Eclissi gialla sulla miniera: storia della ruspa che poteva oscurare il sole

Esiste questa idea secondo cui il tirannosauro fosse l’animale più potente del Cretaceo, un assoluto superpredatore incontrastato nel dominio del suo legittimo regno d’appartenenza. Un preconcetto assunto per antonomasia, trasferendo le sue proporzioni in un contesto moderno, dove cesserebbe quel dualismo sincretistico che vede confrontarsi gli agili, scattanti carnivori con i mastodontici ed inamovibili mangiatori di piante. Ma così come oggi l’unico il vero re della savana è l’elefante, esistevano in quell’epoca sauropodi, vedi l’argentinosauro o i titanosauri della Patagonia, di fronte a cui il frainteso gallinaceo alto come una palazzina di due piani sarebbe rapidamente impallidito sotto le sue piume, dopo una contemplazione delle proprie chance di abbattere un bersaglio tanto più imponente di lui.
Trasferiamo adesso tale termine di paragone all’attuale conduzione operativa di una miniera a cielo aperto. Il tipo di ambiente antropogenico dove ogni singola creatura si vede attribuita un ruolo estremamente pratico, incluse quelle fatte di acciaio, gomma e fluido idraulico all’interno di così possenti vene. Come i camion da trasporto, addetti alla logistica e i bulldozer che preparano i siti di scavo, appiattendo la sacrificabile (?) cima di montagne per ottimizzare le opportunità di guadagno future. E gli escavatori dragline con i loro bracci perpendicolari, situati in zone strategiche per sollevare, filtrare e suddividere il materiale. Ma se ora vi dicessi che qui esiste uno strumento, la cui versatilità inerente è tale da riuscire a garantirgli la più alta mobilità in proporzione alla massa ed al tempo stesso, l’effettiva propensione di poter assolvere a ciascuna di tali diversificate mansioni? Come se fosse, al tempo stesso, la tigre ed il dragone. Il cavallo ed il rinoceronte. Lo squalo e l’anfisbena. In linea di principio, potreste conoscerla molto bene: è la ruspa. Bensì trasferita a proporzioni che oggettivamente sfuggono alla comprensione subitanea dell’immaginazione individuale. Un tipo di veicolo sovradimensionato che oggi trova il produttore maggiormente celebre nell’azienda giapponese che prende il nome dalla città dove fu fondata un centinaio di anni a questa parte. La Komatsu Ltd, il cui operato è da tempo sinonimo di competenza, affidabilità e… Ambizione. Quella di poter assolvere, con i suoi modelli prodotti in serie, ad esigenze del movimento terra dalle proporzioni totalmente prive di termini di paragone. Un sentiero al cui termine ideale possiamo individuare la PC8000, negli ultimi tempi diventata popolare su Instagram e Tiktok grazie a una serie di comparative videografiche tra la sua massa e quella di un bipede senziente del pianeta Terra. Con il secondo pronto a divenire, in quel contesto, la passiva equivalenza di un mero stuzzicadenti con distinte capacità deambulatorie…

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Dalla Svizzera una ruspa intelligente in grado di creare muri dai macigni sparsi

Una mente realmente efficiente non può fare a meno di essere slegata dal proprio corpo. Dopo tutto non è forse proprio questo l’obiettivo dell’attività meditativa associata a tante religioni e discipline orientali? Alleggerire, liberare il pensiero, per tornare sulla Terra liberi dalle catene metafisiche capaci d’intrappolarci ancor più strettamente della gravità stessa. Ma soprattutto, tale stato riesce ad essere desiderabile in tutti quei casi in cui ci si avvicina ad una mansione creativa, intesa come valida attribuzione delle nostre abilità inerenti ad uno scopo pre-determinato. Come dipingere un quadro. Scrivere un romanzo. O costruire un muro. Del tipo a secco, s’intende, ovvero privo di un medium che obbliga i componenti ad aderire l’uno all’altro, risultando per di più questi ultimi la risultanza pressoché diretta di un processo produttivo pregresso. Niente affatto, capo! Anche perché si tratta di un approccio che inerentemente implica difficoltosi aspetti da considerare: il costo in termini di tempo (ed impronta carbonica) d’immense, sempre più numerose fabbriche di mattoni; la necessità logistica di trasportare il materiale a destinazione fin da un centro operativo distante. Nel mentre un esperto addetto ai lavori ben capisce come niente di più comune occupi gli spazi delle nostre valli e pendici montane, che letterali laghi di macigni, oceani di massi, diluvi di detriti sovradimensionati. Esattamente quel tipo di orpelli che gli antichi, tanti secoli o millenni a questa parte, avevano imparato a sovrapporre come in un gioco spaccaschiena del Tetris, creando un tipo di elementi architettonici capaci di superare indisturbati il passaggio delle generazioni. Ed è proprio questa l’idea del macchinario dotato di una “sua” mente, rigorosamente artificiale, creato dal precedente ricercatore del Politecnico di Zurigo, Ryan Luke Johns, ad oggi CEO della sua startup per il settore dei contractors, o per meglio dire un settore che a partire da un domani potrebbe anche fare a meno dei contractors stessi. Grazie a un circo di robo-animali di cui l’oggetto qui presente potrebbe anche essere soltanto il precursore. Pur risultando incomparabilmente, innegabilmente utile in ciò che gli riesce meglio. Definito HEAP (Hydraulic Excavator for an Autonomous Purpose) esso tende a presetnarsi come un Menzi Muck M545 da 12 tonnellate con configurazione “camminatrice” o “a ragno” dotato di una quantità superiore alla norma di sensori e tecnologie di rilevamento. Questo per la predisposizione a ciò che riesce ad essere una rara prerogativa: quella di muoversi e operare nella più totale assenza di un guidatore umano. Mentre sposta, solleva, seleziona ed osserva attentamente i suddetti agglomerati minerali prima d’impegnarsi a sovrapporli in una configurazione particolare. Quella necessaria affinché, spalleggiandosi l’uno con l’altro, si sostengano a vicenda per molti anni a venire…

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Ragno draga o drago-ragno? Mostri robotici al servizio del pianeta zero

Nella traduzione in lingua inglese della terminologia agricola indonesiana, il termine watermaster (ahli air) si riferisce a un’importante figura professionale incaricata di sovrintendere all’irrigazione e la distribuzione delle acque d’irrigazione incaricata, come un giudice civile, di allontanare ogni possibile accenno d’iniquità. Ma basta spostarsi lievemente più a settentrione, presso l’arcipelago delle Filippine, per andare incontro a un riconoscimento pressoché istantaneo di questo termine direttamente riferito a un particolare tipo di macchinario, prodotto da un’azienda finlandese e successivamente venduto nei paesi dove maggiormente poteva risolvere annose questioni d’urbanistica e mantenimento del territorio. Fin da quando i popoli di provenienza austronesiana ebbero l’opportunità di colonizzare la verdeggiante isola di Mindanao, attorno al 1500 a.C, i loro insediamenti ebbero a che fare con le periodiche inondazioni del Rio Grande di un tale terra emersa, incline a straripare causa l’ingombro stagionale causato dai giacinti d’acqua (Pontederia crassipes) tutt’ora inclini a causare, successivamente alla sfioritura, un potenziale disagio capace di coinvolgere una quantità stimata di 6.000 famiglie. Ipotesi inerentemente meno incline a concretizzarsi, tanto più il governo opera nel raccoglimento del suddetto materiale vegetale e la conseguente dragaggio dei fondali, mediante l’applicazione operativa di sistemi tecnologici moderni. E cosa, meglio della macchina prodotta a partire dal 1986 presso gli stabilimenti della Watermec, azienda facente parte del conglomerato nord-europeo LMCE Lannen Group, potrebbe mai contribuire al laborioso sforzo necessario al fine di corroborare un tale sforzo collettivamente utile al benessere di un intero paese?
Come un Transformer sceso dal suo camion di trasporto (perché momentaneamente troppo pigro per assumere la forma antropomorfa) Watermaster è il dispositivo tutto-in-uno che risulta in grado di operare fuori e dentro l’acqua fino a una profondità di 6 metri, mediante l’impiego di un possente braccio idraulico, per rimuovere piante, detriti o il fango stesso, al fine di ripristinare lo stato primigenio di una condizione soggetta a progressivo peggioramento. Poiché l’impatto antropogenico sull’impronta idrica del paesaggio, causa la costruzione di ponti, viadotti ed altre infrastrutture (dighe, persino!) non può essere certo d’aiuto al naturale scorrimento dei fiumi, rendendo una simile tipologia d’interventi niente meno che auspicabili per un ottimale “scorrere” dei giorni presenti & futuri, possibilmente medianti l’impiego di sistemi versatili almeno quanto questo. Punto fermo di un simile sistema operativo, per l’appunto, risulta essere la sua (quasi) totale indipendenza: nessun tipo di rimorchio, gru o sistema di traino dovrà essere impiegato per far raggiungere alla draga l’oggetto della sua professione, grazie all’insolita inclusione nel progetto di partenza di quelle che potremmo definire, a tutti gli effetti, una doppia coppia d’insolite zampe. Costituite nella parte frontale dagli stabilizzatori a forma di disco volante posti al termine di un lungo snodo idraulico, concepiti per poggiare sul fondale durante le manovre operative, così come la coppia di pali estensibili e direzionabili localizzati posteriormente alla cabina di guida, altrettanto utili nel sollevare o spingere in avanti l’intrigante mostro meccanico strusciando sullo scafo rinforzato, verso le accoglienti acque per cui trova il suo più saliente ambiente d’impiego. Con un moto deambulatorio tutt’altro che veloce o regolare, la draga motorizzata raggiunge quindi l’argine ed in breve tempo, riesce ad abbassare se stessa fino ad un contesto idoneo di galleggiamento. Situazione in cui, senza nessuna propensione al compromesso, può passare al sistema propulsivo di una praticissima, e ben più situazionale elica intubata…

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Fortemente inarrestabile: un’altra macchina che taglia via le cime delle montagne

Dopo il diciannovesimo anno di dure battaglie, l’andamento della guerra iniziò una progressiva inversione di tendenza. I coloni dell’Impero di Alpha Centauri, che sin da principio non si erano fatti particolari problemi a rispedire al mittente interi asteroidi grandi quanto le antiche navi-arca, che molte generazioni prima avevano permesso all’uomo di disseminare se stesso nel cosmo come un virus, stavano iniziando a perdere sanguinosamente terreno. Grazie alle vittorie ottenute nel settore perduto, sotto il comando di ammiragli veterani, ma anche e soprattutto all’opera di un sol uomo: Kaizer Boyd, dalla cabina di comando del suo mecha grande quanto un grattacielo. 5.600 tonnellate di acciaio, secondo le cronache (nonostante il nome ufficiale della Federazione sembrasse riconoscergliene appena 5 migliaia) per 160 metri di lunghezza e 40 di altezza. Talmente imponente che una volta fatto sbarcare dall’orbita di un pianeta conteso, arrestando a malapena la sua caduta grazie all’uso di retro-reattori eiettabili una volta raggiunta la superficie, poteva muoversi soltanto grazie a un metodo ben collaudato, mentre agitava in giro la terribile proboscide scavatrice. Niente ruote, né cingoli o altri sistemi inerentemente condannati a sprofondare in qualsiasi luogo non fosse come 55 Cancri, il pianeta fatto interamente di diamante: bensì, saltelli sul suo singolo piede colossale, in maniera non dissimile da uno yokai monocolo delle leggende folkloristiche giapponesi. A un ritmo di sicuro non velocissimo, mantenendo ad ogni modo la certezza di raggiungere il suo fine ultimo in ciascuna circostanza: il raggiungimento e conseguente invasione armata, delle capitali sotterranee difese strenuamente dagli spaziali, le cui armi non potevano semplicemente penetrarne la corazza forgiata nelle rinomate fabbriche di Marte.
Di sicuro in un’ipotetica storia fantastica di guerre future, l’enorme scavatore RK 5000.0/R10 costruito e gestito dal vasto conglomerato ČEZ’ (České Energetické Závody) sotto l’etichetta PRODECO, avrebbe avuto un ruolo assolutamente di primo piano. Grazie all’imponenza tale da farne uno dei costrutti semoventi più grandi che abbiano mai calcato la terra ferma, ma anche quelli maggiormente in grado di pesare, in più di un modo, sull’ambiente naturale d’impiego. Operativo sin dai primi anni ’80 presso la Miniera di Lignite dell’Esercito (Lom Československé armády o più brevemente, Lom ČSA) situata nella parte settentrionale della regione di Boemia. e così efficientemente rappresentata grazie allo strumento digitale del time-lapse, nella ripresa caricata come unico contenuto sul canale YouTube di Ibra Ibrahimovič, un probabile (?) filmmaker locale. Oggetto controllato nella realtà dei fatti da 6 membri dell’equipaggio e fatto lavorare grazie a un insolito sistema ibrido sia idraulico che alimentato elettricamente. Ed è in effetti facile notare a quest’ultimo proposito, la presenza del veicolo dotato dell’ingombrante bobina di cavo, appartenente assai probabilmente alle una delle serie della PRODECO SchRs o ZPDH, esso stesso già più grande di qualsiasi autocarro abbia calcato, a memoria d’uomo, le strade asfaltate europee. Mentre gli stessi camion da miniera incaricati di raccogliere il materiale, essi stessi non più “piccoli” di 300-400 tonnellate, non appaiono dissimili da puri e semplici giocattoli di un bambino. Ma è il surreale movimento della nave madre, accelerato fino a 300 volte a seconda della scena, a rimanere maggiormente impresso allo spettatore, mentre il ciclopico implemento si solleva, compie un passo in avanti e quindi scende nuovamente a terra, con un suono ritmico simile a un peana tribale. L’unica metodologia possibile, nei fatti, perché possa estendere la sua portata verso nuovi territori di conquista…

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