Possedere gli oggetti, metterli in fila e guardarli, un giorno dopo l’altro. Questo è il passatempo preferito dell’otaku, almeno per come viene visto dal nostro lontano mondo d’Occidente. Svettanti cumuli di manga, gli albi illustrati giapponesi. Frotte di videogiochi, sciami di libri e di tutte quelle altre cose attraverso cui crescere da soli. E poi, un certo tipo di hobby. Non importa che sulle sue sconfinate mensole trovino posto schiere di possenti robot guerrieri, piuttosto che giovani fanciulle in pose provocanti, l’otaku archetipico troverà sempre un qualcosa da fare con le mani; costruire, dipingere, assemblare. Il fine ultimo è l’aver acquisito la collezione completa di… Però anche la via d’accesso, per un tale stato di grazia affine al Nirvana, è di per se gradevole e importante. Proprio per questo, alcune delle più affascinanti cose moderne giapponesi fuoriescono da scatole di montaggio, prevedono l’uso di colle specifiche e una mano ferma col pennello. Il repertorio di una stanza, perché possa davvero fungere allo scopo, va guadagnato un pezzo per volta, acquisendo le doti artigiane di un vero appassionato di modellismo. Qui ci vogliono tempo e capacità: solitari si nasce, o quantomeno si diventa con fatica. Questa visione, un po’ stigmatizzante, del giovane misantropo d’Oriente prevede anche un’altro aspetto, tanto diffuso quanto chiaramente approssimativo: tutti coloro che percorrono una tale strada sarebbero, senza eccezioni, uomini. I siti di e-shopping d’importazione ci offrono oggettistica perfettamente in linea con tale preconcetto: carri armati della seconda mondiale, jet militari e altre amenità guerresche. Possibile che nessuna bambina si dedichi a una tale pratica singolare? Dobbiamo pensare che le ragazze di quel paese, una volta cresciute, mettano da parte la Barbie americana, oppure la tipica casa di bambole in stile vecchia Inghilterra? Forse no. Guardate ad esempio questi piattini, deliziose minuscole cibarie, pranzo luculliano per gli gnomi. La quantità di dettagli, la varietà offerta sembrerebbero rivolgersi a un pubblico di giovani adulte/i, piuttosto che di bambine/i. Ecco forse una versione meno aggressiva di quest’ossessione tipicamente nipponica per il collezionismo, pensata per un pubblico più vasto. La prova dell’esistenza della otaku, ingiustamente, tanto spesso, dimenticata.
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Canto elettrico di matrioske giapponesi
La voce delle bambole è un concetto astrale che rientra tra i cardini psichici della sinestesia, l’irrealizzabile comunione tra i diversi mondi della percezione sensoriale. Se queste figurine antropomorfe potessero davvero articolare un pensiero, non sarebbero più degli esseri inanimati. Così ogni fantoccio, quando sottoposto allo sguardo degli umani, si cura di mantenere un rigido silenzio. Il processo esattamente inverso, d’altra parte, rientra tra le prerogative di un qualsiasi strumento musicale. Non tutti gli implementi acustici sono belli allo stesso modo, indipendentemente dal suono celestiale che potrebbero produrre; le vertiginose curve di una chitarra non assomigliano, per esempio, alla tozza gibbosità di un tamburello. L’arpa svetta nella sua splendida eleganza, mentre lo xilofono è uno grezzo susseguirsi di metalliche placche parallele. E poiché l’esperienza di un concerto all’auditorium è fondamentalmente purissima sonorità, nessuno mai si concentra sull’aspetto esteriore di quel che lo produce. Sarebbe controproducente e occuperebbe l’immaginazione. Senza contare che la musica una faccia ce l’ha già: quella di coloro che sanno metterla in pratica, tramite i gesti e la sapienza che proviene dallo studio. Strane vie d’accesso all’arte…
Non esistono bambole con più di un volto, tranne una: la matrioska, gestalt concentrica di 5,6,7 graziose fanciulle tondeggianti, ciascuna rappresentante un costume tradizionale della Madre Russia. E non ci sono strumenti più antiestetici di questo: il theremin, l’incredibile eterofono che fuoriuscì nel 1919 dall’officina del fisico sovietico Lev Sergeevič Termen, suo scopritore accidentale. Consisterebbe di due antenne perpendicolari, l’una per il volume e l’altra per la frequenza, in grado di percepire l’impedenza capacitiva di una mano umana. Si suona con piccoli movimenti oscillatori, simili a quelli di un direttore d’orchestra, producendo un sibilo altamente caratteristico e sottilmente inquietante, molto amato dai registi dei primi film di fantascienza e qualche volta usato anche dal grande maestro del brivido, Alfred Hitchcock. Qualcuno potrebbe chiedersi se c’è un modo di rendere adorabile una cosa così misteriosa e innaturale. La risposta viene, come spesso capita in questi casi, da uno dei paesi culturalmente più eclettici di tutto l’Oriente. Si chiama Matryomin e la produce l’azienda Mandarin Electron, di Shizuoka, Japan.
iPhone guerrieri contro i folli eroi dell’ukiyo-e
L’eterna discussione in merito al fatto che i videogiochi siano definibili “arte” è tanto sterile quanto priva di significato. Tutto può esserlo, oppure niente lo è. Il treno in corsa che fuoriusciva dal cinematografo dei primi del ‘900, spaventando il pubblico che temeva di restarne investito, era certamente un valido strumento per guadagnare qualche soldo, niente a che vedere con le creazioni senza tempo di Ejzenštejn, Kurosawa o Stanley Kubrick. Eppure qualcuno ci aveva pensato. Prendendo la sua cinepresa, mezzo tecnologico senza precedenti, l’aveva portata sui binari e si era applicato a fondo, realizzando un’idea. Ed altri, vedendone il risultato, restarono colpiti. Il gesto che produce un pensiero incorpora sempre un qualche tipo di merito ulteriore, sia questo minimo oppure più significativo, persino epocale. Le xilografie giapponesi del periodo Tokugawa (1603-1868) non erano in alcuna misura percepite come un qualcosa di prezioso, destinato ad influenzare la pittura di mezza Europa e in seguito la grafica contemporanea del mondo intero. Spesso, soprattutto agli inizi di questa particolare forma espressiva, venivano impiegate come prototipo del moderno volantino pubblicitario, realizzate in grande quantità per uno spettacolo teatrale, affisse sulle pareti degli edifici e poi gettate via, senza spenderci un pensiero. L’Olanda le ricevette, casualmente, come carta da pacchi per le ceramiche o spezie d’Oriente. A casa di Van Gogh, guarda caso, non mancava mai il wasabi. Queste stampe bistrattate, identificate collettivamente con il termine altamente poetico di ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante), nonché la raffinata tecnica per produrle, stanno acquisendo di questi tempi un’alta visibilità online, grazie al lavoro di Jed Henry e Dave Bull, rispettivamente la mente e il braccio di Ukiyo-e Heroes, la più eclettica compagnia nata dal crowd funding del portale web Kickstarter. Sono comparsi all’incirca l’anno scorso, realizzando la reinterpretazione in chiave tradizionale di alcuni personaggi dei videogame Nintendo, successivamente trasportati su carta mediante l’antica metodologia giapponese. E adesso, stanchi di lavorare sulle idee altrui, si sono applicati in qualcosa di completamente nuovo, un interessante gioco di botte per cellulari iOS e Android. Il suo titolo è Edo Superstar e parla di scimmie, volpi e procioni picchiatori.
Cane gioca a palla contro il fiume
Fra tutte le doti dell’intelletto la più saliente è l’empatia. Leggendo, giocando, studiando ci si proietta oltre i limiti di un solo luogo, verso mondi e situazioni diverse dall’ordinario. Prendi, ad esempio, questo grazioso cane giapponese. Siamo a Kobe, prefettura di Hyogo-ken, grande isola centrale dello Honshu. Con certi animali domestici non sei mai, davvero, una persona ferma e distaccata. Gli parli con voce infantile, ti metti a terra per stargli più vicino e partecipi di un entusiasmo particolare, che si origina fuori dal tuo ragionevole contesto umano. E la tua palla lascia la mano insieme all’anima, che sorveglia impalpabile l’amico a quattro zampe, divertito. Lanciando quell’oggetto diventi come il cane, liberamente in corsa e senza preconcetti. Comprendere a tal punto l’animale libera e schiarisce le menti subissate da mille o più problemi: resti soltanto tu, padrone e lui, beniamino con la sfera rotolante. Pienamente coinvolti, l’uno rispetto all’altro. La vostra sinergia crea un insieme di feedback interconnessi, che si accrescono a vicenda verso qualcosa di più grande. Si medita sereni, senza neanche farci caso.