Un altro inverno per il treno dedicato ad Evangelion

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Persino in un mondo fondato sul concetto di utilità e convenienza, efficienza, puntualità, come quello delle ferrovie super-veloci del Giappone, è difficile che qualche volta non si fuoriesca dal metodo e dai risultati attesi, per offrire al grande pubblico un assaggio di quelle passioni, il sentimento e il desiderio di lasciare un segno positivo nell’altrui giornata, che animano tutti, dal disegnatore di anime all’addetto alla biglietteria della stazione. Veri e propri pilastri del sentire umano, questi, che possono apparire chiari grazie a un gesto, un’invenzione o una parola. E se sei abbastanza in alto nella gerarchia di un’organizzazione, anche nel colore scelto per un mezzo di trasporto: un viola intenso. Con qualche dettaglio in bianco e verde velenoso, in un’insieme estremamente riconoscibile per molti di noi: quello dell’EVA-01, uno dei robot di fantasia più celebri nella storia dell’intrattenimento televisivo contemporaneo, nessun paese escluso. Ovvero il mecha (mezzo pilotato) di Shinji Hikari, il sofferto nonché sofferente eroe di Shin seiki Evangerion del 1995 (letteralmente: Il Vangelo del Nuovo Secolo) riconosciuto universalmente come il massimo capolavoro dell’eclettico regista e animatore Hideaki Anno, particolarmente celebre per la sua concezione piuttosto libera del concetto stesso di “intreccio logico narrativo”. Ed era stata, questa, una storia ritenuta degna di far notizia, per lo meno in determinati circoli del settore, a partire da novembre del 2015, data in cui un vecchio treno iper-veloce della serie Shinkansen 500, spostato fin dal 2010 assieme agli altri dello stesso modello dalla linea principale Tokaido/Sanyo a quella secondaria tra Hakata e Shin Ōsaka, aveva ricevuto la particolare livrea, in occasione di una fortuita corrispondenza tra il 40° anniversario della linea Sanyo ed il 20° dell’iconica serie animata. Un tipo di brandizzazione, priva d’immediati esiti commerciali (non c’erano nuovi film o episodi in uscita, con l’ultima produzione rilevante che risaliva ad almeno due anni prima) comunque tutt’altro che rara in Giappone, dove interi hotel o ristoranti vengono dedicati quasi mensilmente a saghe storiche dell’immaginario come Gundam, Hello Kitty, Super Mario… Molto spesso, per un periodo estremamente limitato, come del resto doveva succedere anche con l’intrigante treno in questione: si prevedeva, in effetti, che la collaborazione dovesse giungere a conclusione per l’imminente marzo del 2017, se non che, viste le proteste del pubblico e la rilevanza avuta sulla stampa internazionale, la compagnia delle Japan Railways ha annunciato il mese scorso l’intento di estenderla fino ad almeno la primavera del 2018. E chissà che in questo lungo tempo ancora a disposizione, non si giunga alla conclusione che meriti di diventare permanente…
Tutto è possibile. E se c’è un cartone animato appartenente a quel media nettamente riconoscibile separato che sono gli anime, degno di essere proiettato al centro dell’attenzione dei pendolari di un intero paese, è certamente quello che racconta dei tre giovani piloti di robot costretti dalle circostanze a contrastare gli Angeli, misteriosi esseri sovrannaturali fermamente intenzionati a distruggerla sulla base di un misterioso intelletto alieno. Pieno di sofisticati riferimenti al Vecchio Testamento cristiano, alla cabala ebraica ed al folklore shintoista giapponese, benché spesso funzionali ad una visione stilistica più che spiccatamente narrativa, la serie di Evangelion è stata secondo molti la scossa rivitalizzante di cui il mondo degli anime aveva fortemente bisogno alla metà degli anni ’90, quando il progressivo imporsi di stilémi ripetitivi e stanchi, assieme alla scelta spiccatamente commerciale di creare serie finalizzate al merchandising da un numero spropositato di puntate, sembravano stare condannando questo mondo creativo ad uno stato di sempre minore rilevanza. Perché non cogliere quest’occasione, dunque, per immergerci all’interno di questo mondo, grazie all’ottimo lavoro fatto dallo stesso Anno e dal designer originario dei (memorabili) robot della serie, Ikuto Yamashita, nel curare l’allestimento interno del più originale treno del Giappone?

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Ultime notizie sull’automobilina preferita dal web

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Ci sono invenzioni che nascono all’interno di laboratori, frutto dell’opera di schiere d’ingegneri, analisti di mercato, scienziati stipendiati dall’estabilishment delle grandi multinazionali. Ci sono dei prodotti, venduti a puro scopo di profitto, che in aggiunta a questo sono il frutto concettuale di un sincero desiderio di cambiare le cose, il mondo e la società. E poi c’è PodRide, l’innovativa creazione dell’ingegnere norvegese Mikael Kjellman, che è la risposta alla domanda molto personale di “Come posso continuare a recarmi a lavoro in bicicletta, anche nel pieno dell’inverno e a una distanza maggiore del precedente impiego?” Così tutto, nel suo video di presentazione, nelle scelte operative e nei pochi materiali pubblicitari prodotti fin’ora, sembra indicare un semplice desiderio di condividere l’idea , per permettere anche ad altri di provarne l’utile divertimento. Famoso resta il suo tono di voce pacato e quasi speranzoso, che fin dallo scorso maggio, data di presentazione del veicolo, ha giustificato la creazione d’iperboli internettiane sul tipo di “Quest’uomo è un bambino ingenuo che va protetto!” oppure “Vorrei che mi leggesse una fiaba tutti i giorni all’ora di andare a dormire…” Mentre altrettanto valida a conquistare il cuore dei passanti digitali, si è rivelata la scelta di design di costruire la sua velomobile dalla pedalata assistita con un aspetto complessivo degno della più buffa e graziosa tra le city car moderne.
Approfondiamo: velomobile. Un termine che indica, come forse molti di voi già sapranno, un tipo di bicicletta generalmente reclinata (in questo caso, pedelec) nella quale l’utilizzatore viene rinchiuso in un abitacolo, al fine di garantire una maggiore sicurezza, protezione dalle intemperie ed un’aerodinamica efficace. Più pesante, per ovvie ragioni, della classica due ruote, e per questo popolare in genere soltanto nei paesi dal clima relativamente ostile, dove le sue doti migliori hanno modo di brillare dinnanzi alle alternative più tradizionali di trasporto muscolare. Immaginate voi, l’eccezionale praticità: un mezzo di trasporto in grado di effettuare i normali giri quotidiani, con tutta la sicurezza di un automobile, ma senza spese per la benzina, l’assicurazione… Un’aspetto, di questi tempi, particolarmente difficile da trascurare. E ciò ancor prima di entrare nel merito della questione ecologica, al cospetto di un sistema che permette di ridurre le proprie emissioni per ragioni di trasporto fin quasi allo zero, fatta eccezione per gli idrocarburi prodotti assieme all’elettricità necessaria per ricaricare le batterie. Possibile, alla fine? Che il pianeta possa essere salvato, almeno in parte, semplicemente affidandoci a una soluzione differente per raggiungere i diversi luoghi della città? In questo, se non altro, l’automobilina sembra essere un passo nella giusta direzione. Benché, va pur detto, dall’epoca della conclusione della campagna di crowdfunding su IndieGoGo risalente alla scorsa primavera, non se ne sia praticamente più parlato. E questo perché il prototipo in possesso di Kjellman resta, ad oggi, l’unica PodRide mai costruita. Ma qualcosa si muove finalmente all’orizzonte, e forse ben presto avremo delle ottime, attesissime notizie.
“Caro finanziatore del progetto, ci scusiamo di non aver pubblicato aggiornamenti negli ultimi tempi” si legge sulla pagina rilevante della campagna, parafrasando un messaggio risalente alla metà di settembre: “Ma abbiamo incontrato due contrattempi. Il primo è quello relativo all’assunzione a termine di un designer specializzato in biciclette, poiché tutti quelli da noi contattati erano impegnati per un periodo di fino a 12 mesi. Il secondo è relativo ai software da impiegare per il progetto: ci siamo purtroppo resi conto che le soluzioni gratuite non ci permettono di essere in linea con quanto usato dai nostri fornitori. Per questo, siamo attualmente in attesa di una licenza per startup fornita direttamente dalla compagnia informatica, un processo senza tempi limite determinati. Resta tuttavia sicuro, caro finanziatore [sempre più comprensibilmente agitato n.d.a.] che stiamo lavorando alacremente per te.” Si tratta del solito problema di questo tipo di campagne di raccolta fondi, i cui partecipanti online tendono a sentirsi, in maniera totalmente immotivata, come dei comuni clienti, e si aspettano un prodotto terminato in tempi brevi. Quando il creatore di PodRide, in effetti, è sempre stato molto più sincero di altri, dichiarando chiaramente la sua inesperienza in diversi aspetti di base della sua creazione. Che di per se, meriterebbe tutto il tempo necessario per raggiungere l’ultimo coronamento…

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Il vero significato della parola “trenino”

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E QUELLA me la chiami locomotiva? Codesto metallico trastullo, vorresti considerarlo un degno cavallo d’acciaio? Una tale cromata cosa, intenderesti consegnarla ai posteri con la nomea di “Gran Signore della Strada Ferrata”? Per piacere, non scherziamo! Macchinista, conducente, manovratore, operatore, locomotorista… Ché qui, le cose sono due: o tu guidavi i treni per davvero, finché un giorno, fulminato dal senso poetico di un tale gesto, non ti sei deciso a farlo pure in casa, ricorrendo al pratico strumento della riduzione in scala. Oppure, la tua più sincera passione è l’energia del possente Vapore. E non c’è davvero limite, in tal caso, a quello che potresti giungere a far sbuffare!
Quando si parla della scala dei trenini più popolare al mondo, volendo essere specifici al massimo (come pretende l’ambito altamente tecnico e quasi ingegneristico di chi guida treni per sport) non ci si sta riferendo ad altro che a quella identificata con la dicitura HO, ovvero la 1:87. Il che, in termini pratici, pone una locomotiva alla lunghezza approssimativa di una matita, mentre prevede le rotaie distanziate di pratici 16,5 mm. Certo, girando il mondo ne esistono di MOLTO differenti. Gli inglesi ad esempio, con la loro usuale propensione a distinguersi, impiegano comunemente la scala OO, leggermente più grande (1:76) mentre in Germania coesiste, in parallelo alla HO, anche la classe dei trenini G, in grado di raggiungere e superare una scala di 1:29: stiamo parlando, per intenderci, di rotaie distanziate di 45 mm, con vagoni lunghi, all’incirca, quanto un avambraccio. Ma è subito al di sopra di questo “ragionevole estremo” che le cose iniziano a farsi davvero interessanti. Perché superando la scala 1:20, succede qualcosa di molto particolare: la fisica terrestre inizia a permettere un qualcosa di particolarmente l’impiego di un sistema di propulsione comparabile, sotto molti aspetti, a quello delle locomotive full-size. Uno spettacolo… Appassionante. Ciò è guardare all’opera Ernie Beskowiney, presso la Bitter Creek Western Railroad in California, ferrovia privata con scartamento di 7 pollici e mezzo (200 mm ca.) mentre mette in condizioni operative la sua spettacolare Canadian National #6060, una riproduzione in scala della locomotiva soprannominata dagli abitanti del vasto Nord Bullet Nose Betty, in funzione della parte frontale dalla forma a cono. Il magnifico apparato, che una volta deposto a terra risulta in grado di raggiungergli l’altezza della vita, ha richiesto all’incirca 35.000 ore di lavoro per raggiungere un simile grado di perizia nella ricostruzione in scala 1:8 dell’originale e può sviluppare, grazie alla sua caldaia a gas propano, fino a 220 Kg di trazione. Il che significa, a voler essere diretti, che può trainare un treno di fino a 48 persone.
Ed è veramente questo, alla fine, il nesso principale della questione? La mera, semplice potenza? Piuttosto che il desiderio di creare un qualcosa di unico, in grado di lasciare il segno all’interno di un àmbito in cui l’espressione personale è tutto, e offrire una visione al mondo della gioia che possono dare i treni, diventa quasi autonomamente il senso ultimo della giornata… Voglio dire, si può anche decidere arbitrariamente che le cose grandi siano in automatico più belle (molti lo fanno) ma il punto distintivo è la funzione. Ciò che serve ad uno scopo  ben preciso,  quale trasportare cose o persone fino alla stazione successiva, può essere ammirevole, stupendo, significativo. Ma mai davvero, buffo e divertente. Diventa quindi tutto, una questione di priorità…

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L’unico attrezzo che permette di rapire un albero

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Sentirsi piccoli non è difficile. Guardare fuori la finestra, verso il cielo vuoto e distante, o lasciar spaziare lo sguardo durante una scampagnata, per andare a perdersi con l’immaginazione tra le valli e i colli verdi, rotolando con la mente verso Sud. Un esercizio appagante, anti-stress, che aiuta ad allontanare la pressione gravosa dei propri problemi quotidiani. Ma che a volte, può peggiorare le cose. Per chi vive unicamente nel presente. Per tutti coloro che hanno una visione umanocentrica del mondo. Per chi ama i giardini piccoli, soprattutto perché in essi c’è il dominio della volontà sulla natura: quegli alberi e i loro svettanti rami! Le radici ben piantate, nel profondo della terra, che s’inoltrano fameliche tra i tubi che conducono alla propria sacra abitazione… Il tronco piantato, con le migliori intenzioni, dai precedenti proprietari del terreno, e che adesso incombe, prevenendo la realizzazione dei progetti che richiedono lo spazio per germinare. Si può giungere ad odiare una pianta? Probabilmente, si. E il séguito di questa storia, inevitabilmente, non ha proprio niente di particolare. Qualcuno impugna un’ascia, oppure una cornetta del telefono, con la stessa definitiva intenzione. Un taglio netto col passato, l’annientamento ostile della vita, affinché altri esseri, più vividi e fecondi, possano produrre nuove determinazioni degli spazi. Se invece il sentimento era più un senso vago di fastidio, oppure se si da valore all’antica forza stolida della corteccia, e si desidera evitare l’arbustocidio, allora si, che le cose iniziano a farsi veramente interessanti. E molto, molto complicate.
Intendiamoci, trapiantare un albero con la pala veicolare è un’attività che può trovare origine da molte specifiche necessità. Gli stessi vivai arboricoli, venditori di virgulti relativamente cresciutelli, difficilmente potrebbero affidarsi unicamente la metodo fondato sul sudore della fronte. Alcune amministrazioni cittadine particolarmente attente ai meriti dell’ecologia, nel frattempo, si affidano a sistemi simili per fare spazio alle loro nuove piazze o strade. Nessuna picea resta indietro! Nel caso di progetti architettonici di alto prestigio, invece, non c’è ornamento più efficace che un pino, un acero o un abete, rigorosamente già adulti e collocati ove lo sguardo dell’osservatore deve scendere verso il terreno, incontrando nuove linee del disegno avveniristico, o nel caso più meramente pratico, la semplice porta d’ingresso dell’edificio. Il punto di arrivo, insomma, quel buco precedentemente scavato nel terreno per accogliere il nuovo inquilino vegetale, può essere concettualmente anche quello di partenza: perché se lo scopo era soltanto TOGLIERE l’albero, perché mai fare tutta questa fatica? Che non è, sia  chiaro, di natura muscolare. Niente affatto, ed è proprio questo il punto: l’avrete certamente notato nel video soprastante della Treemovers, compagnia di Purcellville, Virginia, Stati Uniti, egualmente nota per la sua rapidità nel creare spazio a discapito dei nidi soprastanti, almeno quanto lo è per la sua nursery, presso cui è possibile acquistare molte specie differenti di portatori della corona di foglie: ciliege, querce, cipressi, salici piangenti… C’è n’è un po’ per tutti i gusti. Soltanto, prima di ordinare, vi consiglio di documentarvi con i video a seguire. L’operazione di trapianto, sotto diversi punti di vista, potrebbe risultare impressionante.
A cominciare dall’estrazione dell’esemplare scelto: nel caso mostrato in apertura, la pala veicolare impiegata per l’impresa era del tipo più grande, con lame curve concepite per adattarsi a molte dimensioni di albero senza tagliare una quantità eccessiva di radici. La quale, aprendosi lateralmente per avvolgere completamente il tronco, ha quindi iniziato a penetrare inesorabile nel terreno… C’era inoltre un attrezzo montato su un carrello elevatore e del tipo semi-troncato, su cui la compagnia faceva affidamento solo per scavare il buco di destinazione. È facile immaginare come un tale impiego in parallelo abbia velocizzato la missione.

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