Pecorelle costruite senza il filo da cucito

Felt Sheep

Naturalmente il 2015 è l’anno della pecora e dunque non c’è niente di meglio, per finire il mese di Gennaio, che introdurre dentro casa propria un esemplare o tre di quelle classica tipologia di ruminante. Che non sarà buona da mangiare quanto il maiale né la mucca, ma del resto ha un ottimo vantaggio funzionale: può fornire quella lana, tutta quella lana calda e morbida e piacevole da includere nel proprio abbigliamento. Basta un prato ed una stalla, basta avere tempo per giocarci e fargli compagnia. Fino al giorno della tosatura. Svegliarsi una mattina, con l’uovo di gallina e un po’ di latte nella tazza, le forbici ed i ferri da cucito già perfettamente pronti ed affilati perché oggi, magari, un golf. Domani certamente il mondo (*del commercio digitalizzato grazie ad Etsy, Pinterest e tutti gli altri). Una pecora è un investimento, come l’assicurazione. Né si può soprassedere, del resto, sulla limpida soddisfazione di riuscire a far le cose da se; come i praticanti dell’antica arte dell’autosufficienza, per cui nulla importa, tranne il Sole, il mare, l’animale.  Il fiore, l’ago, il muro, il pane, il copricapo e lei, la pecora. Naturalmente. Calda, candida botte di vino.
Ma c’è un approccio nello specifico, quello praticato dalla scaltra ed abile creativa Maqaroon, al secolo Joanna Zhou, che potrebbe risultare maggiormente attraente agli aspiranti allevatori di Merino, Lacaune o similari; ha qualcosa a che vedere nella soluzione scelta per l’approccio produttivo, con le pratiche esteriori del Voodoo. In quanto consiste nell’approccio per creare in un effige l’animale in questione, usando il materiale frutto concettualmente imprescindibile di quella stessa creaturina: lana ben cardata, tutta aggrovigliata o per usare un termine dalla maggiore concisione, feltro, panno mobido e follato. Che non è proprio un tessuto e di sicuro non potevi trarne un pezzo d’abbigliamento, ma presenta i bei vantaggi di essere piuttosto malleabile, di riuscire a mantenere la sua forma. E soprattutto, di avere fibre tanto larghe da poter incorporare gli altri lembi di se stesso.
Così nasce questa idea piuttosto divertente, forse del tutto nuova (non saprei) per cui la praticante si procura una ricca serie di battufoli piuttosto colorati, li appallottola con cura, poi li unisce ed ecco come. Pugnalate, pungolate, infiocinate, l’una dopo l’altra e reiterate, lungo i punti maggiormente utili allo scopo. Finché alla fine, mirabile a vedersi, il tutto regge e resta insieme. È una forma di lavorazione tessile che sfiora il concetto della piccola scultura, eppure è semplice, nei suoi principi. Forse l’esempio più valido, proprio perché accessibile, resta questo delle tre pecorelle sovrapposte con il frutto sulla testa, che riprendono la forma del kagami-mochi, un popolare dolcetto giapponese per il nuovo anno, fatto con l’impasto di riso pressato, la cui duplice forma sferoidale rappresenterebbe, per la tradizione, l’incedere delle generazioni. Così, signora mia. Una pecora dopo l’altra, si perpetra la sequenza, direttamente dal prato, al consumatore, alla mensola della cucina. Dove alberga il sentimento di un secondo pupazzetto, parimenti rilevante alla gustosa situazione…

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100 cameriere giapponesi per un singolo pancake

100 maids

Qual’è il meglio, il non-plus-ultra? Una buona colazione cucinata secondo i crismi migliori delle pratiche civili, attentamente cotta sopra il fuoco: pancake, la frittella saporita. Ma il come certe volte supera il perché, fino alla perdita del senso della misura… Un giorno Genghis Khan, riposandosi dall’ultima delle sue terribili campagne militari, sorseggiava rumorosamente il suutei tsai nella sua splendida yurta, fatta con le pelli di duecento capre tibetane. D’un tratto, come colto da un’ispirazione, poggiò rumorosamente quella pesante tazza sopra il prezioso tavolo di legno zebrato, saccheggiato da una stazione di scambio sul Gandhara e ormai macchiato da mesi di schizzi di té lattiginoso. Scostate con gesto imperioso le due falde dell’ingresso, fece un passo sotto il sole e il vento delle steppe ormai quasi cangianti, al rischiararsi fervido dell’alba piena di opportunità. Quindi si voltò a sinistra: schiere di cavalli, colonne di fumo e i suoni contrastanti di quel vasto accampamento, archi, spade, lance e mazzafrusti che si scontrano tra loro. Guardando invece verso destra, incrociò lo sguardo un po’ perplesso di Ganzorig, la sua guardia personale: “Amico mio.” Disse il grande condottiero: “Qual’è, a tuo parere, il meglio della vita?” Spostando tutto il peso sopra il piede destro, poi quello sinistro, l’altro si accarezzò per una, due, tre, quattro volte la lunga barba. Infine,  spalancando gli occhi disse sorridendo: “Mio Khan! Le vaste pianure incontaminate, un cavallo rapido che risponda subito ai tuoi desideri, un falco sopra il polso da inviare a ghermire la tua preda!” Ma Genghis, dall’alto del suo metro e novanta, già scuoteva la testa in un turbine di ciocche fluenti: “No, per tutte le frecce acuminate!” Fece tonante: “È distruggere il nemico, vederlo strisciare ai tuoi piedi. Portargli via ogni ricchezza mentre ascolti il pianto sconsolato delle sue donne.” Un rivolo di saliva, assai probabilmente, a quel punto sottolineava il rictus maligno dei suoi occhi iniettati di sangue.
Soprassedendo sull’effettivo verificarsi di questo preoccupante aneddoto, narrato nel testo storiografico G.K: Emperor of All Men (Harold Lamb – 1936) e poi riutilizzato senza problemi particolari di adattamento nel film fantastico Conan il Barbaro diretto da John Milius (1982) è indubbio che tale citazione possa essere alquanto propedeutico ad una migliore comprensione, per inferenza, di uno dei più crudeli dominatori dell’epoca pre-moderna. Colui che fece sterminare, secondo stime relativamente accreditate, circa l’11% della popolazione mondiale, e che poi mise al mondo personalmente tanti figli da essere, ritengono gli stessi visionari bene informati, l’antenato di almeno uno su duecento di noi, doveva indubbiamente essere dotato di una certa tendenza al bipolarismo e agli strani vezzi del momento, quanto meno per metabolizzare tali e tante gesta sanguinarie. Indubbiamente, fu un uomo che sapeva godersi la vita, pur se ne spegneva molte, sulla punta spietata della sua incredibile ambizione.
Se oggi, ipoteticamente, dovessimo ispirarci a lui…. Goderci ogni momento come fosse l’ultimo, esaltare ogni sentimento: ridere come iene, piangere quanto le cascate di Hukou, meditare come la nube cinerea del vulcano di Nantai; quale sarebbe l’inizio della nostra giornata? Come esprimere, in un semplice momento, il desiderio incontenibile dell’uomo di affari, che sempre tende a dominare non soltanto la sua vita, ma il mondo stesso…

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L’unica pentola che mescola automaticamente il suo contenuto

Kurukuru

Kuru kuru! Kuru kuru! Quella vecchia volpe è un cuoco che ha girato, eccome. Ha girato il minestrone, ha girato il risotto, il pollo sull’arrosto, ha mescolato la polenta e le verdure. Ha girato anche il Giappone! Finché trovansi, per puro caso, la perfetta soluzione: un pentolone, attentamente costruito su basi termodinamiche, per praticare tale gesto in assoluta autonomia. Eccolo mentre si muove. Eppure, allora, evviva Galileo! Liberati dalla schiavitù dei broccoli, dal giogo dei carciofi, grazie all’invenzione titolare si potrà tornare alla cucina della prima volta pomeridiana, quando l’entusiasmo ci guidava, nel creare, invece che il dovere verso gli affamati e la fatica dei mondani. Sarebbe questa un po’ la chiave del problema, un lucido lumino in fondo al tunnel (carpale) di chi da il principio all’arte faticosa della mescolanza. Ché già l’alchimista nel laboratorio, oppur la strega col suo calderone carico di ali di pipistrello, occhi di serpente, pelli di leopardo, noci macadamia già sbucciate […] etc. etc. Praticavano, ciascuno, il gesto rilevante. Ma su scala differente: il primo con bacchette trasparenti ed alambicchi, per un rapida girata di momenti e aspettative. Per poi sublimare silenziosamente l’agognato risultato, spesso poco stuzzichevole, al palato. La seconda, invece, con un gran bastone o manico di scopa, mentre salmodiava l’incantesimo e il richiamo degli spiriti notturni, fino ai limiti della sopportazione delle orecchie dei presenti, per un filtro caustico e pericoloso. I tempi cambiano e con essi la scienza che si applica al bisogno, vero oppure percepito: così oggi il chimico, per sua prerogativa, ormai dispone di diverse approcci. Fra cui un particolare tipo di bottiglia, dotata di quello che si chiama correntemente lo stir plate, ovvero una piastra magnetica con relativo pillolone di metallo, messo dentro al fluido rilevante, per girare vorticosamente sul comando di un interruttore. Senza mani, senza piedi, soltanto gli occhi e la pazienza di guardare, per un tempo lungo e dopo mescere. L’argento e l’oro degli stolti.
Ma in tutta questa rapida corsa verso il futuro che semplifica, la ricerca continua dell’astrusa migliorìa tecnologica, qualcuno doveva essersi dimenticato del magister più importante in assoluto. Colui che comanda i fuochi dei fornelli, le camere iperboree dei forni a microonde, tutti quei coltelli e le dozzine d’ingredienti. Che offre tutto e in cambio ottiene dai sapienti, giusto una menzione e i complimenti, nulla più. Tanto che il cuoco, nonostante le ottime prerogative, ancora gira con le mani, mano a mano che gli serve e quindi Serve, finché non è pronto il pranzo e poi la cena. Ma che continui a farlo ancora a lungo, è tutta da vedere. Ecce, infatti, Kuru Kuru Nabe, la “Pentola girin girello”. Si tratta dell’ultimo frutto di una mente fervida ed attiva, nello specifico quella di Hideki Watanabe, dentista di Tobe, ridente cittadina presso l’isola di Shikoku, nel Giappone meridionale. Un luogo silenzioso e verdeggiante, piacevolmente temperato. Presso cui dedicarsi, tra una carie e l’altra, ai propri interessi e le passioni più gradevoli che riarrangiare i denti dei pazienti. Così pare, e per inciso, la sostanza del racconto è quasi leggendaria, che un giorno il buon dottore di periferia avesse un buco nei suoi appuntamenti. E un carico appena consegnato di polvere d’alginato, quella sorta d’intonaco impiegato per la realizzazione dei calchi odontotecnici, dal Cairo a Timbuktu. Nonché un bel pentolone da cucina lasciato lì presso la sala d’attesa, nel caso sopraggiungesse un improvviso languorino all’ora di pranzo (non giudicate) Al che lui, L da Vinci del passaggio orale, si mise a realizzare finalmente quella che era forse stata una sua vecchia idea: la colossale impronta scultorea, non di una dentatura con 32 candidi personaggi, uno meno, uno più, ma di una sorta di vortice apposto sulla parte interna del metallico implemento da cucina. Il risultato…

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Il pane russo senza carboidrati, né paura

Pane senza carboidrati

oggetto: #578345 / Tipologia: alimento in confezione da supermercato ; procedure di contenimento: l’oggetto sarà tenuto all’interno di una dispensa cubica rivestita in piombo e magnetite, di almeno sette metri di lunghezza. La superficie dell’area dovrà essere perfettamente liscia ed uniforme, con l’unica uscita di una porta blindata, spessa un minimo di 75 (settantacinque) centimetri e conforme alle specifiche di sicurezza di un caveaux di banca. Ogni interazione con l’oggetto verso l’ora di pranzo e cena, specie se a stomaco vuoto, viene fortemente sconsigliata.
Descrizione: l’oggetto #578345 si presenta nell’aspetto di una forma di pane in cassetta, contenuta all’interno di un involucro di plastica trasparente. Un’etichetta variopinta. di natura apparentemente pubblicitaria e non dissimile da quella presente sui barattoli di marmellata, riporta la dicitura “Facilmente digeribile, estremamente delizioso! (punto esclamativo)”. Secondo stime effettuate, lo sologan potrebbe essere falso. Se sollevato da terra, l’oggetto si dimostra stranamente pesante rispetto alle sue dimensioni, benché soffice e piuttosto malleabile. Analisi spettrografiche, effettuate a distanza di sicurezza, hanno rilevato la presenta di antimateria nel nucleo dell’oggetto. Nel 20**, sotto la supervisione dell’ex dipendente Dr. Dimitry G******, si è tentato di studiarne la composizione. Tutti i tentativi di accedere al di sotto della scorza esterna, mediante l’utilizzo di coltelli molecolari, raggi laser o trapani diamantati non hanno ottenuto alcun effetto degno di nota. Se attaccata, la forma di pane si dimostra cedevole, ma non friabile. Nel giro di pochi secondi, qualunque accenno di deformazione torna allo stadio precedente di assoluta regolarità.  La composizione chimica dell’oggetto lo rende potenzialmente commestibile, benché gli effetti sull’organismo umano di una simile anomalia, secondo gli studi effettuati, sarebbero probabilmente deleteri.
201* aprile, 2 – Appendice #1 , incidente #1: ALLARME, la sicurezza della stanza di contenimento #578345 è stata violata da un ex dipendente dell’installazione, Dr. Dimitry G******. L’oggetto è stato trafugato. L’effrazione, portata avanti con dell’esplosivo, ha danneggiato le pareti del corridoio sotterraneo n° 351. Si consigliano verifiche strutturali delle stanze #578344 e #578346. Le squadre di recupero sono già state allertate. Coincidentalmente, a seguito dell’evento è scomparso anche un inserviente di laboratorio, tale Mr. G**** NB: l’agente abusivo, o i suoi collaboratori, potrebbero aver mangiato il pane. Si ripete: POTREBBERO AVER GIÀ MANGIATO IL PANE.

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