Il bacio di una strana giostra in bilico sulla città spropositata

Lo stretto vagone sopra cui ci trovavamo aveva appena terminato una vertiginosa curva parabolica, dopo la picchiata ad oltre 40 gradi di pendenza, spostando il mio campo visivo dagli alti palazzi della megalopoli e la ruota panoramica più alta del paese alle verdi pendici del monte Tianchi. E fu così che mentre ci trovavamo all’apice del giro sulle montagne russe “Drago della Giungla” del Luna Park Happy Valley, presso la confluenza del fiume Azzurro ed il Jialing, improvvisamente in cima alla montagna notai… L’oggetto. Per un attimo, mentre tentavo di comprendere una tale vista, non potei fare a meno di trattenere il fiato: due giganteschi manichini, uno azzurro ed il secondo giallo, facilmente identificabile anche dalla distanza come una figura femminile, puntavano le lunghe braccia verso il cielo, fin quasi ad incontrarsi. Al posto della mano di ciascuno, per quanto mi riusciva di distinguere, un vassoio dalla forma conica, non del tutto dissimile da una piccola pagoda. Giusto mentre le montagne russe raggiungevano la fine, e cercavo di voltar lo sguardo per scorgere ancora la bizzarra meraviglia, vidi la mia amica e guida in questo viaggio di scoperta seduta a fianco con la mano davanti alla bocca, tentando di coprire un evidente sorriso. “Hai visto, mio caro? Hanno costruito una statua di noi due!” Quindi con fatica, capii dov’erano finiti; con un sobbalzo improvviso, il primo dei pupazzi ricomparve all’improvviso sopra la linea dell’orizzonte, ruotando vorticosamente su se stesso. La sua impossibile consorte lo seguì da presso.
Immaginate una città vasta quanto l’intera nazione austriaca, con una popolazione pari alla metà di quella dell’Italia. 30 milioni di persone che vivono, respirano, giocano e s’incontrano, a diversi livelli di una struttura urbanistica che sarebbe un’eufemismo definire tentacolare. Di sicuro i partecipanti ad una tale moltitudine avranno già provato tutto, assaggiato di tutto, vissuto qualsivoglia tipo d’emozione. O almeno questo sembrerebbe aver guidato i proprietari e gestori della nuova “Area Turistica dell’Amore” presso il nucleo abitabile distaccato di Baima, nel distretto di Wulong, riva settentrionale del grande fiume, approvando con entusiasmo il progetto di Yang Kai per una nuova Incredibile Attrazione Unica al Mondo, chiamata per l’appunto Fēitiān zhī wěn o “Bacio Volante”. Frutto di quella necessità comune a tutte le culture di rappresentare un sentimento e già che c’eravamo, farlo usando un approccio o un metodo che possano essere chiamati estremamente significativi. L’architettura, dopo tutto, è il prototipo di un lascito immanente alle future generazioni così come l’arte, anche quando frutto di un particolare gusto che volendo essere ingenerosi, potremmo giungere a chiamare pacchiano o addirittura un po’ naïf. E sia chiaro che queste non sono mie parole bensì quelle delle moltitudini di commentatori, che nelle ultime settimane a partire da un’inaugurazione collocabile attorno al maggio scorso si sono affollati, ad intervalli regolari, per offrire esperte considerazioni o validi commenti nei confronti di questa impegnativa aggiunta estetica all’entroterra cinese. Ben pochi, tuttavia, hanno cercato d’esplorare il suo effettivo significato…

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La naturale casa della musica sorta sulle rive del fiume Songhua

Esiste una Cina situata oltre i confini dell’orizzonte, una Cina remota e inesplorata dalla maggior parte dei visitatori turistici internazionali. Là, dove la latitudine supera i confini ragionevoli e a poca distanza dal confine con l’estremità estremo orientale della gigantesca Russia. L’area da cui, secondo i calcoli meteorologi, proviene spesso il vento gelido capace di coprire con la neve i territori di Giappone e Corea del Nord, che qui placidamente soggiace, ricoprendo ogni struttura di una lieve patina di candore. Edifici come la Cattedrale di Santa Sofia, chiesa ortodossa costruita all’epoca della Trans-Siberiana, o la Grande Casa di Pietra in stile occidentale, sede delle ferrovie cinesi, distrutta e ricostruita due volte nel 1904 e il 1906, con totale indifferenza dei lavoratori al clima invernale capace di scendere frequentemente sotto i -20 gradi Celsius. Poiché non scherzano di certo, gli oltre 10 milioni di abitanti di questo luogo, nella loro interpretazione severa del Feng Shui, scienza geometrica non solo dei percorsi energetici attraverso e dentro i luoghi oggetto della nostra urbana esistenza, bensì fondamento stesso di un punto d’accordo comune tra cosa sia accettabile, bello, desiderabile e gli esatti opposti. Fu anche perciò decisamente arduo, per l’architetto fondatore dello studio MAD Ma Yansong, effettuare una proposta valida per il concorso del 2011 relativo all’Isola Culturale, una nuova rinnovata zona dedicata a tutte le arti da costruire nella parte nord della città, non troppo lontano dalla celebre attrazione zoologica del Siberia Tiger Park. Lui che, architetto giovane propenso a rompere le convenzioni, attraverso metodi che lo accomunano alla fondamentale mentore ed ispiratrice Zaha Hadid, mutando e incrementando, piuttosto che sovrascrivendo, gli attribuiti pre-esistenti del paesaggio. Verso la creazione di un processo in divenire, che potremmo definire l’interazione dei letterali milioni di sguardi a ridosso di nuovi ed imponenti elementi posti dinnanzi al cielo. Costruzioni come il Grand Theatre, nesso e punto focale del progetto, luogo concepito per la messa in opera di opere, drammi e concerti, all’interno di pareti tanto inusuali da sembrare, complessivamente, il prodotto del costante battere del vento e la pioggia. Verso la creazione di un elemento che al tempo stesso connota ed arricchisce lo spoglio ambiente di appartenenza: spazi vasti, desolati e ricoperti dalla neve in inverno, ove collocare secondo i requisiti del concilio d’amministrazione cittadino due diversi palcoscenici dall’acustica versatile, l’uno con la capienza di 1500 spettatori e l’altro “appena” 400, oltre a una piazza pubblica per l’organizzazione di riunioni ed eventi.
Apparirà chiaro dunque a questo punto che stiamo parlando di un titano da 79.000 metri quadrati, che tuttavia non sembra occuparne, grazie alla forma organica e leggiadra, più di una ridotto benché significativo frazionamento…

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Quattro passi disinvolti sulla cresta del dragone in Hunan

L’inviato diplomatico del regno di Qin prese saldamente in mano le redini del suo cavallo, mentre faceva un cenno al seguito di guardie armate di aspettare prima di seguirlo lungo il proseguire del sentiero di montagna. “Attenti, adesso. Questo è il punto in cui raccomandare l’anima alla protezione divina del Re.” Alludendo col suo titolo attuale a Yíng Zhèng, ovvero l’uomo che, tutti sapevano, sarebbe diventato un giorno imperatore. Per conto del quale ben presto egli, come suo rappresentante e portatore di doni, avrebbe stipulato la pace con i grandi territori meridionali dello stato di Chǔ, ultimi rivali ancora degni di questo nome, ponendo fine al lungo Periodo dei regni combattenti (nella nostra datazione, 481-221 a.C.) Ma la cavalcata o il trotto in quel momento apparivano impossibili, da quando una volta lasciato il sicuro sentiero della strada commerciale nella contea di Yongxing, si erano inoltrati lungo l’unica via d’accesso in tempo utile alla città Qiakou ove si era rifugiata la corte in opposizione, attraverso il passo montano di Gaoyiling (高椅岭 – letteralmente: cresta del seggiolone). Con aria pensierosa, quindi, l’inviato osservò ancora una volta il panorama, punto forte facilmente difendibile dei loro rivali politici e militari maggiormente duraturi: come altrettanti gusci di tartaruga o code di serpente, propaggini montane s’intersecavano l’un l’altra in mezzo a sinuose propaggini lacustri. A far da contrappunto con le macchie di vegetazione sopra di esse, d’altra parte, veri e propri ponti di terra collegavano ciascuna isola con le altre, caratterizzati dalla forma digradante di un telo di stoffa messo a cavallo di una spessa corda. Raggiunta quindi la decisione imprescindibile, l’uomo spronò in avanti il suo amico equino, confidando nella capacità di quest’ultimo di fare affidamento all’unico ausilio di tanto difficili circostanze: la scalinata chiaramente antropogenica intagliata, forse all’epoca delle cosiddette Primavere ed autunni, dalle antiche tribù del popolo dei Ma. “Avanti, miei prodi guerrieri.” Disse quindi, ricevendo un qualche tipo d’ispirazione imprevedibile. “Qui o si fa la Cina, o si muore.”
Attraverso la complessa, imprevedibile ed in certi casi circolare storia del Regno di Mezzo (中国, Zhōngguó) gli eventi che coinvolgono il percorso degli umani attraverso le nebbie impercorribili del tempo trovano l’apporto, qualche volta più che mai determinante, dell’ambiente naturale ed il paesaggio di un così vasto paese. E ciò è senz’altro maggiormente vero, più che in qualsiasi altro luogo, nella regione montuosa dell’entroterra dello Hunan, nota fin dai tempi antichi per la grande quantità di picchi e montagne sacre alle cognizioni religiose di Taoismo, Buddhismo e culto degli antenati secondo i precetti del Confucianesimo. Entità create, attraverso millenni ancor più remoti, dall’azione carsica dell’umidità sul paesaggio, composto di sostanze minerali favorevoli all’erosione, come per l’appunto l’arenaria rossa della cresta di Gaoyiling. Un luogo certamente noto ad Internet, sebbene non si possa dir lo stesso del suo nome, grazie alle occasionali inquadrature fotografiche a dorso di drone, vere e proprie shock images all’interno delle quali piccole figure umane, apparentemente inconsapevoli della precarietà di tale situazione, procedono all’inconoscibile ricerca di un “qualcosa”. Adrenalina? Soddisfazione personale? L’opportunità di dimostrare ai propri amici e parenti di esserci stati, grazie all’eccezionale selfie d’occasione? Tutto questo e forse anche dell’altro, così come, attraverso i secoli pregressi, ogni possibile premessa abbia trovato l’occasione di essere portata all’estremo…

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Le profonde radici di Macquarie, isola che perfora la crosta terrestre

Esattamente in corrispondenza dei Cinquanta Ruggenti, latitudine superiore persino a quella di Capo Horn per forza, imprevedibilità e pericolosità dei venti, c’è un punto in cui le correnti deviano ed il flusso d’aria subisce un’improvvisa suddivisione. Tutto questo in forza di una terra emersa lunga 35 Km, la cui collocazione corrisponde grossomodo al punto intermedio tra i due continenti d’Australia e dell’Antartide, ove le foche prendono il sole, i pinguini si moltiplicano e gli uccelli migratori si fermano per riposare. Il suo nome: Macquarie, da quello del governatore del Nuovo Galles del Sud al momento della sua scoperta, nel 1810. Eppure, per una volta, non è la popolazione di questi ultimi a ricevere le principali attenzioni del mondo scientifico, benché in questi luoghi sia presente la minaccia di popolazioni di ratti e conigli portati qui due secoli fa dai cacciatori di balene. Bensì la natura geologicamente unica di questo luogo, la cui stessa formazione, per un tempo quasi equivalente, ha saputo sfidare le principali ipotesi dagli scienziati del settore. Collocata in corrispondenza della dorsale oceanica all’incontro tra le placche Indo-australiana e quella del Pacifico, l’isola sembrava totalmente priva di attività vulcanica o tellurica tale da lasciar emergere il suo suolo, di composizione lavica, oltre i 2 Km di oceano che si estende verticalmente tra il fondale e la superficie. Almeno finché non si ebbe l’occasione di scoprire, sotto lo strato di sedimenti risalenti al Miocene (23-5 milioni d’anni a questa parte) formazioni rocciose perfettamente in linea con l’aspetto dei cosiddetti basalti a cuscino, spesso associati alla formazione di un’ofiolite. Dicesi affioramento roccioso spinto dalle inusitate pressioni sotterranee, attraverso letterali migliaia di secoli, fino a materializzarsi la ove potesse, in qualche modo, raccogliere la luce dei cieli. Il che significa, in altri termini, che questo luogo è il probabile prodotto dello stesso mantello terrestre, ovvero uno dei pochi luoghi in cui è possibile osservare con i propri occhi le viscere stesse, crudelmente esposte agli elementi, della nostra Terra generatrice.
Le implicazioni di tutto questo, in prima analisi, potrebbero non risultare evidenti. Simile per composizione paesaggistica ed elevazione alla vicina Tasmania, benché totalmente priva di vegetazione ad alto fusto a causa del suo clima rigido e il continuo battere dei venti, l’isola presenta per le menti interessate l’occasione di studiare da vicino l’effettiva composizione degli strati sottostanti all’involucro geologico sopra il quale, normalmente, siamo soliti poggiare i nostri piedi. Con una varietà di tipo geologico capace di mostrare, a profondità zero, rocce normalmente rare come particolari formazioni di doleriti, troctoliti, harzburgiti, duniti e peridotiti, normalmente parte di un colonna sotterranea irraggiungibile senza l’impiego di trivelle. Il che ha giustificato, a partire dal 1997, all’iscrizione di un simile luogo all’elenco dei patrimoni naturali dell’UNESCO, anche grazie ad una rara conservazione pressoché perfetta dello spazio geologico, soprattutto causa la collocazione remota e irraggiungibile di questo luogo. Attenzione certamente non intenzionale, e d’altra parte, incapace d’estendersi all’effettiva sopravvivenza dei suoi più antichi, pennuti abitanti…

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