In una conversazione radiofonica del 2021 giudicata abbastanza rilevante da costituire l’unico contenuto pubblicato sul canale YouTube di un progetto scientifico internazionale, il responsabile del Laboratorio dei Sistemi Intelligenti dell’Istituto Scientifico di Losanna, Dario Floreano, racconta di essersi ad un certo punto interrogato su cosa potesse servire davvero per riuscire a replicare in modo artificiale un essere vivente. Giungendo all’improvvisa realizzazione: una delle principali caratteristiche delle creature biologiche, è la loro capacità di mangiarsi a vicenda. Siamo davvero certi che tale priorità risulti totalmente irraggiungibile, sulla base delle soluzioni tecnologiche di cui attualmente siamo dotati? Avendo identificato un simile pensiero come ben più che mera elucubrazione, anche data la sua posizione accademica di rilievo, lo scienziato ed ingegnere avrebbe quindi avviato la proposta del piano Robofood, iniziativa con finanziamenti a livello europeo per la creazione di un automa commestibile, in un certo senso l’incontro impossibile tra il settore gastronomico e quello della creatività ingegneristica finalizzata allo scopo di migliorare le nostre vita. Il che ci porta, paradossalmente, fuori strada e su settori più o meno in linea con tale obiettivo, fino all’epocale presentazione nel padiglione svizzero all’Expo di Osaka, in collaborazione con L’Istituto di Tecnologia di Genova, di quella che potremmo definire come la più insolita torta di matrimonio della corrente decade. Tre livelli di pan di spagna sovrapposti con sopra la piattaforma sommitale la caratteristica coppia di figure “lui & lei” (in questo caso, orsetti) intenti a muovere ritmicamente le braccia in una sorta di rudimentale danza. E fin qui nulla di troppo strano, finché non si viene a conoscenza della fonte d’energia che alimenta i loro muscoli pneumatici, assieme ai LED contenuti nella coppia di candeline del piano sottostante. Stiamo qui parlando, in parole povere, della prima batteria prodotta con un misto di carboni attivi e rivestita di cioccolata, dal potenziale elettrolitico fornito da riboflavina/vitamina B2 ed il flavonolo di origine vegetale chiamato quercetina. La cui autonomia non è del tutto chiara benché una cosa possa essere, inaspettatamente, sicura: ogni singolo elemento costituente di questa insolita creazione culinaria, candeline escluse, può essere completamente fagocitata dall’uomo. Risultando avere, a quanto ci viene spiegato, anche un buon sapore. A partire dagli orsetti stessi che sarebbero dotati di un gradevole gusto di melograno…
italia
L’auto leggendaria sprofondata tra le onde assieme al transatlantico Andrea Doria
C’è una specifica ragione per il fatto che la preponderante maggioranza dei passeggeri a bordo durante l’ultimo grande naufragio di un transatlantico il 26 luglio 1956 ebbero l’opportunità di essere portati in salvo presso il porto di New York, successivamente al tragico scontro con la nave svedese Stockholm a largo di Nantucket Bay. E tale contingenza ha un nome ed un cognome, Raoul de Beaudéan: l’abile comandante del vascello di simile destinazione d’uso, la Île de France, che egli seppe manovrare con perizia incomparabile, ponendola di traverso a 370 metri dallo scafo inclinato a prossimo all’affondamento, per riuscire così a mettere in salvo direttamente 753 naufraghi. Ma questo non è tutto: lo spazio di mare calmo creatosi tra le due navi, ove far passare le scialuppe di salvataggio, avrebbe contribuito ulteriormente al recupero di ulteriori 542 naufraghi da parte della Stockholm stessa, rimasta miracolosamente a galla grazie alla sua prua rinforzata da rompighiaccio. Molti altri, nel frattempo, erano saliti a bordo dei due mercantili Cape Ann e Thomas, tanto che al termine delle 11 ore trascorse prima che la sfortunata Andrea Doria scomparisse sotto il livello del mare, soltanto 52 persone avrebbero finito per avere la peggio, tra membri dell’equipaggio e passeggeri deceduti nell’impatto oppure, per varie ragioni, impossibilitati a mettersi in salvo. Un risultato, vista la serietà della situazione, degno di un encomio anche in un tale disastro. Gli altri contenuti della nave, prevedibilmente, non furono altrettanto fortunati: i pregiati accessori e le suppellettili di un letterale hotel di lusso creato per attraversare l’oceano, le diverse casseforti a bordo, le opere d’arte e gli arredi creati in via specifica per tale simbolo del lusso per i naviganti, frequentato dal jet-set di due continenti. E l’intero contenuto della stiva, incluso quello dell’alloggiamento 2, del cui notevole valore pecuniario pressoché nessuno, a bordo, era neppure a conoscenza. Se in un momento ragionevolmente vicino a quel un pesce o altro essere degli abissi, in qualche modo, avesse oltrepassato un portellone poco dopo il disastro, avrebbe potuto scorgerne la forma tra i resti del container rovesciato: un’automobile tipicamente rappresentativa di quell’epoca, benché dotata di alcuni tratti distintivi degni di essere elencati. Le malcapitate conseguenze del fato infatti avevano disposto che proprio in tale traversata condannata al disastro, fosse stata inclusa a bordo la finale risultanza di un progetto dal costo complessivo di 150.000 dollari (equivalenti a due milioni dei nostri giorni) e 15 mesi di lavoro presso la stimata carrozzeria Ghia di Torino, ormai da anni un fornitore della grande compagnia motoristica Chrysler statunitense. Veicolo circondato dal segreto industriale e caricato a bordo con una gru, lontano da occhi indiscreti, proprio perché destinato ad effettuare un tour a effetto degli show motoristici nordamericani a partire dal 1957, tra l’interesse e l’entusiastica partecipazione del pubblico internazionale. Una vettura degna di rappresentare, nell’opinione di alcuni, una delle vette maggiori mai raggiunte dalla progettazione motoristica di quel decennio, benché un fattore di tale valutazione possa essere individuato proprio nella natura misteriosa e inconcludente della sua fallimentare traversata…
Miceti romani: la cesta magica d’iniqui aromi tra i verdeggianti prati di Villa Ada
Passeggiare per un grande parco della Città Eterna è un’esperienza potenziale di scoperta che conduce l’intelletto ai gusti e logiche dei secoli trascorsi. Così Villa Ada, lungo la Salaria tra i quartieri Trieste e del Pinciano, mostra eclettici edifici del ‘700, i resti di antiche torri di guardia e la famosa palazzina in stile neoclassico, appartenuta per due periodi distinti alla famiglia Savoia. Ma ciò che in molti tendono a dimenticare, per quanto concerne luoghi come questo la cui estensione raggiunge e supera i 150 ettari, è fino a che punto internamente a un simile distretto urbano possa figurare la natura selvaggia ragionevolmente incontaminata, in una finestra così straordinariamente vicina su quello che può essere ampiamente definito come il vero e proprio ecosistema italiano. Finché in mezzo all’erba ed i cespugli, mentre ci si aggira chiamando a se cani o bambini, non si scorge la scintilla variopinta di un qualcosa di… Sbalorditivo. Così titolano i portali di notizie cittadine, facendo riferimento allo sferoide reticolare, rosso fuoco e ricolmo di gelatina, che a quanto parrebbe si è d’un tratto palesato entro i confini di un siffatto luogo ameno. Senza mancare di far menzione del suo catartico “odore cadaverico”, dopo l’apertura ed apparente mutazione mistica da un uovo bianco alla temuta forma finale. Il cuore della strega, scelgono di definirlo con vago riferimento alla vigente stagione di Samhain, benché tale di definizione abbia un carattere di tipo folkloristico dalle acclarate origini mitteleuropee. Laddove nella nostra terra abbiano un’etimologia più chiara appellativi quali clatro, gabbiola, fuoco selvatico o perché no, fungo lanterna. Giacché non siamo innanzi, nonostante l’aspetto artificiale all’apice dell’emersione riproduttiva, ad un giocattolo o una palla di qualche arcana tipologia, bensì l’espressione visibile di quel micete che in particolari circostanze, non desidera altro che essere notato, invaso, consumato da creature artropodi di superficie. Facendo uso di quel particolare carattere, che a noialtri pare disgustoso ma per mosche, lepidotteri e scarabei costituisce l’oggettivo invito ad una festa, che possa condurre alla successiva diffusione delle salienti spore. Non è pianta, non è abile creatura, non ha mente e non ha organi per percepire il mondo. Eppure il Clathrus ruber, membro cosmopolita della famiglia dei basidiomiceti fallacei può contare sugli incalcolabili millenni d’evoluzione, che come le altre specie simili riesce a concedergli la prosperità in un’ampia varietà di contesti. Incluso quello, sotto l’occhio scrutatore di chi abita le moltitudini di case, che ne fa un’intruso irregolare del preciso piano dei luoghi di tranquillità ed introspezione romani…
Il grande tetto rosso e l’interludio non del tutto motivabile del Ferrari World Abu Dhabi
Amare qualcosa alla follia comporta spese addizionali non del tutto contestualizzate, come il viaggio verso mete via dal vicinato e il pagamento di un prezzo d’ingresso sensibilmente superiore alla media. Per le attrazioni di Abu Dhabi, s’intende, la capitale degli Emirati Arabi Uniti ed in modo ancor più rilevante la sua sfavillante isola artificiale di Yas. Ove sorge, tra le molte stravaganze, un edificio dalla forma vagamente minacciosa di un virus batteriofago, la cui caratteristica maggiormente riconoscibile risulta essere, oltre al costo d’ingresso tra i 70 e i 120 dollari a biglietto, il colore. Quanti super-capannoni simmetrici, da un’area abitabile di 26.000 metri quadri, possono d’altronde vantare la tonalità ove campeggia in molte circostanze il mitico equino di Marranello? Tutt’altro che una mera coincidenza, giacché se persiste in Medio Oriente uno stallaggio metaforico per quel logotipo animale, esso può essere direttamente situato qui, nel più grande parco a tema coperto al mondo. Il maggior tributo architettonico ad un marchio automobilistico. Nonché una tra le più intriganti e originali attrazioni di questa metropoli, per lo meno nei fugaci attimi in cui tutto pare funzionare a dovere.
Un luogo messo in opera grazie allo sviluppatore di proprietà immobiliari Miral, il gestore di siti d’intrattenimento Farah Experiences e l’azienda di contractors Six Construct (con partecipazione tecnica della ArcelorMittal). La cui finalità è rispondere ad un modo idoneo per far continuare il divertimento, anche nei periodi in cui i termometri d’estate possono superare da queste parti abbondantemente i 45 gradi. E farlo, sulla base di accordi dall’elevato grado di prestigio, mentre si presenta un’immagine e una patina visuale la cui matrice appare in modo indiscutibile ispirata all’Italia. La singolare location nasce dunque da un’operazione di co-marketing concepita nel 2007, quando lo stesso Luca di Montezemolo si recò al futuro cantiere per la sepoltura simbolica di una capsula temporale contenente un pistone del campionato di Formula 1 recentemente terminato in quell’anno. Benché la Ferrari non fosse in tale caso investitore o partner, bensì mero fornitore su licenza del proprio marchio ed assistenza nella progettazione delle attrazioni del parco. Il cui pièce de résistance, il cosiddetto pezzo forte, sarebbe stato fin da subito l’ottovolante lanciato con acceleratore idraulico Formula Rossa, nuovo circuito creato dalla Intamin, compagnia dietro le precedenti montagne russe più veloci al mondo, il Kingda Ka del New Jersey. Che nel presente caso si sono dimostrati in grado d’innalzare sensibilmente la portata del record, passando dai precedenti 206 Km/h alla cifra impressionante di 240, per di più coadiuvate da una fase di accelerazione capace di passare da 0 a 100 nel giro di appena 2 secondi. Generando una forza paragonabile a quella sperimentata da un pilota di aereo da caccia o per l’appunto, monoposto per il tipico gran premio di F1….