La sanguinosa decisione generazionale della sula

Con un movimento sismico al rallentatore, lui si gira in ogni direzione allo stesso tempo, quindi solleva prima un piede, poi l’altro. Ammirandone la colorazione azzurro intenso, segno di una nutrizione opportunamente salutare e conseguente robusta costituzione, lei squadra con attenzione il resto del suo corpo, inviando l’implicito segnale. Ecco le ali che si aprono, quindi, nel formare un simbolo simile a una “V” che si erge verso il cielo. Le teste si sollevano, i becchi si aprono all’unisono ad emettere un richiamo rauco, eppure significativo. Il seme è stato piantato, inizia una lunga storia d’amore monogamo, destinato a durare fino alla morte di uno dei due. Che sia questo, dunque, il primo capitolo di una tragedia, eternamente uguale a se stessa, che porterà alla sofferenza e il sangue d’innocenti versato tra i detriti che costituiscono quel “dolce” nido…
Per gli esploratori che per primi vennero a contatto con questi uccelli, nei mari tiepidi dell’America Centrale, non fu difficile decidere come chiamarli: bobo o booby che vuol dire “(lo stupido) clown” una creatura grande come un corvo e ad un tal punto incapace di comprendere la gravità e il pericolo a cui stava andando incontro di buon grado, da atterrare tranquillamente sulle navi, con la sua andatura dondolante simile a quella di un pinguino innamorato. Per poi finire subito infilzata negli appositi spiedini, poco prima di essere messa sul fuoco tra la festa e gli schiamazzi di un equipaggio perennemente in cerca di una pietanza saporita e gustosa. Eppure non c’è niente di goffo e impreparato, nello stile di pesca messo in campo da simili esperti volatili affini a i gabbiani, nel momento in cui gli riesce di avvistare un territorio adatto. Per tuffarsi verso il pelo dell’oceano da oltre un centinaio di metri d’altezza, raggiungendo una velocità di fino a 139 Km/h e divorando il pesce ancor prima di riemergere dai flutti e spiccare nuovamente il volo. Una visione impressionante, frutto di una lunga e complicata selezione naturale. Come ci è possibile riuscire a coniugare, dunque, tali aspetti tanto divergenti in una singola famiglia di animali? Che contiene per inciso anche i gannet o Morus, loro parenti prossimi ed originari delle regioni temperate del mondo, affini nei comportamenti e da molti punti di vista esteriore fatta eccezione per le dimensioni ancora maggiori. Il che non basta a liberarli, d’altra parte, della stessa implicita e fondamentale cognizione del concetto di eredità. Ascoltate per comprendere la verità: non c’è una vera malizia nella maggior parte delle scelte compiute, in modo sempre uguale, dagli animali. Al punto che potremmo arrivare a non definirle neppure delle decisioni elettive, sebbene tendano a implicare un’espressione di preferenza portata fino alle più estreme conseguenze qualche centinaia di migliaia, quando non addirittura svariati milioni di anni fa. E tutto ha inizio con lo schiudersi di quel primo, saliente uovo…

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Lo sguardo spassionato della volpe che conosce i segreti dell’ecologia tibetana

Per molti anni i critici, filologi, storici e semplici visitatori hanno discusso in merito all’antica questione: a cosa stava pensando esattamente, per lo meno nelle intenzioni dell’autore, la signora in abiti fluenti del Louvre? Colei che dentro un quadro realizzato da un attento scienziato (in proporzioni sorprendentemente piccole, o almeno così si dice) osserva con un mero accenno di un sorriso l’obiettivo della fotocamera ante-litteram, anticipando di parecchi anni l’efficacia comunicativa del profilo personalizzato per Twitter o Facebook. E sebbene sia difficile pensare che Leonardo, all’epoca del Rinascimento italiano, avesse anche una nozione vaga di cosa fosse esattamente, e dove si trovasse il Tibet, è indubbio un certo grado di somiglianza transitoria tra la Gioconda ed una delle abitanti maggiormente rappresentative, sebbene meno conosciute di questo luogo. Vulpes ferrilata è una cugina asiatica del genere di canide, basso, aerodinamico e furbesco, che tanti problemi arrecò agli altri animali della fiabe d’Esopo e i suoi successori. Che almeno al primo tentativo di descriverla, non sembrerebbe presentare un aspetto particolarmente distintivo: naso a punta, orecchie ritte sulla testa, corpo rossiccio nella parte superiore e bianco in quella inferiore, coda ragionevolmente folta che la segue nel suo cammino. Ma è man mano che i contorni si fanno più chiari, e l’animale più vicino, che le sue caratteristiche iniziano a prevalere: le dimensioni piccole, incapaci di superare i 3-4 Kg di peso; la testa squadrata e dalle proporzioni esagerate, quasi si trattasse di un cartone animato; le zampe troppo corte e infine, quello sguardo strano che ricorda la reazione di un pubblico di sconosciuti a una barzelletta raccontata male. Vagamente supponente, certamente carico di sottintesi, gli occhi sottili e la sua bocca ripiegata verso l’alto, in un contegno estremamente dignitoso ma così tremendamente “poco serio”. In altri termini la versione sottilmente diversa di un qualcosa di familiare, che potremmo aspettarci di vedere nei disegni di un naturalista inesperto o in forma tangibile, dall’altro lato del sottile velo tra universi paralleli.
Sarebbe certamente errato, tuttavia, presumere che tale astuta predatrice sia in qualsiasi modo meno attenta o abile delle parenti europee, data la mera necessità per sopravvivere di catturare, con trasporto e reiterata convinzione, ogni cosa piccola, pelosa e commestibile che si aggiri poco cautamente in mezzo all’erba alta della prateria. Il che vorrebbe riferirsi, nella stragrande maggioranza dei casi, al singolo & sfortunato caso dell’Ochotona curzoniae anche detto Pika del plateau (tibetano) roditore dal peso di 140 grammi che potremmo definire l’anello mai mancante tra il coniglio e la marmotta, il cui principale scopo nella vita sembrerebbe essere talvolta, per sua massima sfortuna, quello di moltiplicarsi e offrire la sua carne per il sostegno biologico di un’ampio ventaglio di predatori. Così non c’è alcun dubbio che la volpe delle sabbie, come viene a volta definita con un termine non mutualmente esclusivo, sia perfettamente in grado di riconoscere l’ingresso delle tane sotterranee di una simile preda, scavando e catturandola ogni qual volta se ne presenti la necessità. Benché preferisca, quando possibile e come dimostrato nel breve spezzone dal documentario rilevante della BBC (ce ne sempre uno, spesso con commento del riconoscibile Sir Attenborough) fare affidamento per la caccia su uno stratagemma decisamente più scaltro e funzionale…

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La farfalla senza un bruco, insetto che ha preso in ostaggio gli Stati Uniti

Splendide noi siamo, con le ali interne di un vivace color rosso, mentre l’altro paio sembra tratteggiato da un pittore pointillista, mentre l’estrema parte sembra ricordare strati sovrapposti di minuscoli mattoni. Come le altre appartenenti alla sottofamiglia delle Aphaeninae, spesso scambiate per farfalle benché siano solite spiccare, al massimo, dei lunghi balzi esplorativi. Entrando a pieno titolo, per lo meno in linea di principio, dalla mente aperta ed ammirata dell’entomologo, mentre ben diversa tende a risultare l’opinione di chiunque debba vivere per forza nei confini nel nostro vasto Impero. Che si estende, ormai da secoli, ben oltre i confini terrestri del giorno della notte… Perché un’invasione possa dirsi effettivamente riuscita al di là di ogni ragionevole critica storica, è necessario che unità su più fronti riescano a dividersi i compiti, in ondate successive finalizzate inizialmente a preparare, quindi improntate a conquistare, il territorio giudicato d’interesse da parte delle forze senza-volto incaricate di decidere l’impresa. Così noi cicaline della specie Lycorma delicatula ci preparammo, fin dalla metà del XVIII secolo, disponendo l’impiego di elicotteri ante-litteram, un’utile risorsa tattica e vegetale al fine di colonizzare il Nuovo Mondo. Quelli che potremmo individuare come costituiti, mediante il senno di poi, dall’effettivo involucro dei semi prodotti dall’albero del paradiso o Ailanthus altissima (in italiano, ailanto) originario della Cina e ingenuamente apprezzato dai molti popoli per la sua forma elegante e gli oltre 25 metri raggiunti in appena la metà della sua complessiva esistenza, generalmente non più estesa di 50 anni. Poiché nessuno avrebbe mai potuto prevedere, all’epoca, la maniera in cui quella pianta fosse in grado non soltanto di propagarsi a macchia d’olio, bensì resistere ad ogni tentativo di contenerne la diffusione, mediante la rinascita da poco più di un ramo o singolo pollone mentre diffondeva, con crudeltà quasi diabolica, un veleno tossico dalle radici, eliminando in maniera sistematica i propri potenziali concorrenti o vicini vegetali nei pressi del punto d’atterraggio del seme. Ma riempire quelle terre di ailanti, alberi importanti per il raggiungimento della fase adulta del nostro ciclo vitale, non era che il primo passo di un vero e proprio piano. Il cui ultimo e più irresistibile passaggio sarebbe stato destinato a richiedere, da quel fatidico momento, poco più di tre secoli a fronte degli ottimi collegamenti internazionali implementati all’epoca globalizzata dei commerci. Niente, in fin dei conti, avrebbe potuto funzionare meglio del carico di materiale edilizio risalente al 2014, destinato ai cantieri di Philadelphia e il resto della Pennsylvania… Dove secondo quanto ipotizzato dai tardivi studi di voialtri umani, si trovavano occultati i nostri padri e madri, ancora in forma embrionale, secondo quel metodo già dimostratosi capace di fornire il predominio territoriale in Giappone e Corea. In attesa del momento opportuno per fuoriuscire dalla sacca delle uova, per poi salire in cima a quelle piante che per tanto tempo avevano aspettato la loro venuta. E poi diffondersi da esse verso i notevoli tesori di quelle terre, tra cui gli frutteti, le vaste foreste, le viti usate per produrre il vino. Tutte piante egualmente vulnerabili, nonché deliziosamente utili, ad assicurare la vittoria ecologica della nostra prolifica genìa…

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Il volo al rallentatore degli insetti come non l’avete mai visto prima d’ora

L’espressione pratica di un cardine sommerso tra i molti aspetti del senso comune: “Chi ha provato il volo camminerà guardando il cielo, perché là è stato e là vuole tornare.” Affermò Leonardo da Vinci, come corollario dei disegni nei suoi codici dedicati alla tecnologia futura dei trasporti. Svariati secoli sarebbero dovuti passare, tuttavia, affinché il sogno avesse modo di essere portato a compimento, con diversi fallimenti significativi e molto spesso, causa di terrena sofferenza. Questo perché l’ingegnere tipo, con il naso rivolto verso l’alto, tentava d’imprimere nella sua mente la potenza, leggerezza e splendida leggiadrìa degli uccelli, tentanto di riprodurne le caratteristiche a una scala superiore. Ma il delicato rapporto tra peso, potenza e aerodinamica non può essere adattato in scala, così come 10 lupi non riescono a cacciare un bufalo che raggiunge circa un quarto della loro massa complessiva. Altrimenti, come potremmo spiegare gli effettivi risultati raggiunti dagli insetti, i più piccoli tra gli esseri capaci di sfidare (e vincere!) la forza gravitazionale della Terra, attraverso movimenti scattosi e sconclusionati, spesso imprecisi e qualche volta, addirittura, surreali…
Una visione forse non conforme allo stereotipo della questione, che riesce tuttavia ad essere particolarmente chiara una volta che ci si approccia all’ultima creazione di Adrian Smith, ricercatore presso l’Università della North Carolina che ha così scelto di puntare l’obiettivo di una telecamera con alta velocità di aggiornamento contro “I primi 10 esseri” che gli è capitato di trovare. Perché è chiaro, dall’osservazione del presente video, che se dalle nostre parti mettere circondare col retino una luce notturna a ultravioletti ci regala mosche, falene o zanzare, all’altro capo dell’Atlantico può regalarti l’occasione di conoscere qualcosa d’inusitato. A cominciare dal fuori programma, usato per rompere il ghiaccio e dare inizio alla sequenza, in cui un’ostinata e non meglio definita pteroforida (appartenente al gruppo informale delle “falene piuma”) si solleva in volo solamente con lo sprona della testa di un pennello, mostrando qualche problema a controllare l’assetto delle sue quattro ali ricoperte di una fitta peluria. La situazione inizia quindi a farsi più controllata con l’ingresso nella scena di una lucciola Photinus pyralis, tipica del Nuovo Mondo, che con piglio quasi marziali alza le sue elitre, elementi del carapace che proteggono le ali, scoprendo quest’ultime poco prima d’iniziare delicatamente a fluttuare. Ed è qui che iniziano le sorprese, di una carrellata estremamente interessante di creature scelte proprio perché mai documentate prima per immagini finalizzate a questo particolare ambito d’approfondimento: il coleottero infatti, dopo aver alzato le zampe anteriori con un gesto che ricorda quello di Superman, inizia a battere in maniera ritmica non solo gli arti aerodinamici finalizzati al volo, ma anche le loro stesse coperture, contribuendo in qualche modo alla perturbazione che produce la sua portanza, in maniera matematicamente difficile da prevedere. Le sorprese continuano, quindi, con la falena dipinta dei licheni (Hypoprepia fucosa) un’erebide descritta per la prima volta nel 1831, benché nessuno si fosse mai preoccupato di notare l’intrigante maniera in cui le ali si flettono durante il volo, piegandosi e invertendo totalmente l’angolo di attacco, mentre l’insetto calibra attentamente l’inclinazione e l’obiettivo finale del suo tragitto. “Sembra quasi di stare guardando un effetto speciale fatto al computer o un modellino animato di cera” afferma a questo punto ammirato il Dr. Smith, quasi rendendosi conto all’improvviso delle vette artistiche raggiunte quasi accidentalmente, mentre tentava, assai candidamente, di proporre al pubblico un qualcosa che nessuno aveva mai tentato prima di allora…

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