Il cerchio druidico nella città geometrica dove ogni casa è parte di un disegno ideale

In un’epoca remota collocata presumibilmente attorno al nono secolo a.C, un uomo di nome Bladud si recò in viaggio dall’Inghilterra per studiare filosofia ad Atene. Personaggio di un livello di saggezza largamente superiore alla media, egli andò tuttavia incontro ad un significativo contrattempo: l’aver contratto durante il viaggio di ritorno il Mycobacterium leprae, bacillo più comunemente noto come la malattia al incurabile della lebbra. Applicando tuttavia le tecniche sovrannaturali che aveva riportato dalla Grecia antica, egli accese un fuoco sacro nella regione del Somerset, dedicato ad Atena, ed in cambio ricevette dalla Dea il dono di fonti sorgive terapeutiche, dove sarebbe sorta successivamente la città di Kaerbadum. Molti anni dopo il suo regno come principale sovrano delle terre celtiche, destinato a durare vent’anni grazie alla sua capacità di sconfiggere la malattia, l’insediamento sarebbe dunque stato trasformato in una base operativa dagli Antichi Romani, che lo chiamarono Aquae Sulis. Ma in tempi ancora più recenti, il suo toponimo diventò semplicemente Bath.
Luogo più volte ammodernato sulla base dei crismi urbanistici vigenti, durante i primi anni della dinastia di Hannover (periodo Georgiano) questo luogo venne diventò il centro pratico di un tipo d’architettura razionalista, basata sui crismi architettonici palladiani. Eppure non perse mai le proprie connotazioni mistiche e sacrali, come chiaramente esemplificato dal suo quartiere storico, ove campeggia tra le molte meraviglie un sito costruito tra il 1754 e ’68 in grado di evocare al tempo stesso Stonehenge, ed il Colosseo di Roma. Il Circus, come volle definirlo il suo creatore teorico John Wood il Vecchio, che a causa del decesso a cinquant’anni lasciò al figlio quasi omonimo il compito di completarlo, come strabiliante espressione pratica del concetto di un complesso d’imponenti townhouse. Ovvero il tipo di dimore multipiano usate dalla nobiltà rurale, durante i mesi in cui l’attività sociale raggiungeva il punto d’ebollizione dando luogo al maggior numero di balli ed eventi mondani. Pensate per esempio al popolare telefilm Bridgerton, che non a caso è stato in parte girato a Bath… Ma non qui, forse poiché sarebbe stato troppo riconoscibile per i connazionali e non solo. Dove, altrimenti, è possibile trovare simili palazzi dalla pianta curva che circondano il mozzo di una ruota perfetta? Dal diametro di 97 metri (contro i 99 dell’osservatorio megalitico a 53 Km di distanza) finemente ornati usando in ciascun piano gli ordini Dorico, Composito e Corinzio, costituendo in questo modo il più significativo e quanto mai diretto riferimento all’arena gladiatoria di Roma. Una versione in cui la facciata principale, tuttavia, è rivolta verso l’interno e non più il resto della città destinata a usarlo come simbolo del potere Imperiale. E strani simboli massonici campeggiano oltre i finali dei tetti mansardati, impreziosendo il sito di un alone di latente mistero…

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Terrore coreano e l’ultimo nababbo da mangiare per il mostro che raggiungerà il paradiso

Pensavo, sotto l’ampia tesa del mio traslucido cappello: “Sia dannato quel funzionario civile di VI livello, facente-funzione di addetto alle riscossioni pecuniarie, Namgung.” E dannata la sua festicciola organizzata per il festival del quarto mese, Chuseok. Nella tenuta in cima alla collina periferica di Changwon, singola città maggiore del Gyeongsang. Che in questo grande Impero di Silla, era stata designata come un’entità amministrativa indipendente, proprio per permettere alla classe dirigente di gestire in modo autonomo, situazioni come questa. “Offrire vino di riso cheongju ai suoi sottoposti, per poi fargli astute domande collegate alle particolari circostanze dei loro esami di stato! Mettere ME, alla berlina! Perché non ricordavo almeno una poesia creata durante il vecchio regno di Goguryeo!” E poi pronunciare quell’elaborato insulto… Ma mentre tentavo di rievocare dal profondo le parole esatte utilizzate da Chuseok, udii un tremendo suono ripetuto. Bii-Bii, Bii-Bii. E ancora in mezzo agli alberi di canfora, piantati lungo il viale che portava alle magioni degli Yangban: Bii-bii, bii-bii, HARRUMPH. E allora estratto il rigido ventaglio simbolo del mio ruolo ufficiale, la puntai tremante innanzi quando capii che un qualcosa d’imponente stava per frapporsi sul mio cammino. La testa irsuta, sormontata da un grosso paio di corna. I denti aguzzi come quelli di un coccodrillo. Le lunghe maniche a coprire arcuati artigli, tra i quali stringeva una lunga pipa di salice intagliato. Con voce stentorea ed uno strano accento, l’essere soltanto vagamente antropomorfo parlò, mentre gli alberi si ripiegavano a formare le pareti di un teatro. “Ah, UMANO. Inconsapevole, pochi minuti fai sei transitato nel mio reame. Da queste parti, mi chiamano Yeongno. Lascia che ti parli dei precisi termini di una maledizione. La MIA maledizione. Che sto per infrangere, stasera.” La bestia si sedette allora lungo il singolo passaggio tra le fronde, e narrò a lungo la sua triste vicenda. Di come Budda in cima alla montagna, accantonato per ferrei decreti mentre il popolo si trovava costretto a seguire il pragmatismo del vecchio Confucio, aveva imposto al suo infedele e un tempo facoltoso servitore di arrestare l’incessante ciclo delle reincarnazioni. Poiché infausto era il karma accumulato in vita, al punto che avrebbe dovuto lasciare il mondo meglio di come l’aveva trovato, “Risparmiando nonni e bisnonni”. Eppur divorando dalla testa ai piè un totale di dieci decine di yeongno, gli indegni funzionari designati dell’Impero di Silla, prima di poter lasciare finalmente questa valle crudele. “Capisci cosa intendi, amico mio? HARRUMPH. Novantanove ne ho mangiati, novantanove al conteggio attuale. Sono quasi salvo!” E con fare stranamente tranquillo, spalancò la grande bocca simile a quella di un cavallo di fiume.
Eppur mentre l’orribile creature si avvicinava con fare ingombrante, ebbi l’ultimo tremore di un’idea. Questa sera, avrei tentato il tutto per tutto, piegando il mondo stesso al mio bisogno. Avrei parlato di figli e di nipoti avuti grazie alla mia amata moglie, tecnicamente non ancora esistente. E SOLTANTO da un punto di vista pratico, non ancora venuti al mondo…

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Costruttore del geometrico giardino della Notte, dalla mente di Van Gogh in persona

Camminando a piè leggero per i corridoi del MoMA di New York, è comprensibile avvertirne la pressione, come un richiamo magnetico che porta le persone a concentrarsi su un sentiero definito. Oltre Cézanne, dietro Monet, accanto al corridoio che conduce verso la sezione di Picasso, molti dei visitatori giungono al coronamento di un pellegrinaggio innanzi al singolo riquadro 92 centimetri più celebre del Post-Impressionismo, e forse tra le immagini alla base stessa della percezione artistica del diciannovesimo secolo. Spirali che racchiudono spirali, e linee serpeggianti della pennellata evidente. Lasciata indietro quella percezione che vorrebbe la pittura come uno strumento utile a ridurre la natura e catturarla su una parete. Semplicemente perché il suo autore, chiuso ormai da mesi in un’istituto psichiatrico, non aveva più alcuna possibilità di sperimentarla. Ed è per questo che Van Gogh, nella sua Notte Stellata, imprime sulla tela il semplice contenuto della sua memoria. “Ma il processo contrario è pur sempre possibile” sembrerebbe affermare di suo conto Halim Zukić di Visoko, nella Bosnia Centrale, assurto agli onori volitivi della fama internettiana a seguito della trasformazione, nel corso degli ultimi 6 anni, dei suoi 70 ettari di tenuta a circa 15 minuti dal centro cittadino del cantone Zenica-Doboj. Non mediante una speculazione filosofica, bensì la creazione del tutto tangibile di un luogo della mente e del cuore, la trasposizione in forma di effettiva land art a guisa di giardino di determinate linee e forme, che qualsiasi appassionato d’arte non potrebbe fare a meno di associare al dipinto di cui sopra, da cui appunto il nome in lingua anglofona di questo luogo: Starry Night Resort. Un’idea insolita e in un certo senso controcorrente, rispetto all’intento originario di questa tipologia di opere scolpite nel paesaggio, nate tra gli anni ’60 e ’70 come ribellione contro la deriva commerciale della creatività moderna. Laddove l’imprenditore parla esplicitamente, nelle interviste, di un intento mirato a creare un’attrazione turistica e fare la sua parte nella costituzione di un volano economico, per la sua beneamata regione d’appartenenza. Il che non toglie in alcun modo alla spontaneità ed intento rigoroso del progetto, nato da una tipica intuizione personale che potremmo definire rappresentativa del concetto di creatività in qualsiasi settore di competenza. A partire dal frangente, narrato dallo stesso Zukić, in cui anni fa osservava dalla sua tenuta i segni lasciati sul terreno di un trattore operativo nei campi vicini. Riandando con la mente all’immagine che tanto a fondo conosceva, e quei viaggi nel territorio della Provenza fatti con la sua famiglia, capaci di rappresentare uno dei trascorsi più piacevoli di una lunga passione per l’Arte. Dal che la domanda imprescindibile di cosa, esattamente, si potesse fare per portare ad un livello e proporzioni superiori la metafora spontanea di quello straordinario momento…

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La convincente possibilità che il Sacro Graal sovrasti la navata da 625 anni

Una singola vetrina nella più vasta chiesa gotica della città di Valencia, posta in alto in una delle cappelle che fiancheggiano la navata centrale. Nient’altro che uno spazio espositivo, ove campeggia quell’oggetto che potremmo definire alquanto ponderoso e poco pratico all’impiego ideale. Una coppa di pregevole pietra corniola lavorata al tornio, con manici e una base in oro puro. Quest’ultimo elemento, a sua volta ornato da una serie d’imponenti perle candide come la Luna stessa. Tanto che se qualcuno l’avesse mai effettivamente utilizzata per bere, difficilmente egli avrebbe potuto essere un umile falegname della terra di Galilea. Ma forse è proprio questo il punto…
L’umiltà e il principio di magnificenza coesistono da sempre nella rappresentazione iconografica della sacralità cristiana, come un’idiosincrasia alla base del concetto stesso di fede nella Provvidenza e tutto ciò che questo comporta. Poiché se un’intelletto universale governa ogni faccenda e la presunta evoluzione degli eventi, come può essere giustificata la deriva verso l’entropia di colui o coloro che hanno dato un senso alle parole della personificazione stessa di tale Principio? Così preservato, spesse volte, fino all’esagerazione, se è vero che le schegge o chiodi della “vera croce” sono sparse in giro per il mondo in quantità bastante per la costruzione di un intero galeone; che vi sono almeno quattro lance di Longino; tre possibili corone di spine; una mezza dozzina di sudari che riporterebbero l’impronta del corpo del Salvatore. Eppure nulla, in tale ambito, ha raggiunto le vette quantitative di quello che potremmo definire senza ombra di dubbio il singolo oggetto più famoso della religione romana: il sacro calice impiegato, in base alle scritture, dal Figlio in persona durante la storica cena prima del fatale tradimento che l’avrebbe condotto alla crocifissione finale. Quel Graal connesso ad una pletora di miti, che potrebbe essere secondo le divergenti teorie in undici luoghi diversi soltanto in Italia, quattro in Francia, due nel Regno Unito e finanche anche province improbabili come il deserto patagonico dell’Argentina. Per opera di ordini cavallereschi, gruppi di monaci, personaggi leggendari per qualche ragioni trovatosi a colloquio con San Pietro in varie circostanze, che secondo la tradizione avrebbe custodito e trasportato fino al suo rifugio peninsulare questo importante simbolo del suo fondamentale ispiratore. Ed è lì, nel primo secolo, che se ne persero irrimediabilmente le tracce a causa delle persecuzioni ad opera dei Romani, delle generazioni di guerre e conflitti, a causa del rumore di fondo d’innumerevoli miti e leggende popolari che si avvicendarono nel moto senza posa dei secoli intercorsi. Eppure sussistono diverse valide ragioni, per dare credito alla pretesa valenciana più di molte altre precedentemente intercorse…

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