L’inno splendido dell’accendino giapponese

Jii

Strano davvero, come l’ottima riuscita di un pranzo formale possa dipendere da mere suppellettili decorative, portandoci a prediligere tutte quelle cose che risultino lontane dalla società di oggi, in qualche modo antiche. Eppure, basta pensarci un attimo, è proprio così: l’arrosto di cinghiale non ha lo stesso sapore se viene servito in un piatto dell’Ikea, piuttosto che con l’esemplare prelevato dal polveroso servizio della nonna. Il bicchiere per l’aperitivo non dovrà mai essere di plastica, per quanto tale soluzione possa risultare pratica, nonché altrettanto utile allo scopo. Questa ricerca delle vecchie vie, con alterne fortune funzionali, pervade sottilmente ogni branca della vita quotidiana. Un libro di carta, dicono, sarebbe meglio dell’E-book. Un disco di vinile, superiore al formato digitale MP3. Per non parlare, poi, degli ambiti più prosaici e insignificanti. Farsi la barba col rasoio elettrico va bene, ma molto più fascinoso risulterebbe l’utilizzo di un tagliente coltello da esploratore, come valorosamente dimostrato da quell’uomo della pubblicità “che non doveva chiedere mai”. Per quanto riguarda l’assunzione del tabacco, sublimazione di un’immagine personale alla moda, però comunque un po’ antiquata, c’è una complessa gerarchia di carburanti e approcci tecnologici, dal variabile prestigio. Se apri il pacchetto, tiri fuori la cicca e l’accendi col semplicissimo Bic ricaricabile, sei soltanto uno dei tanti. Girala tu stesso, maneggiando abilmente la cartina, quindi usa uno Zippo vecchio stile e avrai raggiunto il secondo grado. Pipa di radica e scatola di cerini, come un provetto Sherlock Holmes: terzo piano metaforico della torre degli snob. Sopra tale figura troverebbe posto soltanto l’ipotetico hipster supremo, colui che dovesse fumare fili d’erba gatta bruciacchiati sulla sommità di un Döbereiner’s, prima fiamma catalitica della storia. E da tale progressione, in fin dei conti, scaturisce il dilemma di Jii, l’accendino elettrico giapponese, anti-vento, semplice da usare, ricaricabile via USB. Come lanciare un prodotto così pratico e potenzialmente altrettanto un-cool…Servirebbe una canzone. E una storia.

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Il signore degli scarabei robotici giganti

Kabutom

Momotaro guardò l’orologio, guardò il foglio del test di metà anno, infine rivolse la sua intera attenzione sull’inesorabile avanzare di quella dannata coppia di lancette. Per gli ultimi 10 minuti aveva cercato di fermarle con la sola forza della mente. Adesso basta, non ce la faceva proprio più. Stranamente, la sua bocca prese a concersi in una smorfia, mentre le labbra si mossero spontaneamente sussurrando sottovoce “Sono freg…” La vecchia prof. Matsuda, subito guardinga, fece di nuovo saettare il suo acuto sguardo da un lato all’altro dell’aula di matematica, pronta ad intercettare eventuali fughe d’informazioni tra i suoi amati 14 pupilli. Non che il sentimento fosse ricambiato, anzi. “…Ato”. Momotaro, pensa! Non puoi portare a casa un altro brutto voto! Tentando di risolvere l’ardua equazione, finì per distrarsi ulteriormente. Impossibile riuscire a far di conto, quando si è coscienti dell’enorme peso della storia.
Strinse nel pugno l’amato ciondolo magatama, gemma segreta del potere.  Come siamo giunti a questo strano 2560 d.C., l’epoca in cui tutti devono saper fare tutto? Io, ultimo discendente del clan degli artropodi guerrieri, costretto a far di conto come un comune servitore del daimyo di Owari! Dannato il pianeta Terra, che da quei tempi  ha scelto di seguire la via della civiltà. Sono passati esattamente mille anni dalla prima invasione degli alieni di Alpha Centauri, spietati conquistatori dei sette continenti. Da quando Sauratomaton, il tirannosauro corazzato, scatenò l’onda che sommerse i palazzi di Atlantide e di Mu. E nessuno mai dimenticherà Deltraidazon, lo strisciante limulo chelicerato, grande divoratore degli eserciti d’Europa e delle Americhe settentrionali. Soltanto i nostri antenati samurai seppero resistere a quei terribili nemici, stringendo le  misteriose alleanze che ancora preservano le poche roccaforti rimaste a questa umanità. La guerra non è mai finita, tutti lo ignorano e a me tocca pure andare a scuola! “Uff…” La prof. Matsuda lanciò un minaccioso colpo di tosse, come stesse schiarendosi la voce. Momotaro tacque. La sua ultima speranza: copiare dal foglio della sgobbona, la sua compagna di banco e di occasionali fantastiche avventure. Il tempo stava per finire. Questo era il momento di fare la sua mossa, imbrogliando.

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Lo spettro di Sadako conquista il baseball

Sadako

Ring ring! Ringu?! Dare desu ka? Ti restano 7, VII, 七 giorni di vita. Sotto l’agghiacciante sole di un bollente agosto, presso Tokorozawa (Saitama-ken, Giappone) si è manifestata l’attesa apparizione del celebre fantasma più capelluto, particolarmente amato dai grandi e piccini di mezzo mondo. E benché fortunatamente, almeno per una volta, quell’orribile visu se ne sia stato dalla parte giusta della TV, di fatale c’è stato almeno l’effetto sui presenti, tutti presi da un entusiasmo travolgente, incoscienti del pericolo corso dalle loro fragili mortalità. E chi l’avrebbe mai detto! Un vero yūrei, l’iconico spettro dei drammi kabuki, ormai diventato il prototipo della mascotte popolare, alla stregua dei mille pupazzetti o creaturine dei cartoni giapponesi. Certe grida di circostanza, perse fra l’estasi e il brivido, non si scordano tanto facilmente: è successo giusto una settimana fa, pochi attimi prima dell’inizio di una partita di baseball fra i Saitama Seibu Lions e i Fukuoka SoftBank Hawks, come iniziativa promozionale legata all’uscita del suo nuovo film, Sadako 3D (da leggersi three-deee). La fanciulla della serie di film e romanzi dell’orrore The Ring si è collocata sulla posizione del pitcher con incedere cupo, neanche fosse un leone lasciato libero nella proverbiale arena dei prigionieri romani. Il drammaturgo Tsuruya Nanboku, l’antico precursore autorale di simili mostruosità, in quel preciso istante si sarà lievemente agitato nella tomba, preoccupato per il destino di noi materialistici, arroganti esseri umani. Unica concessione al contesto, tanto per sdrammatizzare, un paio di funzionali scarpe da ginnastica, modesta, pratica aggiunta sul pallido sudario shintoista. Suo seguito silenzioso, tre piccole copie clonate, specie di minuti doppelgänger. A chi sperava di vederla in volto direi, beh, ti è andata bene! Qualcuno, in qualche modo, deve essere riuscito a rispedirla nella tomba, prima che si mostrasse in tutto il suo terribile splendore. La bocca distorta dall’ira, l’occhio pendulo e iniettato di sangue, le mani scheletriche e protese innanzi, verso gli spettatori… Tutto questo ce lo siamo soltanto immaginati. Lei, fatto il suo dovere, è crollata esanime in terra. Testimonianza dell’evento, la prova che anche i morti sanno tirare una buona palla diritta: 103 Km orari di velocità. Speriamo che non ci abbia preso troppo gusto!

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Il giardino geometrico dei pesci fugu

Fugu

Sotto le acque degli oceani, sopra sabbie friabili di continenti senza nome, il pesce palla esegue da oltre un millennio la sua danza di corteggiamento, gettando nel contempo le fondamenta del futuro nido. Questo video dimostra la recente, incredibile scoperta di un fotografo giapponese, Yoji Ookata, a largo delle isole Ryūkyū (Okinawa). Che c’era un po’ di fugu, in tutti noi. Guardate il pesce mentre trova un luogo deputato, gira su stesso e spazza con la coda, tracciando i confini di quel tondeggiante regno, assorto come nella meditazione di un giardiniere Zen. Decora minuziosamente la nuova casa con aguzzi frammenti conchigliosi. E aspetta la femmina seduto in centro, già immaginandosi un prezioso carico di uova, da inseminare freneticamente. Passato è il tempo di Atlantide, quando le leggi matematiche determinavano l’aspetto di umane, sommerse magioni. L’acqua, nell’Era dell’Informazione, appartiene a chi può permettersi di respirarla. Il fugu lavora secondo le reali esigenze che si trova ad affrontare, un giorno dopo l’altro. Nessun gesto è fine a se stesso: come spesso avviene in natura, ciò che ha forma circolare assolve ad una finalità ben precisa. In questo caso, fare scena, non passare inosservati. Persino nell’oscurità sommersa, l’anfiteatro sessuale del pesce costruttore diventerà come una tela di ragno, impossibile da trascurare. Ma se quella funzionava mediante la forza dell’inganno, qui c’è la realizzazione fisica di una promessa, la più importante per qualsiasi essere vivente. “Vieni da me, per procreare”. Certo, la situazione è strana. Il misconosciuto rituale di corteggiamento dei cosiddetti fugu, tanto elaborato, sta ottenendo un ampio spazio sulle riviste di etologia di ogni parte del mondo. Nessuno capisce, in realtà, perché un animale come questo, tanto sobrio e primitivo, debba sentire il bisogno di costruirsi una casa così bella, soltanto per impressionare il gentil sesso. Tra l’altro, i pesci palla giapponesi ci vedono (relativamente) bene e si troverebbero comunque. Questa sabbiosa cattedrale sembrerebbe più adatta ad affascinare altre creature, come noi, bipedi terrestri e super-evoluti. Che di cerchi ne tracciamo a nostra volta sui campi di grano, per gli alieni. Dimenticandoci il destino che attende i fugu troppo estroversi, sul finire della sera: tagliati a fettine, sopra un piatto di sashimi. Non tutti “Vengono in pace”, pesciolino…

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