Città da oltre 30 milioni di abitanti capace di rappresentare dal punto di vista normativo uno dei maggiori centri urbani della Cina, il vasto agglomerato di Chongqing risulta in realtà composto da una serie di comunità geograficamente distinte, inframezzate da una vasta serie di spazi rurali, zone agricole ed infrastrutture stradali. Luoghi come il fiorente settore vinicolo di Linshi, distretto di Fuling, rinomato localmente per la qualità dei suoi rossi coltivati sulle pendici della montagne Daba, anticamente chiamate in modo poetico come i “Nove Dragoni” (Jiulong). Ed oggi celebri per la maniera in cui l’amministrazione locale, pensando di poter incrementare il turismo locale, ha deciso di posizionare in questa zona il più bizzarro e caratteristico dei parchi a tema. Inserito nel contesto istituzionale del vasto e poliedrico Kepu Zhongxin (科普中心 Centro Scientifico Popolare) il cosiddetto Villaggio del Vino Meixin potrebbe sembrare da una descrizione superficiale come un luogo piuttosto ordinario dotato di giostre, ruote panoramiche e i consueti punti di ristorazione, rigorosamente forniti della più rappresentativa delle bevande locali. Perciò è soltanto volgendo lo sguardo verso l’alto, che i visitatori potranno prendere atto di un qualcosa di particolarmente atipico e rappresentativo: il viadotto costruito a sbalzo di uno svettante ponte lungo 400 metri sopra il fiume Liziang, apparentemente costruito non propriamente con il mero fine di attraversare la scoscesa gola di quest’ultimo. Bensì costituire un vero e proprio quartiere turistico della comunità locale, dotato di dozzine di residenze, ristoranti ed altri edifici variopinti, evidente luogo visitabile da un’ipotetica collettività di turisti che nel corso degli ultimi mesi, sembrerebbero essersi diretti altrove. A loro volta ornate da bizzarri elementi, come uno scuolabus sospeso a mezz’aria, statue vagamente marmoree e la figura immediatamente riconoscibile di un piccolo Cristo Redentore di Rio. Ma è ancor più memorabile, a suo modo, il profilo sincretistico vantato da un simile conglomerato posto a ridosso del cielo, dove costruzioni dall’aspetto architettonico tipicamente cinese si mischiano a casette che dovrebbero (presumibilmente) rappresentare l’aspetto esteriore di un villaggio del Nord-Europa, con molti spazi dedicati a luoghi di ristoro, dove mangiare al cospetto di un punto panoramico indiscutibilmente raro. Suggestioni vagamente riconducibili a un luogo celebre nel mondo come il Ponte Vecchio di Firenze, dove botteghe e vari negozi si susseguono fino ai tre archi del punto centrale, ma ricreato su una scala tanto maggiore da approssimarsi piuttosto a un tipo d’influenza tipica del mondo della fantascienza. Quella delle enclavi sorte spontaneamente a seguito di una difficile situazione o distopia, in spazi liminali tra i recessi altrettanto indesiderabili; vedi il memorabile Ponte dell’omonima trilogia letteraria di William Gibson, trasformato in letterale formicaio umano dagli abitanti della baia di San Francisco successivamente al verificarsi del grande terremoto californiano. O la stessa città murata e super-sovrappopolata di Kowloon, realmente esistita dalla concessione dei Nuovi Territori al governo indipendente di Hong Kong e fino al 1993, quando venne comprensibilmente sottoposta a demolizione dalla Cina, ponendo fine a un letterale covo di criminalità, droghe e condizioni abitative tutt’altro che sanitarie. Tutt’altra storia rispetto all’ambiente notoriamente riconducibile all’estetica cyberpunk, per la commistione d’influenze tradizionali e vertiginose caratteristiche tecnologiche, della grande area di Chongqing, cresciuta spontaneamente attraverso i secoli ed in circostanze decisamente più favorevoli. Per non parlare dello scopo ed il significato del Villaggio del Vino Rosso, pienamente rappresentativo di quel concetto locale dell’imitazione concepita non al fine di sostituire un qualcosa, bensì rendergli omaggio, permettendo al tempo stesso a chi lo visita di fare un viaggio con la fantasia. E non è perciò del tutto errata, la definizione di quartiere fiabesco che in tanti articoli e trattazioni viene attribuita ad una simile, svettante attrazione…
ponti
L’attrezzatissimo percorso di metallo lungo il fianco della scogliera irlandese
Sia perciò chiaro a tutti che la forma più naturale di turismo è l’escursione, e il tipo di montagna più accessibile, soprattutto per chi vive sulle coste di un’isola rocciosa come l’Irlanda, è la scogliera. Questo è scritto a lettere palesi nell’universale repertorio delle umane cognizioni, ed ancor maggiormente appare chiaro se si osserva la casistica pregressa di un’attrazione tanto insolita e notevole, come potremmo definire al tempo stesso l’incontro funzionale di occasione, tradizione e tecnologia di “The Gobbins” nella contea di Islandmagee, rigogliosa penisola che si protende verso la Scozia e il resto dell’arcipelago che forma il Regno Unito. Un punto di passaggio, se vogliamo, posto al confine tra i pianeggianti campi di un territorio civilizzato e quello più selvaggio e inconoscibile, per sua implicita definizione, del tempestoso Mare del Nord. Non per niente si consiglia, a chiunque intenda visitare un tale luogo longilineo, di documentarsi approfonditamente in merito alle previsioni del tempo per il rischio di restarne esclusi, così come si tante volte è capitato per l’intero periodo di 113 anni dalla sua ormai remota inaugurazione. E potrà sembrarvi forse strano che una simile serie di strutture, effimera come soltanto uno zigzagante sistema di ponti e camminamenti di metallo bagnati continuamente dall’acqua salmastra possono riuscire ad essere, sia giunta intonsa fino ai nostri tempi fin dall’epoca Vittoriana, così come appare, splendida e brillante, nelle numerose testimonianze videografiche facilmente reperibili online. Il che costituisce l’assoluta verità ed apre l’immediata via verso una breve rassegna storica, per quella che potremmo facilmente identificare come una delle attrazioni maggiormente visitate di tutta l’Isola Verde.
The Gobbins nasce quindi all’inizio del Novecento, quando l’idea della sua genesi venne preventivamente ordita dall’ingegnere ferroviario di ottima carriera Berkeley Deane Wise, originario di New Ross e figlio di un avvocato operativo localmente, almeno finché l’intera famiglia ebbe l’occasione, qualche anno dopo, di trasferirsi presso la città di Dublino. Luogo presso cui avrebbe intrapreso gli studi universitari a partire dal 1871, sebbene non sarebbe mai riuscito a conseguire la laurea sperata. Fatto sta che all’epoca, esso costituiva un valore aggiunto piuttosto che necessario, se è vero che soltanto l’anno successivo sarebbe stato assunto dalle Ferrovie delle Midlands, dando inizio al percorso professionale che l’avrebbe portato a implementare e revisionare una lunga serie di tragitti, inclusivi di ponti e tunnel, oltre ad introdurre per primo una segnaletica di sicurezza per il suo paese che potesse dirsi realmente efficiente. Ma poiché la specializzazione a quell’epoca non era un concetto in alcun modo auspicabile, Wise sarebbe rimasto famoso soprattutto per l’incarico ricevuto a più riprese, e portato a termine con comprovata efficacia, di trasformare le diverse stazioni presso cui avrebbe lavorato in veri e propri punti di riferimento, per l’estetica architettonica e la varietà di servizi offerti tra le loro mura riccamente ornate. A partire dal 1988, con l’assunzione presso le Ferrovie di Belfast (BNCR) era ormai giunto a fare di tutto ciò una vera e propria arte, come esemplificato dalla passeggiata creata attorno alla fermata ferroviaria di Whitehead nell’Irlanda del Nord, capace di condurre i visitatori per uno spettacolare quarto di miglio fino al promontorio di Blackhead. Chiunque, interrogato sull’argomento, converrebbe tuttavia nel definire una tale opera come nient’altro che un prototipo, rispetto alla creazione d’ingegneria civile che costituisce, molto evidentemente, il suo capolavoro antologico più celebrato.
Le prime testimonianze che abbiamo del percorso panoramico dei Gobbins sono quindi databili al 1902, quando aperta la prima sezione incompleta dei camminamenti i giornali iniziarono a parlare di una nuova cliff walk (camminata sulla scogliera) del tutto impareggiabile in Europa e nel mondo, con dirupi, caverne e straordinari “acquari naturali” entro cui ammirare la notevole vita oceanica di questi luoghi. In breve tempo, la passeggiata acquisì un enorme valore scientifico e commerciale per il maggior benessere dell’intera penisola di Islandmagee…
Il grattacielo disteso a mezz’aria che unisce le nuove torri gemelle di Dubai
Una landa improbabile nel cuore del deserto, in riva ad un mare turbolento. Dove i sogni più surreali sembrano essere andati incontro a realizzazione, come esemplificato da alcuni dei più incredibili edifici che abbiano mai trovato collocazione all’interno di un contesto urbano: il più alto, il più vasto, il meno ragionevole possibile… Possibile che esista ancora un modo per rimanere sorpresi? Che cosa resta da regalare, ad un popolo che, almeno dal punto di vista architettonico, sembrerebbe avere già tutto quello che esiste o potrà esistere nell’immediato futuro? Si tratta di un “altro”, ovviamente. O per meglio dire, altri due, che la grande compagnia di sviluppo Ithra Dubai ha deciso di collocare nel punto esatto della città presso il quartiere avveniristico che prende il nome di Za’abel. Dove i 38 piani del Dubai World Trade Centre gettano a orari precisi la propria ombra sui grandi parchi e le ville ornate dei potenti, ed oggi un qualcosa d’inaspettato sta finendo di sorgere, mentre gli ultimi ritocchi porteranno a una probabile inaugurazione entro il secondo trimestre del 2021. E di stile, qui, ce n’è parecchio, se è vero che il complesso di edifici battezzato per l’occasione One Za’abel rappresenta l’ultima creazione dello studio architettonico giapponese Nikken Sekkei, secondo più grande al mondo e già dietro il più alto edificio del suo paese, l’impressionante Tokyo Skytree. Azienda che qui nella capitale degli Emirati sembrerebbe quasi aver detto: “Tra tali e tanti giganti, è impossibile primeggiare in altezza. Sarà meglio costruire… Di lato.”
Si tratta di un risultato che potrebbe in effetti apparire, in un primo momento, particolarmente difficile da contestualizzare. Poiché tra i due palazzi con piedistallo alti rispettivamente 330 e 235 metri si estende, ad un’altezza di 100, un’ulteriore struttura che potrebbe facilmente raggiungere l’altezza della seconda torre. Se soltanto non fosse stata disposta, con il chiaro intento di distinguersi, in maniera perfettamente parallela al suolo. Ma non è soltanto questo a rendere degno di essere iscritto nel registro dei record il cosiddetto Link (collegamento) bensì l’effettiva collocazione geometrica della sua estremità più evidente. Posta in maniera tale da riuscire a fluttuare, con la più totale nonchalance, ben al di là dello spazio a disposizione tra i due palazzi. Giungendo a costituire, nella semplice realtà dei fatti, la più imponente trave a sbalzo (in gergo: cantilever) mai costruita nella storia dell’umanità. Il che sottintende in maniera piuttosto evidente l’impiego di tecniche costruttive a dir poco rivoluzionarie da parte dell’azienda incaricata ALEC, se è vero che l’intera struttura di una simile traversa, che scavalcando una grande strada di scorrimento assume il carattere di una vera e propria “porta della città”, è stata costruita in una serie di sette segmenti assemblati al livello del terreno e quindi tirati su tutti assieme, per un peso complessivo di oltre 6.000 tonnellate, prima di aggiungere l’ultimo ed il più imponente di tali componenti verso il mese di ottobre scorso. Quello destinato, per l’appunto, a restare sospeso nel vuoto con un singolo punto d’aggancio, fornito per l’occasione da una serie straordinariamente complessa ed articolata di saldature, come una sorta di attraversamento pedonabile di spropositati ed invisibili arcobaleni. Un passaggio di una complessità alquanto difficile da giustificare, se fosse servita soltanto a poter disporre di un’altra piscina tra i campi nebulosi del cielo di Dubai…
Il concetto di un ponte per conciliare la guida a destra con l’altro lato del Fiume delle Perle
Perennemente intricati in una danza selvaggia, i due dragoni di Oriente ed Occidente s’inseguono a vicenda, nel tentativo di afferrare la sfuggente gemma che conduce all’illuminazione. Uno sopra e l’altro sotto, quindi uno sotto, e l’altro sopra; Ying & Yang, princìpi contrapposti dello stesso principio generativo e trascendente. Chi capisce, lo sa. Tutti gli altri riescono a comprenderlo istintivamente, trascinati nell’arcano maelstrom degli eventi. Ma se l’uomo alla guida, invece di osservare, scegliesse di essere una parte integrante del processo attivo, egli non avrebbe altra scelta che percorrere quell’arcano viadotto secondo i metodi venuti dalla conoscenza degli antenati. Fino al punto di trovarsi, a un certo punto, spiazzato… Poiché non è sempre dritto ciò che sembra tale. E qualche volta, l’unica scelta possibile è riuscire ad adeguarsi a una contrapposta visione delle circostanze!
Questa è una storia fantastica che inizia nel 2002, quando nel corso della Terza Conferenza Cina-Hong Kong per la coordinazione dei grandi progetti venne sollevata una fondamentale questione: sarebbe stato possibile per la città insulare ritornata cinque anni prima nel dominio del Regno di Mezzo (Zhōngguó – 中國) continuare a beneficiare unicamente dei limitati punti di collegamento costruiti fino a quel fatidico momento? Oppure sarebbe occorso, in tutta fretta, intraprendere la costruzione del più lungo ponte della Terra, destinato a ricevere il nome Hong Kong–Zhuhai–Macao (perché unisce, per l’appunto, i tre poli della grande megalopoli situata presso il Delta del Fiume delle Perle) 26,9 Km di campate stellate, alti pilastri decorativi ed isole artificiali di collegamento… Una realtà destinata a realizzarsi, e che avremmo commentato in diretta anche su queste pagine, nell’ormai lietamente distante 2018, quando ancora il mondo poteva costruire qualcosa di nuovo senza andare incontro al terrore incombente della pandemia. Non prima, tuttavia, che infiniti concorsi, proposte ed appalti collaterali paventassero sul corso della storia strane strade alternative, tentativi ambiziosi ed idee prive di precedenti, capaci di far sollevare più di un sopracciglio presso gli enti preposti a trovare una soluzione capace di mettere tutti d’accordo.
Progetti come quello, totalmente privo di predecessori o fisiche realizzazioni successive, dello studio olandese NL Architects, presentato ben 8 anni prima del traguardo con un’intrigante slide-show, le cui prime immagini parlano di “opportunità” ed “un’umile proposta” non ancora elaborata fino ai requisiti più profondi di una fisica realizzazione in-loco. E si può ben comprendere, in effetti, il bisogno di una simile dichiarazione, quando si considera l’avveniristica portata dei contenuti a seguire. Il Ponte a Collana del Fiume delle Perle, o come più prosaicamente chiamato su Internet all’epoca il “ponte flipper” (non tanto con riferimento al gioco da bar, quanto in osservanza del significato del verbo “to flip“) vede la suddivisione dei due sensi di marcia contrapposti trasformati in altrettanti viadotti, che annodandosi a vicenda si sollevando ed infilano l’uno sotto l’altro. Permettendo a chi guidava sulla destra di spostarsi a sinistra, e viceversa. La ragione di un simile approccio futuribile è quindi facilmente individuabile nell’esigenza di fondo, per cui l’intera città di Hong Kong e l’ex-colonia portoghese di Macao, rimaste tanto a lungo soggette a regole della strada differenti, hanno sempre guidato sul lato britannico dei propri viali di collegamento. Diversamente da quanto fatto sulla terraferma del più grande paese d’Asia dopo la Russia, dove s’impiega la stessa soluzione imposta da Napoleone al resto degli stati europei. Un bel problema, per chi veniva da (o andava verso) gli urbani universi antistanti di Shenzen & Zuhai…