella originaria, sarà sostanzialmente un meccanismo in grado di mostrare e prevedere il movimento sempre uguale del Sole, della Luna e dei cinque pianeti del Sistema Solare noti ai greci, ovvero quelli osservabili senza l’uso di un telescopio. Mentre la ghiera esterna, anch’essa mossa tramite l’impiego della manovella, sincronizzava l’apparizione in cielo di ben 12 costellazioni.  Successivamente ai primi studi si scoprì inoltre come sul pannello posteriore della macchina fossero presenti ulteriori due quadranti, in grado di mostrare rispettivamente il passaggio del ciclo di 235 mesi sinodici (lunazioni) concepito dall’astronomo Metone di Atene nel 432 a.C, ed un periodo di esattamente quattro anni, secondo alcuni finalizzato al tracciamento della data dei Giochi Olimpici (benché le date non corrispondano esattamente). Il tutto con una precisione niente meno che inusitata.
Dagli schemi ricavati sulla base degli ingranaggi superstiti, è stato in effetti compreso come il moto di ciascun elemento fosse regolato grazie all’impiego di sistemi differenziali con rapporti simili a quelli di una scatola del cambio, riuscendo così a rappresentare adeguatamente la precessione degli equinozi. Grazie all’impiego della macchina, dunque, era possibile non soltanto conoscere la data esatta e le condizioni del cielo fino a una specifica ora, ma addirittura prevedere l’arrivo delle eclissi ed altri allineamenti anomali degli oggetti celesti. Il che, in una civiltà ancora in parte legata al culto dei fenomeni di origine divina e ai prodigi della natura, poteva costituire la base di un’intera nuova religione, o offrire un servizio utile ai sacerdoti di altre, più largamente diffuse.

Creare un ingranaggio con oltre 250 denti nel I secolo a.C. non era, ovviamente, un procedimento semplice. Il primo ostacolo da superare era quello di riuscire a disporre di strumentazione adeguata.

In uno dei primi video del progetto, Clickspring ipotizza come gli antichi avrebbero potuto disporre di lime sufficientemente resistenti da lavorare la lega impiegata per la costruzione degli ingranaggi. E nel farlo, già dimostra un processo notevolmente interessante: quello della carbocementazione, usata per contrastare l’usura dei metalli. Si tratta sostanzialmente di una serie di passaggi, mirati a far penetrare una certa quantità di carbonio all’interno di un manufatto, costituendo attorno ad un nucleo ferroso uno strato più resistente, chiamato scientificamente austenite. Tale artificio, non a caso, era impiegato anche per la creazione degli ingranaggi. Il creatore inizia creando del carbone, a partire da uno strato di cuoio che cuoce con fiamma intensa, poi polverizza e mescola con farina e sale creando la martensite (da materie prime, ci tiene a specificarlo, di cui avrebbero potuto disporre anche i greci). Quindi impiega questo impasto, umidificandolo, per creare una sorta di fodero o copertura, con cui ricopre le sue lime convenzionali ed alcune sbarre di ferro, da lui usate come controllo dell’esperimento. Racchiuso quindi ciascun pacchetto in un’ulteriore strato di argilla, per privarli d’aria, li sottopone a cottura in un forno ad alta temperatura, ottenendo che il carbonio contenuto nella polvere si trasferisca spontaneamente nel metallo. Tanto più esso viene lasciato nel fuoco, quindi, più spesso sarà lo strato esterno di austenite. Mentre l’oggetto all’interno, così trattato, diventerà notevolmente più resistente. Ora, possiamo realmente dire che un simile passaggio sia necessario, ad oggi, per poter creare una riproduzione della macchina di Anticitera? Sicuramente no. Ma costituisce un considerevole valore aggiunto del proposito d’ingegneria e ricerca di chi desideri affrontare un ambito tanto straordinariamente significativo e complesso.
In un famoso oggetto umoristico dell’area culturale anglosassone, la “pietra meteorologica” si trova fuori da un pub: se la pietra è bagnata, piove, se la pietra è ghiacciata, fa freddo, se la pietra non c’è, vuol dire che soffia il vento (ed è rotolata via). Tale visione dei fatti apparentemente goliardica, in realtà, offre un profondo spunto di riflessione. Da cosa nasce, in effetti, il pensiero artificiale? Dal sistema dei transistor e condensatori, la scheda madre, il processore? O piuttosto la mente umana, che interfacciandosi con simili cose, giustifica la loro stessa ragione d’esistenza? La cognizione degli oggetti che possono agevolare una più profonda comprensione del mondo nasce probabilmente nel 9.000 a.C. con l’osso di Ishango, un perone di babbuino d’Uganda su cui erano stati tracciati dei segni utili a fare le moltiplicazioni e le divisioni. Da allora, il computer è stato reinventato più volte nel corso della storia. Il più delle volte, era analogico. In epoca più recente, digitale. La precisione della Verità è tuttavia un merito universale, innegabile al di là del metodo, più o meno distante dalla natura, che abbiamo impiegato per giungere a possederla.

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