Una volta arrampicatosi oltre il confine nazionale numero 940, il drago camaleonte assunse la tonalità delle montagne verdeggianti, le sue scaglie e gli affilati artigli all’improvviso ricoperte da un sottile strato di candida neve. “Ottimo lavoro, Fafnir, hai perfettamente catturato la tonalità della Nuova Zelanda. Non come quando attorno al 600, avevi scelto l’arancione della sabbia del deserto, nel tentativo di mimetizzarti in Angola. Certi paesaggi hanno varietà e rifiutano l’applicazione di stereotipi…” RAWWR, rispose la creatura del tutto priva di ali, con le corna aerodinamiche e la coda tesa indietro per accelerare la sua corsa verso il termine dell’Atlante-Dizionario compilato dai trascorsi esploratori del misterioso pianeta Teh-Ra. Ora il picco conico dell’elegante stratovulcano Taranaki si profilava alla loro destra, mentre la di sotto scorrevano veloci le comunità costiere di Manaia, Pihama ed Opunake, valide testimonianze per il gusto eccezionale dei polinesiani in materia di toponimi musicalmente coordinati. Quando già un cartello all’orizzonte sopra il passo dell’Oceano dichiarava 951 – Ufficio Globale. “Devia, Fafnir. Quello non ci interessa. Trattasi soltanto di una mera tasca dimensionale, una funzione logica del Catalogo Consequenziale dei Continuativi Luoghi Perpendicolari. Guarda lì! Già scorgo 955 – Malesia. E poco più avanti, la Cina. Le loro tradizioni sono interessanti. Sei pronto ad eseguire la tua miglior guisa di un serpentiforme dominatore del Mito?” RAAWR, rispose il drago, che al momento stava scivolando tra le onde a gran velocità, usando il dorso lucido come fosse una comune tavola da surf. Ma la deviazione stava minacciando di portarlo fuori rotta. Oh, dannazione… Poco male. Avremmo sconfinato tra il 978 ed il 979. “Va bene, non preoccuparti amico mio, lascia che controlli l’Atlante. Gli uomini di Teh-Ra chiamano quel posto… Bookland? Mai sentito prima. Lascerò che questa volta sia tu a scegliere il camuffam…” Non avendo neanche avuto il tempo di completare la frase, l’Esploratore percepì una strana vibrazione nella sua cavalcatura. Che d’un tratto, accorciandosi in maniera esponenziale, assunse una forma tondeggiante e piena d’aria che lo vide trasferito in un’apposita cesta di vimini di sottostante. Il drago multidimensionale aveva assunto l’aspetto perfettamente riconoscibile di una mongolfiera. “80 giorni, 80 gironi” ripeteva con un tono debolmente telepatico, venendo trasportato da un potente vento trasversale. “Dobbiamo perdere quota, torna al livello del terreno se ci riesci.” Disse allora l’umanoide che era stato un cavaliere, ben sapendo tuttavia che in questa specifica nazione, le regole che aveva conosciuto non potevano applicarsi allo stesso modo. Ora a pochi metri dalla superficie delle acque, il drago-mongolfiera si bagnò con l’acqua salmastra, iniziando nuovamente a mutare. Una pelle bianca che sembrava estendersi fino ad un paio d’imponenti pinne simili ad ali. Ma con un rapido contraccolpo, l’Esploratore cadde nella bocca del gigantesco animale. “Moby Dick” diceva adesso il comunicatore. Ma puntandolo contro di se, il display indicava una strana parola. Codice Geppetto, attivazione. Ancora l’educato Leviatano suo compagno di tante avventure, per qualche ragione, dava chiari segni d’impellenti mutamenti ulteriori. Il Carro di Achille, oppure Ombromanto il rapidissimo destriero di… Un certo Stregone detto “il Grigio”? Oppure era “il Bianco?” Poco sembrava importare tra le nebbie di una certa Avalon che stava comparendo all’orizzonte, dove nulla era era certezza ed il destino dell’Esploratore pareva ormai vagare senza meta per moltissimi secondi, se non preziosi minuti. Imprecando all’indirizzo della Stella Madre, scorse tra le pieghe della mente il timido accenno di una possibile spiegazione. Che forse le cifre utilizzate per l’Atlante non fossero state scelte saggiamente. Costituendo il reticolo interconnesso di un tavola sinottica ideale, piuttosto che il mero indice perfettamente visitabile di un lungo elenco di Luoghi…
Ah, Bookland, se soltanto tu potessi galleggiare nel mare dell’incertezza! In mezzo alle virtuali pagine di un’intangibile E-Libro, dietro la fantasmagorica e del tutto incorporea copertina. Poco sopra la rilegatura inesistente… Manifestazione materiale, quanto effimera, del pensiero che tratteggia il perimetro di ciò che potrà essere, piuttosto di quello che è stato. Un infinito potenziale concentrato nella triplice espressione tra un paio di parentesi quadre…
narrazione
L’ingegnoso meccanismo della maschera mutevole nell’opera teatrale di Sichuan
Nell’affollato teatro tradizionale di Chengdu, un importante evento storico viene presentato al pubblico, enfatizzando le capacità di un personaggio che sfuma nella leggenda. Seduto in modo composto oltre il portale di un’antica città vuota, il leggendario stratega dell’epoca dei Tre Regni, Zhuge Liang osserva quietamente il suo strumento musicale, la cetra orizzontale nota come Guzheng. Adesso la sua faccia di colore rosso, grazie all’apparente applicazione del trucco scenico di questa forma d’arte drammaturgica, indica un contegno valoroso e lealtà nei confronti del suo virtuoso signore, Liu Bei. Dopo una rapida sequenza di note che si fondono alla colonna sonora e con la voce del narratore, tuttavia, egli si alza in piedi, fronteggiato dalla figura quasi altrettanto nota del suo storico rivale e futuro fondatore di una dinastia, Sima Yi. Il volto bianco di quest’ultimo, un colore che indica doppiezza e tirannia, alla testa di un manipolo di combattenti il cui significato nell’economia della scena appare drammaticamente chiaro: essi rappresentano l’intero, sterminato esercito della nazione rivale di Wei. Mentre l’eroico protagonista esegue un passo di danza inteso a mirare un combattimento disperato, tuttavia, qualcosa all’improvviso accade: senza soluzione di continuità, il suo volto assume colore azzurro della determinazione e sicurezza di se. Quindi egli si siede nuovamente, continuando a strimpellare lo strumento. Ora Sima si volta verso i suoi uomini, facendo cenno di fermarsi ad aspettare. Dopo uno svolazzo del ventaglio d’ordinanza, anche la sua faccia cambia tonalità, diventando improvvisamente verde: il colore dell’impulsività e il despotismo. Ora la canzone di sottofondo passa ad elencare le passate vittore, nonché la notoria scaltrezza, dell’imbattuto e temibile Zhuge Liang. Davvero egli siederebbe producendo musica di fronte al suo nemico, se non disponesse di uno stratagemma per tornare, ancora una volta, in trionfo negli odiati palazzi di Shu? Esprimendo rammarico e cautela, il nemico ordina perciò la ritirata, uscendo a destra dal variopinto palcoscenico per tornare da dove era venuto. Al che Zhuge nella porta vuota si alza e danza nella quieta consapevolezza che il suo geniale stratagemma, ancora una volta, ha salvato la situazione. Voltandosi rapidamente da una parte, si rivolge nuovamente agli spettatori. Tuttavia, qualcosa è cambiato: il suo volto è adesso nero, ad indicare integrità, imparzialità ed il peso che gli è stato tolto, per aver salvato il popolo incolpevole della città di Yang Ping. Sipario. Applauso.
Ciò che abbiamo fin qui descritto è una delle scene immediatamente riconoscibili della cosiddetta Chuānjù (川劇) o Opera di Sichuan, un tipo di rappresentazione canonica che può essere fatta risalire fino all’ultimo periodo della dinastia Han, nel secondo secolo d.C, poco prima del confronto decennale tra le eccezionali menti di Sima e Zhuge. Mentre molto più recente dovrebbe essere, sebbene la sua datazione esatta risulti necessariamente complessa, l’invenzione e l’utilizzo delle rinomate tecniche del Biàn liǎn (变脸) binomio essenzialmente traducibile come “mutamento del volto”. Strategia impiegata da taluni attori e tramandata gelosamente nelle loro discendenze, almeno a partire dagli albori della dinastia Qing (1644) per enfatizzare l’espressione dei sentimenti attraverso un effetto speciale in grado di cambiare il colore dei loro volti. In origine mediante l’utilizzo di polveri colorate, cui si avvicinavano strategicamente nel corso dei momenti più concitati. Ma in seguito tramite l’impiego di un più sofisticato approccio basato sull’impiego di sottili maschere di seta. Svelate in rapida sequenza lungo il corso della rappresentazione, come in un gioco di prestigio basato sul trasformismo…
L’iniqua condanna del cammello portatore di tragedie
Che cosa fareste se la vostra semplice presenza bastasse, all’improvviso, per causare la rovina di tutti coloro che vi accolgono con le migliori intenzioni di questo mondo? Se in qualche maniera, un angelo vendicatore vi seguisse da ogni parte, per punire con le proprie armi astrali i vostri amici, parenti, ospiti della giornata presente… La maggior parte delle guerre inizia con un casus, di natura particolarmente varia, che costringe le rispettive parti a realizzare come, nonostante tutto, la reciproca sopportazione sia ormai prossima all’esaurimento. Non è tuttavia inaudita l’apertura di un conflitto, non per volontà dell’uno o l’altro combattente, bensì a causa di un semplice evento accidentale. L’episodio, se vogliamo, che ha cancellato anni ed anni di reciproco impegno, precorrendo ogni sincero tentativo di appianare le divergenze. Era il 1846, per essere precisi, quando l’esploratore dell’Australia Meridionale John Ainsworth Horrocks, all’età di soli 28 anni, finì per perdere la vita alla vigilia di un’importante missione: la ricerca di terreni agricoli nei pressi del lago Torrens, non lontano dal golfo di Spencer. Proprio mentre si trovava impegnato nel prendere la mira con il suo fucile a canna liscia, all’indirizzo di uno stormo d’uccelli, quando Harry fece il gesto di chinarsi in avanti, facendo partire il colpo che l’avrebbe ferito (irrimediabilmente) alla mano e al volto. Ora questo Harry costituiva, nei fatti, niente meno che il primo cammello ad essere mai stato trasportato fino in Australia, diventando una parte inscindibile delle risorse delle prototipiche colonie in questo remoto Sud del mondo. Dietro una lunga storia di suggerimenti, sollevati da diversi membri del governo e naturalisti locali, inclini a definire tale gruppo di specie come le più potenzialmente utili e funzionali, ad agire come mezzi di trasporto nell’arido entroterra australiano. Ma il problema fu che nessuno, in ultima analisi, fu in grado di spiegare loro quale drammatico peccato originale avrebbe ricompensato, fino ad oggi, i loro lunghi e monumentali sforzi.
JUDAS COLLAR è il prodotto pseudo-documentaristico della scrittrice/regista Alison James e la produttrice Brooke Silcox, recentemente nominato all’Oscar e, almeno nel momento in cui scrivo, ancora disponibile online (non appena sarà rimosso, sostituirò il collegamento d’apertura con quello per vederne il trailer) mirato a far conoscere, in maniera emotivamente accattivante, un particolare aspetto non molto spesso discusso del sentire e del vivere australiano. In effetti molti conoscono, in merito al più nuovo dei continenti, la problematica questione delle specie non native, spesso difficili da gestire e nella maggior parte dei casi estremamente lesive per l’ambiente. Casistica rispetto alla quale i due distinti appartenenti alla famiglia dei Camelidae, il dromedario somalo (C. dromedarius) e quell’altra nave ondeggiante, riconoscibile dalla doppia gobba, tipica dei deserti asiatici (C. bactrianus) non fanno certo eccezione, data l’imprescindibile abitudine di monopolizzare le limitate risorse vegetali di queste terre, dopo esservi stati abbandonati, successivamente alla diffusione dei ben più pratici veicoli a motore. Con grande sofferenza delle specie endemiche, spesso a rischio d’estinzione. Per non parlare degli ingenti danni che simili creature risultano capaci di causare, ogni qualvolta il clima entra in un periodo di siccità, nel tentativo di raggiungere le potenziali fonti dei sistemi d’irrigazione, le pompe o addirittura i gabinetti costruiti dagli umani. Ragion per cui, a partire dalla prima metà degli anni 2000, sono state implementate una serie di misure alquanto drastiche per ridurne sistematicamente la popolazione, spesso tra le proteste degli animalisti e parte della popolazione locale. Misure che includono l’impiego di un particolare sistema di localizzazione, le cui implicazioni più profonde, sfidano i confini del concetto stesso di “umanità”…