L’incedere scorrevole del super-verme

Super-worm

Il problema dell’individualismo è che preclude la pur utile e fondamentale specializzazione. Nella sezione biologica dei grandi mammiferi erbivori, quella dispensa presso cui attingono ogni sorta di gran canide, uman-ide o felino dalle zanne prominenti, vige la regola del branco. Mucche o fulve gazzelle, equini, cervidi e tutta l’allegra compagnia degli inermi e vividi bersagli, tendono all’aggregazione per variabili motivi, ma fra tutti, certamente, emerge sempre quello dell’analisi statistica situazionale. Ovvero la creatura ben conosce, senza poi capirne la ragione, la regola per cui su quattro potenziali cacciatori, cinque prede rilevanti, l’ultima è sicuro che si salverà. Non c’è una vera cooperazione, come manca nel piano urbanistico dei negozi e dei servizi cittadini: ciascuno prende posizione per brucare, o alternativamente vende le sue merci, dove maggiormente gli conviene. Caso vuole, vista l’artificiale scarsità delle opportunità di sopravvivere, che questo avvenga in mezzo alla perplessa collettività. Ma guarda qui, che differenza! Questo famoso video girato presso la spiaggia di Parnaioca a Rio de Janeiro, risalente ormai a quasi 10 anni fa, mostra un agglomerato vagabonde di larve di mosche dette della sega (sottordine Symphyta). Creature che in età adulta prendono il nome dal vistoso ovopositore usato per posizionare i loro pargoli futuri sullo stelo e sulle fronde circostanti, ma che in questa fase giovane della vita, rassomigliano piuttosto, per sperimentata evidenza, ad altrettanti mini-bruchi neri, fitofagi e del tutto deliziosi. Li adora il passero, che ne fa pranzo e cena o colazione, li divora il merlo come fossero gustose merendine. E ciò avviene, normalmente, già dall’albero o il cespuglio presso cui sono nati. Figuriamoci quindi nel momento in cui, come da programmazione evolutiva, i vermi lasciano tale relativa sicurezza per migrare verso nuovi orizzonti, alla ricerca di più verde clorofilla da fagocitare.
Come può proteggersi, l’approssimazione incolore di un innocuo caterpillar senza peli ne veleni, dal cupo battito dell’ala sopraggiunta? Non certo andando più veloce, né nascondendosi nel pieno di una scarna e inevitabile radura. Bensì, con metodi di metamorfosi ulteriore. Dal numero e l’aggregazione nasce l’illusione della forza, soprattutto, e in parte anche una sorta di ulteriore resistenza. Tutti per uno, saldamente incorporati l’uno all’altro, i Symphita si trasformano in unica creatura, vagamente incomprensibile allo sguardo e di sicuro da lontano, sorvolandola a distanza di cautela, preoccupante per chi deve procacciarsi il cibo. In questo senso, un agglomerato di simili larve costituisce una forma di cooperazione sufficientemente avanzata da poter parlare di comportamento elevato, e nel contempo, tanto specifica da trovare un’effettiva applicazione unicamente nell’ambito di ciò che è insettile, per forma e dimensioni. È anche vero, del resto, che se 10 o 20 erbivori della savana, vedi lo gnu con le sue corna, potessero aggregarsi nella versione maggiorata della stessa cosa, ormai di certo lo farebbero ed avrebbero ormai primeggiato tra le bestie e anche gli umani. Come palle rotolanti o usando un termine globalizzato, mugghianti katamari

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Sanguisuga Succhiatrice Vs. Verme Vagabondo

Sanguisuga rossa gigante

Ah, si. La sanguisuga rossa gigante del monte Kinabalu. Tutti ne parlano, nessuno l’ha mai vista. Dove vive la sanguisuga rossa gigante del monte Kinabalu? Ma non è ovvio…Presso le pendici rocciose del sentiero Mempening, sul più alto massiccio dello stato di Sabah, tra i 2500 e 3000 metri dal livello del mare, dove scava qualche piccola buchetta nel profondo humus dell’ombroso sottobosco. Resta giorni, settimane o mesi lì, dormiente. Finché non cambia la direzione delle correnti aeree del pianeta Terra, per l’effetto del monsone, causando piogge, piogge a profusione. Quasi che l’Oceano Indiano stesso, all’improvviso, avesse scelto di riprendersi le compiante terre emerse! Siamo in Borneo, dopotutto. E allora scorre, a fiumiciattoli e torrenti, l’acqua dalla cima più alta di quell’alto rilievo, detta Low (che vuol dire basso, a ma sarà una coincidenza). E bagna i fusti delle piante carnivore Nepenthes, tazze della perdizione. E interrompe i voli di perlustrazione delle aquile serpente. E scaccia via la donnola malese. E invade, soprattutto, la sala principale di una mistica caverna, detta Paka, che si trova, guarda caso, sul sentiero Mepening, nello stato di Sabah, verso i 3000 metri di quel monte Kinabalu (dove vivono le sanguisughe rosse) giusto a pochi passi da…
Ci sono due tipi di esistenze, a questo mondo: con-una-sola-bocca, oppure-due. La tipica sanguisuga ematofaga, che ha ben poco a che vedere con il mostruoso predatore in oggetto al video, ha due aperture, entrambe utili a succhiare. Una volta saldamente assicurata, per i denti acuminati della prima, alla vostra caviglia o all’avambraccio pieno di entusiasmo, presto o tardi, cautamente, si attaccherà anche all’altra estremità. Per assimilare, come una zanzara, anzi ancora più spietata, il doppio dei fluidi, in metà del tempo. Estremamente conveniente! Anche alcune caverne, dal canto loro, dispongono di meccanismi come questo. Così l’acqua, quando piove, entra da una parte e dopo scorre via. Non si allaga nulla, niente fugge per diffondersi nel mondo, impreparato. Ma la caverna Paka del monte Kinabalu, ha-una-sola-bocca, ahimé. E una volta piena, inizia a vomitare, acqua, acqua, e una quantità incommensurabile di vermi…

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L’abissale fame dell’orrendo verme segmentato

Bobbit Worm

State attenti a un’alga pallida ed immota, con sei propaggini a raggiera. Cresce, tale cabalistica escrescenza, in tutti mari del pianeta. Non attira molto l’attenzione. Può trovarsi ovunque: sia tra le brodose acque all’equatore, che immersa negli abissi gelidi, a ridosso dei distanti poli contrapposti; essa giace, quietamente. E prospera, nel buio e nel silenzio. Per capire da dove provenga la sua forza, basta osservarla per un tempo medio: non è poi così passiva, questa cosa, benché paziente, all’occorrenza. Non è neanche un vegetale a dire il vero, né una lei. Bensì un anellide, o per essere maggiormente specifici, il più lungo polichete al mondo. Un subdolo cacciatore in grado di misurare fino a tre metri, sottilissimo, di cui normalmente appare molto poco. Giusto la testa, oltre a un piccolo segmento degli innumerevoli in cui è suddiviso, caratterizzato dalle antenne multiple e una spaventosa tenaglia. Tanto affilata e perigliosa, da valergli il nome colloquiale di verme di Bobbit (con riferimento alla celebre vicenda americana del 1993, in cui Lorena G. usò un coltello da cucina per troncare il pene di John B.). E ringraziamo, per tale colorita associazione, la pubblicazione Coral Reef Animals of the Indo-Pacific (Terrence M. Gosliner – 1996) nonché la teoria, del tutto errata, secondo cui la femmina di questa graziosa creatura avesse l’abitudine di recidere il pene del compagno, tanto per darlo in pasto ai sui figlioli. Del tutto resa obsoleta dalla scoperta successiva, relativamente sorprendente, dell’assoluta assenza di un tale organo nel maschio strisciante. Il quale piuttosto, come spesso avviene negli habitat marini, feconda le uova successivamente alla deposizione. Sono tra l’altro assai prolifici, questi anellidi. Ed invasivi. Le loro antenne presagiscono la dannazione…
Può dunque capitare, non è affatto raro, di trovarseli davanti durante un’immersione o presso le rive di una spiaggia. Ecco, in tali casi, guai a mettergli la mano innanzi. Il verme infatti, quasi immediatamente, scaturirà dalle dalle sue sabbie con il tenore tipico di un cobra, poco prima di serrarsi su qualunque cosa capiti a suo tiro. Sono tanto affilati, i suoi denti a forma di forbice, da ottenere spesso l’effetto di tagliare a metà l’oggetto dell’agguato. Sia questo con le pinne, oppure l’unghia (la parte migliore). Senza contare la tossina di cui sono ricoperti, in grado di paralizzare prede anche assai più grandi, prima d’ingerirle, laboriosamente, senza neanche masticare. Tale sostanza è in grado di indurre una perdita di sensibilità negli arti umani, anche permanente. In natura mangia pesci, l’onnivoro in questione, crostacei, granchi, paguri e gamberetti. Spezza anche il corallo, poco prima di succhiarne l’ottimo midollo. È paragonabile, per l’aspetto e il modus operandi, alla bestia tipica di un incubo notturno.
Non per niente la sua genia, in gergo italiano, viene fatta risalire ai vermocani, le bestie della mitologia greca che si diceva fossero simili a colossali mastini privi di zampe, pronti a risvegliarsi nelle notti umide di primavera, alla ricerca di una vittima da ghermire e divorare. La specie più comune di questa classe di creature, la Hermodice carunculata, misura appena 30 cm ed è anche denominata verme di fuoco, per le setole urticanti di cui è ricoperta. Ma il vero demone resta soltanto quello con gli unghielli laterali affini alle zampe di un millepiedi, come qui mostrato, l’Eunice aphroditois, famelico e praticamente indistruttibile, parimenti all’Idra di Lerna, che Ercole sconfisse solamente grazie al fuoco. Assai difficile da usare, sott’acqua…

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