Prima della navigazione GPS, era lo stradario. Manuale più o meno tascabile, incorporato nella dotazione degli autoveicoli. Cui un occupante del sedile passeggeri, moglie, figlio, parente o amico doveva fare riferimento, indicando al guidatore quale fosse la svolta corretta o il sentiero da intraprendere per giungere a destinazione. Molti erano i limiti di tale guida fatta di semplice carta, il cui livello di precisione era variabile in funzione dei recenti cambiamenti alla rete stradale. Immaginate adesso le difficoltà in tal senso, in un’epoca in cui il concetto di mappa geografica era notevolmente limitato, la stampa non esisteva ed il principale mezzo di comunicazione disponibile per la gente comune risultava essere il passaparola. Quando persino una complessa rete autostradale, che da un punto meramente funzionale avrebbe potuto essere realmente costruita, sarebbe stato il mero appannaggio di un elite nel mezzo delle moltitudini, coloro che in sostanza sarebbero stati chiamati all’epoca dei Veri Cittadini dell’Impero Romano. Messaggeri in viaggio e membri della macchina amministrativa e militare, certamente, ma anche mercanti diretti ai quattro angoli del mondo conosciuto, viaggiatori ed esploratori, meri cercatori della conoscenza. La loro conoscenza ragionevolmente approfondita dei percorsi, a fronte di un continuativo sforzo di ricerca ed approfondimento autogestito, avrebbe dunque occupato i meri appunti di un taccuino personale, se non addirittura le pure e semplici regioni della memoria. E persino i singoli censori, attori burocratici incaricati del mantenimento di queste infrastrutture, avrebbero limitato le proprie competenze alla singola provincia facente parte del proprio mandato. Non è perciò del tutto sorprendente la maniera in cui, già con l’inizio dell’epoca Medievale, la percezione pedissequa di quali luoghi fossero agevolmente raggiungibili facendo camminare il proprio carro sulla carreggiata costruita da persone del Mondo Antico avessero iniziato a sbiadire nell’approfondito repertorio della coscienza collettiva. Aggiungendo a tale condizione il progressivo e inevitabile degrado dei sentieri secondari e terziari, raramente ritrovati intatti dagli archeologi, si disegna dunque l’attuale quadro dolorosamente incompleto su come avvenissero gli spostamenti all’apice dell’estensione più ampia dell’Impero, grosso modo corrispondente al primo e secondo secolo d.C. In aiuto per tentare l’ambiziosa ricostruzione, giunge a questo punto il progetto di un team di scienziati composto soprattutto da studiosi dell’università danese di Aarhus, ma coadiuvato da partecipanti appartenenti ad altre importanti istituzioni europee. Mirato a raccogliere, compilare e presentare la vasta per quanto incompleta antologia dei dati a nostra disposizione, in una guisa immediatamente familiare per non dire utile all’impiego pressoché quotidiano: una mappa digitalizzata online, zoomabile e connotata da innumerevoli didascalie, coprente un totale di 300.000 Km di strade costruite dai nostri predecessori. Ovvero più del doppio, di quelle date per acclarate e verificabili fino al momento presente. Una risorsa potenzialmente inestimabile, a sostegno di ogni potenziale approfondimento sulle condizioni pratiche degli spostamenti nell’epoca sospesa tra i regni di Marco Aurelio, Commodo, Settimio Severo e Caracalla…
Lo studio scientifico presentato dal progetto denominato con creatività linguistica Itiner-E, pubblicato come supporto al sito web liberamente accessibile dall’inizio di novembre, parla dunque in modo approfondito delle fonti e metodi utilizzati nella creazione dell’utile risorsa finale. Cataloghi d’informazione che, come tanto frequentemente avviene nell’epoca digitale, si trovano concettualmente uniformati pur avendo una natura intrinseca ed effettive provenienze straordinariamente variabili da caso a caso. Le quali includono, in ordine d’importanza: le (limitate) opere letterarie coéve o successive sull’argomento, come l’Intinerarium Antonii del III secolo, un repertorio di tratte percorribili compilato ai tempi dell’Imperatore Diocleziano (284-305) e la Tabula Peutingeriana, copia del XIII secolo di quella che viene ritenuta essere una vera e propria mappa di epoca romana. Altrettanto utili dal punto di vista della precisione documentale, e perciò citati nelle attribuzioni delle fonti, i tentativi precedenti di catalogazione delle strade tra cui il dataset La Tabula Imperii Romani (TIR) iniziato nel 1928, assieme al più recente Atlante Barrington del Mondo Antico, pubblicato nel 2000 dopo oltre 12 anni di lavoro portati a termine da studiosi dell’Università della North Carolina. Dove la rete delle strade conosciute ha subito i più significativi ampliamenti, invece, gli archeologi del nuovo repertorio hanno fatto riferimento al database LIRE – Latin Inscriptions of Roman Empire, vasta collezione di epigrafi raccolte anch’esse nel corso degli ultimi cinque anni dai colleghi dell’Università di Aarhus, inclusive di una quantità estremamente rilevante di pietre miliari, spesso rinvenute fuori dal contesto in diverse regioni entro i confini d’Europa ed oltre. Strumenti utili alla speculazione, come sempre puntualmente riportato nella mappa interattiva online, sulla base del senso comune e il sempre utile approccio della logica, impiegato al fine d’incorporare, come fili di una ragnatela in fieri, la distribuzione largamente acclarata degli snodi percorribili da parte dei viaggiatori imperiali. Altrettanto utile, in tal senso, l’effettivo impiego delle foto satellitari oggi a nostra disposizione, in più di un caso funzionali all’individuazione delle tracce vagamente percettibili di quella che fu senza dubbio la maggiore opera d’ingegneria civile posta in essere fino all’inizio dell’Era Moderna e Contemporanea. La maggioranza delle opere viarie romane di rilievo d’altronde, come ben sappiamo grazie all’opera degli archeologi, era la diretta risultanza di un processo ingegneristico dalla complessità persino superiore a quello impiegato correntemente. Che gli avrebbe permesso, in condizioni ideali, di rimanere parzialmente funzionali anche molti secoli dopo il sopraggiunto abbandono.

Un Impero non poteva d’altronde in alcun modo sussistere, senza un sistema di comprovata efficienza nel fornire informazioni, distribuire ordini o far giungere i rinforzi sia civili che militari alle più remote province della propria massima estensione. E ciò avrebbe trovato riscontro in ogni zona geografica del Vecchio Mondo, dal Tigri alle Piramidi, dalla penisola iberica alla Cina, così come nelle civiltà organizzate costruite in epoche successive in luoghi più remoti e distanti del pianeta Terra. Il che non significa necessariamente che la percezione pubblica dell’esistenza di una rete di collegamento potesse configurarsi come la scienza esatta impiegata nel raggiungimento della meta prescelta al sopraggiungere dei tempi odierni. Né tale approccio sarebbe stato generalmente desiderabile o in alcun modo necessario per la maggior parte delle persone. Tranne che in un caso: coloro che viaggiavano all’indirizzo della Capitale. Obiettivo, quest’ultimo, comparativamente più semplice da perseguire per i membri dell’Urbe estesa fino ai confini globali del mondo “conosciuto”. Dopo tutto, è largamente noto dove abbiano sempre portato, in ultima analisi, le Strade.

