La felce che fiorisce dove il fulmine colpisce

Sotto ogni singolo punto di vista concepibile, manca al mondo una ragione valida per mettersi a smontare i forni a microonde. Poiché all’interno c’è un condensatore, il cui potere è accumulare e trattenere l’energia. Per poi scatenarla tutta assieme, anche se l’hai scollegato dalla rete elettrica, con una forza sufficiente a fare fuori una persona o due, anche a molte ore di distanza. Soltanto un pazzo, dunque, potrebbe pensare d’imitare un tale esperimento. Ma negli occhi vividi dello scienziato e dell’artista, non c’è nessuna cosa non bella. Il folto pelo della natura, le sue orecchie a punta con gli artigli da gatto e la coda sinuosa e serpeggiante, che si appoggia alle caviglie delle cause pretendendo la carezza dell’analisi efficace. Ed è proprio in questo miagolante gatto, nel cui verso c’è la pioggia o il rombo delle cascate, il fruscio dei raggi cosmici e la musica del cosmo dei pianeti, che alberga l’armonia perfettamente intatta di un fondamentale senso d’equilibrio. Persino quando sfodera gli artigli, per punire l’ospite che si è preso troppa confidenza nella stanza del padrone dei divertimenti. È un po’ questo il senso ultimo dei temporali, a ben pensarci, per cui accade che talvolta l’elettricità si accumuli all’interno di una nube. Fino al raggiungimento di un potenziale talmente elevato, da doversi scaricare verso il singolo oggetto più elevato nel bel mezzo oppure ai margini di una radura. E fu così che qualche volta, un tale oggetto era costituito dalle spalle o dalla testa di una singola persona. “Illuminato da Zeus” lo chiamavano un tempo “Fortunato per definizione.” per poi aggiungere “La sua sopravvivenza è un ricettacolo ricolmo di presagi.” Il che naturalmente, non aveva alcun riscontro tra i fenomeni osservabili coi nostri stessi occhi. Nossignore, più che altro, essere colpiti è un’esperienza sconvolgente. Che scombussola i tessuti, infrange le pareti cellulari, scuote le ossa e aumenta la temperatura, fino ad ustionare gli organi causando un mare di dolore. Ma c’è una chiave di lettura, come dicevamo, che riesce a ritrovare addirittura in questo, il nesso e la ragione. E fu così notato, fin dai tempi antichi, che le vittime dei fulmini talvolta riportavano disegni sopra il corpo. Simili ad un tatuaggio rituale, di talune culture d’isole remote, concepito per raffigurare gli elementi o le creature, al fine di carpirne la potenza innata in qualche impercettibile maniera. O per essere specifici, figure vegetali e ramificazioni.
Perciò sapete che vi dico? Si può fare, in teoria. Col che intendo che vi sono alcune classi di persone, particolarmente immuni la senso universale della ragionevolezza, che quel forno orribilmente pericoloso l’hanno smontato. E con un filo avvolto nel nastro isolante, ne hanno veicolato il potenziale su di un pezzo di legno, materiale in nessun modo conduttivo, con una potenza tale da renderlo, alla fine, luminoso. Col che non intendo che abbia preso fuoco (benché talvolta, succeda proprio quello) ma che l’energia termica che si accompagna all’elettricità ha iniziato a diffondersi su questa superficie, in maniera all’apparenza totalmente casuale. Rispettando unicamente due leggi: seguire la strada di minore resistenza, ed evitare lo spazio già occupato da cariche che abbiano la stessa polarità. Il che, in soldoni, ha portato al formarsi di un debole alone attorno al punto di contatto, dalla carica del tutto negativa, da cui s’irradiano una serie di rami serpeggianti, tracciati dal passaggio della fuga di più intensi, e rapidi, conglomerati di protoni. Che è poi la stessa cosa che succede sulla pelle di chi incontra il fulmine celeste senza una colpa, e ricevendo il tocco del suo marchio, riporta il danno delle sfortunate circostanze. Ma guardiamo la questione da principio, ovvero con lo sguardo di colui che l’ha scoperta, finendo poi per dargli il proprio nome: tedesco, scienziato, saggista, anglofilo, Georg Christoph Lichtenberg, insegnante di fisica all’università di Göttingen a partire dal 1769. Famoso per la sua idea, all’epoca del tutto nuovo, di far accompagnare le sue spiegazioni a vari tipi d’esperimenti e dimostrazioni pratiche, tramite l’impiego di strumenti scientifici di vario tipo. Tra cui ce n’era uno chiamato l’elettroforo, che egli amava particolarmente, costituito da un disco metallico sospeso del diametro di circa due metri, attaccato a una carrucola. Sotto il quale, trovava posto un’altro in materiale dielettrico (isolante) come cera o resina che qualcuno, presumibilmente uno studente, veniva chiamato a strofinare con un panno generando l’elettricità statica. Al che lui, manovrando il meccanismo, avvicinava il piatto sovrastante per permettergli di caricarsi. E poi, toccandolo semplicemente con un dito, faceva continuare in se la corsa dei protoni. Intrappolando nel metallo una carica di certo non letale, ma bastante per effettuare una singola, essenziale prova…

L’esperimento di Lichtenberg ricreato all’interno della Fondazione Scienza e Tecnica di Firenze. Invece dell’elettroforo, il generatore rotante usato in questo caso è una macchina di Wimshurst.

Ora Lichtenberg (1742-1799, morto con la gobba a 56 anni) era un fisico, ma anche un acuto osservatore. Che aveva notato, durante le sue dimostrazioni, come la polvere presente sul piatto inferiore tendesse a disporsi in maniera simmetrica e gradevole allo sguardo. Ciò che un giorno importante della sua carriera arrivò a chiedersi, dunque, fu “Che cosa succederebbe se io disponessi su una superficie di lavoro due sostanze come il piombo rosso e lo zolfo blu, la prima notoriamente portatrice di una carica negativa, e la seconda invece l’esatto opposto? Non potrei forse a quel punto, osservare la stessa forma dell’elettricità statica sopra le cose…” Fece dunque, esattamente quello. E quando vide cosa era comparso sul suo tavolo, vi appoggiò sopra un foglio di carta, per inviarlo ai posteri imprimendolo indelebilmente in due colori. Fu in quel preciso momento, dunque, che nel mondo nacque la tecnica della xerografia. Ma questa tutta un’altra storia. Ciò che conta è che l’immagine era stata catturata e simili figure, per la prima volta nella storia, stavano venendo sottoposte ad uno studio approfondito.
Così tanti impieghi avrebbe avuto, in futuro, la semplice cognizione della loro esistenza! In campo medico, tanto per cominciare, al fine di permettere di riconoscere l’origine di un infortunio non sempre facile da diagnosticare. E per gli elettricisti chiamati a riparare un guasto lungo un’area ampia, che aprendo un filo ed osservando nel suo involucro l’usura ramificata causata da mesi ed anni di utilizzo, può risalire lungo il tronco fino alle radici del problema. E tutto questo per non parlare dell’altra categoria sopra citata, di tutti coloro che decidono di apprezzare uno strano fenomeno soltanto per quello che è, arrivando a comprenderne l’essenza estetica più profonda. Non è così per niente raro, il caso di questi creativi che ottenendo una fonte d’energia sufficientemente potente, la impiegano per tracciare forma nei materiali dielettrici tracciando la figura della felce. Ma aspettate, non è tutto: poiché quello che molti non sanno, o spesso non tengono presente, è che le figure di Lichtenberg non sono piatte in alcun modo, bensì tridimensionali. Mentre siamo soltanto noi, coi nostri limitati occhi umani, a poterne scrutare unicamente la superficie. A meno che…

Grazie al potere concessomi dalle cognizioni acquisite, e questo piccolo martello, io ti bandisco Pikachu, t’intrappolo e trasformo, in una pianta priva di mobilità. Non potrai più fare danni…

L’iniziativa di imprimere l’emblema all’interno di un materiale trasparente nasce in epoca moderna, successivamente alla creazione dell’acrilico (polimetilmetacrilato) una plastica abbastanza resistente, e relativamente non infiammabile, da poter sostenere la potenza del pericoloso esperimento. Perché è allora che lo scienziato di turno viene chiamato a percuoterne la forma, mediante l’impiego di un piccolo acceleratore di particelle, essenzialmente nient’altro che un tubo catodico in grado di veicolare la carica di volta in volta ritenuta necessaria. Che sarà, naturalmente, molto superiore a quella generata dall’elettroforo di Lichtenberg, ma anche dalla macchina di Wimshurst usata nell’esperimento di Firenze. Un rischio più che mai giustificato, nell’opinione di qualcuno, dalla risultante meraviglia osservabile dalle molteplici ramificazioni semi-trasparenti, in grado di ipnotizzare per lunghi minuti qualsiasi studioso o amante collaterale dell’elettricità. Il che include, naturalmente, quasi tutti coloro che la usano ogni giorno. Esonerati quelli che ne hanno dovuto subirne le ramificate conseguenze, sul proprio stesso fisico, per ovvie e molto comprensibili ragioni. Simili “sculture” ad ogni modo, quando ben realizzate, tendono ad avere un valore piuttosto elevato.
Questo perché il vero processo alla base della creazione delle figure di Lichtenberg, ancora oggi, non sembrerebbe essere del tutto chiaro. Altrimenti non si spiegherebbe la quantità di metafore e similitudini, impiegate con trasporto degno dei poeti anche nelle descrizioni più tecniche di un semplice fenomeno naturale. Ma forse ciò è anche dovuto all’influenza della particolare personalità del suo scopritore, famoso per alcuni degli aforismi non-filosofici più memorabili della cultura europea, tra cui “Ringrazio Dio per avermi fatto diventare ateo.” e “L’americano che per primo scoprì Colombo, fece davvero una pessima scoperta.” Esattamente come colui che per primo pensò di accarezzare un gatto randagio, senza che fosse quello ad avvicinarsi di sua spontanea volontà. O che fosse davvero il caso di smontare un forno a microonde restandone, letteralmente, folgorato.

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