Anche il topo più veloce del Belucistan può concedersi una siesta

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Sembra esistere una sorta di regola non scritta, in natura, per cui più un’animale è piccolo è peloso, meno gli è consentito di fermarsi ad apprezzare le bellezze della vita. Guardate il criceto, il topo di campagna, il tipico chihuahua: sembra quasi che le loro compatte membra da un litro non riescano a contenere un secchio e mezzo di energia, vibrando, con velocità variabile, fino all’ora di andare a dormire. E talvolta anche a sèguito di quel momento (chi può fare a meno di sognare? Non certo loro.) Con nasi, orecchie, vibrisse puntati da ogni lato, alla maniera degli aculei del porcospino, però pronti a rilevare il benché minimo disturbo. Perché questa in genere, è la loro unica difesa in natura: la rapidità estrema, il frutto di un metabolismo concentrato solamente sull’idea di accelerare, accelerare sempre più. Ed è in un raro lapsus di un simile istinto, forse dovuto alla parziale addomesticazione, che conosciamo il gerboa pigmeo a tre dita, altrimenti detto Salpingotulus michaelis. Mentre appare intento, subito dopo un controllo del peso (uuh: 3,2 grammi, praticamente un adulto) a pettinarsi gli sproporzionati baffi, mandarsi indietro la frangetta, inumidirsi le manine e gli occhi grossi come luci semaforiche per scarafaggi. È una visione che cattura lo sguardo, senza il benché minimo dubbio. Perché l’intera creaturina pare essenzialmente la sola testa di un piccolo ratto, fornita di arti deambulatori e coda come una mostruosa presenza del bestiario folkloristico del Giappone, paese da cui per l’appunto parrebbe provenire questo video. Di un mistico, stranamente perverso yokai, non ancora dotato della capacità di risucchiare l’anima dei viandanti. Anche se a dire il vero, non si sa mai. Quello sguardo che si sposta in ogni direzione, le zampe posteriori con l’articolazione mostruosamente invertita, le orecchie piccole appiattite contro il cranio, appaiono in qualche maniera carichi di sottintesi. Finché non ci si ricorda che l’intera bestiolina misura all’incirca 4 cm, ovvero meno di molte specie d’insetti o ragni ed allora, come si fa a non provare un istintivo senso di affetto e tenerezza…
Certo, purché si resti nel consorzio degli esseri umani. Nel suo areale di appartenenza, che si estende dalla regione più vasta del Pakistan fino al Nepal tibetano, il Salpingotulus possiede ben pochi amici… Tutti quanti riescono a ghermirlo, dopo se lo gustano con buona grazia, dalla vipera dal naso a foglia (Eristocophis McMahoni) al gatto delle sabbie (Felis margarita) passando per il rettiliano stomaco del varano del Caspio (V. Caspius); ma il vero, più costantemente terribile pericolo che il topolino si ritrova ad affrontare, potrebbe in realtà sorprendervi: si tratta del gerbillo comune, una creatura che, prima di essere allevata in ogni paese del mondo come animale domestico, infestava le cantine e gli orti dell’intera Asia centrale, monopolizzando ogni fonte di cibo sopra cui riuscisse a mettere le sue zampine. Ed è proprio in funzione di questo rivale nella corsa per la sopravvivenza, che il nostro amico gerboa giunse ad evolversi in siffatta maniera, così radicalmente diversa da quasi qualsiasi altro animale del pianeta Terra: perché quando sei tanto piccolo, c’è un limite alla massa muscolare, e quindi alla velocità, che puoi raggiungere. Diventa molto meglio, dunque, saltare. Anche perché, per tornare all’ambito dei predatori propriamente detti, immaginate la capacità di eludere il pericolo che può venire dagli spostamenti improvvisi e verticali…Ha funzionato per la cavalletta, e dunque come potrebbe mai fallire, con quello che costituisce a tutti gli effetti il più piccolo roditore del mondo? (A parimerito col Mus minutoides dell’Africa Orientale). Tutto ciò questo dovrà fare in caso di necessità, sarà flettere i muscoli attaccati al lungo metatarso, rannicchiandosi prendendo forza. Per poi estendersi, di scatto, all’indirizzo dell’unica via di salvezza. Si, proprio così, l’osso del piede. Perché contrariamente a quanto potrebbe sembrare, in effetti il gerboa non ha affatto le ginocchia al contrario, discorso che del resto vale anche per i polli e gli altri uccelli comunemente associati a tale impossibile idea. Semplicemente, il punto in cui vediamo piegarsi la gamba è la caviglia, funzionalmente non così diversa dalla nostra. Anche se nel caso di questi insoliti topi, tutto quello che si trova al di sotto di essa è fuso in un unico, resistente osso, definito in gergo “il cannone”. Perché spara…Perché si fuma… No, aspetta un attimo soltanto. Andiamo avanti per gradi.

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Il gerboa del Pakistan produce una cucciolata che va da due a quattro figlioletti, generalmente due volte l’anno. Sembrerebbe essere, dunque, decisamente meno prolifico del roditore medio. Dal che deriva, indubbiamente, la sua difficile coesistenza col famelico gerbillo.

Come potrete facilmente immaginare in funzione dei suoi grandi occhi, questo animale si muove prevalentemente di notte, per sfuggire per quanto possibile agli sguardi voraci provenienti da terra o dall’aria. Si tratta altresì di una creatura particolarmente schiva, il che rende estremamente difficile apprezzarli come animale domestico, impresa che sembrerebbe invece pienamente riuscita al proprietario giapponese della creaturina d’apertura. I gerboa, normalmente, si nutrono per la maggior parte del tempo di semi ed insetti, per fagocitare i quali sono dotati di ben 12 denti incisivi piuttosto affilati. Ciononostante, quanto riescono a procurarsi dopo il passaggio dei loro pelosi rivali costituisce comunque una quantità appena sufficiente alla sopravvivenza, portando allo sviluppo evolutivo di un sistema di pseudo-letargo diurno: essenzialmente, l’animaletto si immobilizza dall’alba al tramonto, dopo aver fatto ritorno alla sua tana sotterranea che generalmente condivide con altri 5-6 esemplari; in questo stato, egli rallenta il suo metabolismo fin quasi all’inverosimile, consumando una quantità di calorie irrisorie fino all’ora di tornare in caccia. Dopo tutto, anche lo Speedy Gonzales dei cartoni animati aveva i suoi momenti di riposo verso l’ora di pranzo, modellati sullo stereotipico sonnellino di coloro che vantavano la stessa nazionalità. Una visione certamente capziosa e generalizzata ma che nonostante ciò, è largamente noto, faceva sorridere gli stessi messicani. E poi dico, immaginatevi l’estremo dinamismo di questa minuta forma, che fluttua letteralemente sulla sabbia del deserto balzando regolarmente fino all’altezza del vostro comodino… Un’esplosione di energia che indubbiamente, potrà pure giustificare qualche pausa per “pensare” un po’ a se stessi ed al domani!
Lungi dall’essere soltanto una curiosità visuale, ad ogni modo, la genìa dei gerboa è stata fatto oggetto almeno di un importante studio scientifico, mirato alla comprensione dei metodi di sviluppo e crescita delle nostre stesse ossa.

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Esistono circa 50 specie di topi saltatori, anche detti topi della betulla, diffuse dall’Asia Centrale fino al nord dell’Africa. I loro habitat, estremamente vari, possono includere senza problemi di adattamento foreste, pianure e deserti.

La questione sollevata da Kimberly Cooper dell’Università della California, a San Diego, è in effetti piuttosto rilevante: come mai è possibile che il tessuto osseo di questi animali, quando ancora allo stato di embrione, si sviluppi favorendo in modo particolare la lunghezza del piede, piuttosto che quella convenzionale della gamba? Che cosa sposta le cellule da una funzione all’altra? Nulla, ovviamente. Non esistono simili concetti nello sviluppo della vita. E il metodo trasmesso attraverso i geni dei progenitori del gerboa, in essenza, è di tutt’altra natura: c’è lo stesso numero di cellule nella gamba e nel piede. Ma quelle di quest’ultima parte dell’arto si sviluppano più velocemente, e raggiungono dimensioni maggiori, perché esse sono composte soprattutto di cartilagine. Un tipo di materia vivente che può trattenere l’acqua, raddoppiando o triplicando facilmente le proprie dimensioni normali. A quel punto, una volta costituita l’intelaiatura del nuovo osso, le impalcature temporanee decadono, lasciando spazio alle comuni cellule scheletriche del topolino. Ed è proprio questo meccanismo, in fin dei conti, quello che governa lo sviluppo dello scheletro di pressoché ogni forma di vita. Giungendo a comprendere il quale, in un ipotetico futuro, la scienza medica umana potrebbe trovare delle soluzioni valide ai problemi di malformazioni dei nascituri o all’osteoporosi. Quale miglior lascito, dunque, da parte di questo piccolo abitante dello ‘Stan.

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Il gerboa dalle orecchie lunghe (Allactaga tetradactyla) dell’Egitto e della Libia è uno dei pochi considerati a lieve rischio di estinzione nell’intera famigliadei Dipodidae. Per la maggior parte di loro, invece, la IUCN non dispone di informazioni sufficienti ad elaborare un verdetto. – Via

Il perfetto animale domestico? Non proprio. Anche considerando le specie a maggiore diffusione, i gerboa restano comunque animali notturni che necessitano di una tana in cui nascondersi per l’intero periodo in cui il sole occupa il cielo. Inoltre mangiano prevalentemente insetti vivi, ed a quanto riporta il sito longearedjerboa.com, non avrebbero neppure bisogno di bere, riuscendo ipoteticamente a trarre sostentamento sufficiente dalle proprie prede e…Dall’umidità dell’aria? (sembra davvero incredibile, chissà se è vero?)
Il che si riallaccia in qualche maniera alla creatura fantastica della famosa serie di fantascienza Dune di Frank Herbert, in cui il topo Muad’Dib dell’eponimo pianeta desertificato viene chiamato dai nativi Fremen “l’insegnante dei bambini” poiché sa che occorre muoversi soltanto col favore delle tenebre, conosce le vie segrete delle terre aride e riuscirebbe, secondo quanto affermato da un mitico proverbio, a “creare la propria stessa acqua”. Tanto da trasfomarsi, con il proseguire della vicenda, il nome assunto dal messianico protagonista Paul, nonché il grido di battaglia delle sue future invincibili legioni. Un caso di fantasia che riprende da lontano la realtà, visto come, nel corso della seconda guerra mondiale, l’esercito della Gran Bretagna avesse effettivamente eletto a propria mascotte il gerboa saltatore, facendo riferimento alle sue doti di sopravvivenza e leggendaria rapidità.
Un topo del deserto, che sembra debole ma non lo è. E che potrebbe nascondere, all’interno del proprio genoma, la via per acquisire un nuovo stato di consapevolezza della natura umana! Di certo esistono bestie peggiori, a cui associare la propria reputazione. E questo senza neppure considerare, quanto sia dannatamente Cariiinoooo…

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