L’unica creatura in grado di decapitare un calabrone giapponese

La guerra. La guerra non cambia mai. Che si tratti del conflitto tra nazioni umane, o lo scontro spontaneo tra forze contrapposte della natura, quali il fuoco e l’acqua, la terra e il vento, le radiazioni solari e il campo magnetico del nostro pianeta. Le piante si scontrano per la conquista del loro spazio vitale, abbarbicandosi l’una all’altra con tutta la furia e la forza concessa dall’insistere delle radici. E così fanno, spesse volte, gli animali. Con un’importante differenza: la rapidità. Quando l’intera sopravvivenza della tua intera genìa, regina, figli e prossime generazioni, deve realizzarsi nei pochi mesi che vanno da inizio aprile al settembre successivo, non puoi assolutamente affidarti alla diplomazia, alle buone maniere, alla capacità di convincere il tuo prossimo. Tutto quello che ti resta è farti avanti con le mandibole bene aperte, sperando di chiuderle sul collo di qualcuno. In altri termini, le vespe non conoscono pietà. In modo particolari, quelle appartenenti alla specie Vespa mandarinia, che con i loro 5 cm di lunghezza medi costituiscono il singolo imenottero volante più imponente al mondo. E grazie alla maschera arancione della loro testa, minacciosamente triangolare, anche il più simile a un guerriero samurai. L’aspetto estetico, del resto, non è l’unico punto di contatto con i lunghi conflitti pregressi e le guerre civili dell’arcipelago, dove l’insetto risulta maggiormente diffuso: poiché quando simili creature scendono sul campo di battaglia, lo fanno in massa, per liberare il proprio territorio dalla presenza di un clan sotto il vessillo avverso.
In una serie di esperimenti condotti da Yoshimoto et al. nello studio Factors affecting behavioral interactions among sap-attracted insects (2009) è stato dimostrato come nessun’altra specie di vespa possa competere con la furia combattiva della mandarinia, che si è dimostrata perfettamente in grado di annientare la hisuzumebachi (vespa principessa) la V. analis (vespa malese) e persino la V. crabro, il velenosissimo e sempre temuto calabrone europeo. Quando giunge il momento di combattere l’andamento è sempre pressoché lo stesso: una singola perlustratrice giunge presso il nido nemico. Osserva lo stato dei fatti e quindi, giudicata intollerabile la situazione, rilascia gli specifici feromoni in grado d’indicare ai suoi parenti il piano esatto di battaglia. Che poi consiste, semplicemente, nel raggiungerla e iniziare a fare ciò che gli riesce meglio. Con un ronzio feroce, diverse decine di guerriere dell’alveare sotterraneo piombano presso l’ingresso principale del nemico. Quindi, con estrema noncuranza, iniziano a catturare gli individui di passaggio, stritolandoli con tutta la forza delle loro fibre muscolari chitinose. Ogni vittima viene accuratamente fatta a pezzi, e il suo torace riportato fino a casa, come una sorta di macabro trofeo. Dove dovrà essere completamente masticato, fino alla produzione di una fine poltiglia, che costituisce l’unico cibo consumato dalla larve del terribile animale. Poi, una volta sazie, iniziano la seconda fase: il più totale massacro, affinché, potrebbe sembrare, non restino testimoni. Ma il qui presente video dello Smithsonian risponde ad un quesito che forse, non ci eravamo mai posti: cosa succede se la percepita invasione del territorio avviene ad opera di una seconda comunità di vespe giapponesi? Dopo tutto, nel momento finale della migrazione, quando tutte le operaie sono già decedute, e così pure i maschi, le nuove regine fecondate volano fino a 100 Km/h in un solo giorno, alla velocità di fino a 40 Km/h, poi si rifugiano nel buco abbandonato da un piccolo mammifero o un pertugio architettonico dismesso. Dove, nel giro di pochi giorni, producono una quarantina d’uova. A tali ritmi, la sovrapposizione è un rischio molto reale. Che conduce, inevitabilmente, alla catastrofe finale.
La Vespa Mandarinia, che in natura vive soprattutto nei boschi e sulle alture, non ha particolari nemici naturali, e neppure infastidisce quotidianamente l’uomo. Troppo remoti, e selvatici, sono i luoghi in cui opera il suo brutale imperialismo a strisce gialle e nere. C’è soltanto un avversario in grado di metterla direttamente in difficoltà, dunque: lei stessa.

Marusawa Maru, un uomo dalla capigliatura davvero insolita che si definisce “il più grande appassionato di vespe giapponesi” mette una mano in una scatola occupata dai temibili volatori. Con espressione compunta, ne prende anche uno in mano. Per sua fortuna, tuttavia, si tratta di esemplari maschi, privi di pungiglione.

Abbiamo lasciato intendere che il calabrone giapponese non si spinge spesso negli ambienti urbani, il che, del resto, non diminuisce in alcun modo la sua pericolosità. Come tutte le vespe, esso pratica infatti la difesa attiva del nido, ed inoltre non muore, come le api, successivamente alla prima puntura. Il che assicura che ogni singola goccia di veleno possa essere inoculata nell’organismo del presunto predatore. Inoltre, successivamente alla puntura, l’insetto rilascia un segnale feromonico che istruisce i suoi alleati a colpire ancora. Questa è la principale ragione per cui ogni anno, il solo Giappone conta una quantità media di 30-40 persone uccise dal veleno di questa vespa, per problematiche pregresse, reazioni allergiche o la semplice gravità dell’attacco subìto. La puntura, arrecata con un pungiglione retrattile che può raggiungere la lunghezza di 6 mm, contiene un peptide citolitico, il mastoparan, che danneggia i tessuti stimolando la fosfolipasi. In altri termini, corrode letteralmente la pelle umana, causando ferite che spesso assomigliano in maniera impressionante a dei fori di proiettile. Una volta in circolo, la sostanza si trasforma in una neurotossina che può causare paralisi e spasmi muscolari, oltre, nel caso di persone allergiche o sottoposte a una dose sufficiente, alla morte immediata per crisi respiratoria. Il celebre entomologo Justin Orvel Schmidt, autore del catalogo sul dolore causato dalle punture degli insetti, non ha mai classificato la V. mandarinia, pur ponendo una vespa di dimensioni simili, la Tarantula Hawk (fam. Pompilidae) statunitense al secondo posto dopo la temibile formica “proiettile” Paraponera. E considerate che nel caso della Pompilidae,  l’obiettivo della puntura è paralizzare la preda aracnide, al fine di deporvi all’interno le uova, non mettere in fuga o uccidere un predatore dalle dimensioni ben superiori. A seguito di punture successive, anche a distanza di anni, l’organismo umano può sviluppare un’intolleranza al veleno. A chi lo ha sperimentato oltre 10 volte e si trovi a subirlo ancòra, gli enti medici di una buona metà dell’Asia consigliano dunque di affrettarsi immediatamente verso l’ospedale più vicino.
Come potrete facilmente immaginare, questi calabroni costituiscono un’ospite indesiderato in qualsiasi terreno abitato, ma in modo particolare ciò si applica a chiunque pratichi l’antica arte dell’apicultura. Come nel caso delle cruente battaglie sopracitate, la mandarinia è infatti solita localizzare ed assalire un qualsivoglia alveare, con il solo obiettivo di guadagnarsi provviste, per la prossima generazione della propria comunità assassina. Una volta penetrate nell’arnia, le mostruose guerriere fanno letteralmente scempio di ogni creatura gli capiti a tiro, con una quantità di vittime che possono raggiungere le 40 l’ora per singolo esemplare di vespa. In modo particolare, le Apis mellifera europee, recentemente introdotte in Giappone per la loro maggiore produzione di miele, risultano del tutto indifese contro l’assalto delle vespe, che in breve tempo le annientano completamente. Mentre le loro parenti locali, le Apis cerana, hanno elaborato attraverso i secoli una particolare strategia difensiva. Così tremendamente giapponese, nel suo supremo senso di abnegazione…

Quando minacciata dai calabroni, l’Apis cerana gli si getta contro in massa, ricoprendoli letteralmente ed iniziando a far vibrare le ali. Così parzialmente stritolata, l’assalitrice uccide a decine dei suoi assalitori, ma ben presto è costretta ad arrendersi a un aumento drastico della temperatura, che inevitabilmente la uccide. Naturalmente, nessun calabrone assale un’alveare da solo…

Al volgere del 1600, la lunga era di conflitti civili attraverso cui alcuni dei guerrieri più famosi della storia si erano sfidati senza quartiere, nel tentativo di guadagnarsi il controllo della capitale del paese e con essa del sacro Imperatore, discendente della dea Amaterasu, era ormai giunta al culmine estremo. Dalle due parti contrapposte, due schieramenti: Ishida Mitsunari, il tutore designato di Toyotomi Hideyori, giovane ed unico erede del grande Taiko, colui che aveva finalmente unificato il paese; dall’altra, il suo più grande, ricco e ambizioso generale, il leggendario Tokugawa Ieyasu. In quel momento della verità, sulla piana erbosa di Sekigahara, fino all’ultimo armigero rimasto in grado di muoversi, con fucile, lancia, arco e spada, scese in campo nella speranza di determinare quale sarebbe stata il futuro di questo sanguinoso Giappone. I colorati vessilli sovrastavano il paesaggio. Secondo le usanze medievali ma mai superate, ad ogni singolo caduto che potesse vantare una larga fama fu tagliata la testa, al fine di riportarla orgogliosamente al cospetto del proprio generale. Al termine del conflitto, i due mucchi furono confrontati, e gli onori riconosciuti. Sarebbe stata l’ultima volta nella storia, prima che le ragioni dell’economia e dell’industria soppiantassero quelle del codice degli antenati. Soltanto un vero samurai può decapitarne un altro. E vivere, nonostante tutto, felice.

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