Rubare è un crimine profondamente problematico, poiché lede alla struttura stessa della società riuscendo a demolire le opportune convenzioni che regolano gli accordi di convivenza tra le persone. Allora perché per lunghi secoli, se non millenni, l’uomo ha creduto fermamente di poter rubare quanto di più prezioso possa esistere all’Universo? Un furto senza vittime o almeno questo può sembrare, finché non si allargano le proprie prospettive a coloro che sussistono comunemente ai margini di quel fenomeno al tempo stesso inconcludente ma del tutto intrinseco nel funzionamento dell’immaginazione umana. La sistematica progettazione, in altri termini, di una macchina che possa estendere il proprio funzionamento all’indirizzo dell’eternità. Ovvero una ruota se vogliamo entrare nel contesto attivo della discussione, poiché soltanto circolare può essere il tipo di forza che rigenera se stessa, alla maniera in cui sembrano farlo gli instancabili corpi del cosmo danzante. Ciò profetizzò il famigerato matematico ed astronomo indiano Brahmagupta, proponendo nel VII secolo il disegno di una ruota perforata contenente nei suoi alloggiamenti una cospicua quantità di argento vivo (mercurio) atto a muoversi tra questi durante il corso di una singola rotazione. Dopo l’anno Mille “migliorata” dal collega Bhāskara II, che ne aveva curvato la dislocazione interna potenziando in questo modo la velocità e potenza indicate. Strumenti simili vennero ripresi in seguito in Europa ed in modo particolare durante il corso del Rinascimento Italiano, quando ingegneri senesi come Mariano di Jacopo noto come il Taccola, per non parlare dello stesso Leonardo da Vinci, sperimentarono con vari tipi di apparati articolati o ricolmi di varie tipologie di fluidi. Sempre con l’obiettivo di riuscire ad ottenere il cosiddetto sovrabilanciamento, uno stato ideale in cui il punto di equilibrio non poteva in alcun modo essere raggiunto, portando l’apparato a ricercarlo fino al sopraggiungimento dell’inevitabile usura dei componenti. Fu d’altronde il celebrato autore della Gioconda, tra le molte altre cose, a precorrere in questo ambito il funzionamento del pensiero scientifico, giungendo alla cognizione che un simile approccio funzionale sarebbe risultato impossibile al pari della trasmutazione dei metalli predicata dai sedicenti alchimisti coévi. La febbre del moto perpetuo è tuttavia una malattia insidiosa, che contamina inventori solitari nei propri laboratori isolati, portando all’elaborazione di nuovi e sempre più complicati approcci risolutivi. Nella mansione, non propriamente irraggiungibile, di offuscare l’ovvietà portando allo sviluppo dell’immaginazione e del sogno. Un approccio che può risultare, in determinate circostanze, molto redditizio dal punto di vista dei praticanti. Correndo avanti nella nostra narrazione al campo sempre rilevante di coloro che perseguirono, quanto meno, la funzionale convinzione di altri sarebbe inopportuno a questo punto tralasciare la figura del XVIII secolo di Johann Ernst Elias Bessler alias Orffyreus, inventore nato in Sassonia che decise di consacrare il proprio stesso nome alla figura del cerchio, disponendo in tale guisa ogni singola lettera dell’alfabeto, per poi andare in cerca delle lettere in opposizione formando in questo modo il suo pseudonimo, opportunamente latinizzato prima dell’uso. Colui che forse più di ogni altro prima che venisse il suo turno, riuscì a promuovere presso le menti insigni del suo secolo l’idea implicita che nessuna legge della termodinamica, nell’epoca vigente o quelle successive, avrebbe mai trovato il metodo o ragione di venire applicata…
movimento
La scultura fuori dal contesto che mostra la quarta dimensione facendo muovere il tesseratto
Seduto a gambe incrociate nella mezza posizione del loto, sollevo lievemente le mie palpebre al momento esatto in cui lo spaziotempo sembra essere piegato da una vibrazione transiente. Per molti giorni ho meditato, sopra l’arieggiata roccia del Karakorum, alla ricerca della logica ragione delle forme. Il profilo che ora scorgo dominare sulla valle sottostante mi dimostra, finalmente, che avevo una valida regione per farlo. I 32 spigoli ed i 16 angoli della suprema manifestazione appaiono traslucidi ed opalescenti, nello sforzo di permeare la membrana sull’ultimo confine del nostro affollato angolo del mondo. Per volere di una mente ferrea, ed il bisogno di scoprire l’ultima ragione delle cose, l’ultima barriera infine si divide. E con un’inaudibile boato, l’ipercubo è giunto. Ma l’Universo non riesce veramente a contenerlo. Esso esiste, eppure al tempo stesso sfugge in parte alla spaziale comprensione. Nessun aspetto della geometria divina esimersi dal continuare a farlo. Dunque con il movimento e la continua danza dei maestosi astri, l’insieme dardeggiante non potrà davvero porre fine alla sua rotazione persistente. Spinto da una forza che lo porta a ripiegarsi in modo ricorsivo su se stesso, ancora e ancora, dando luogo all’incessante nascita della sua stessa ombra. Con un profondo respiro, chiudo nuovamente gli occhi. Mentre la mia mente incorpora i concetti che conducono alla quarta dimensione dell’Esistenza.
È una visione per certi versi mistica ed in effetti quanto meno straniante, quella che aspetta i partecipanti al tour guidato del complesso Science Gateway presso l’istituto di ricerca del CERN di Ginevra. Dove tra le varie installazioni dedicate in modo esplicito a suscitare un interesse per la fisica nelle nuove generazioni, campeggia fin dall’inaugurazione del 2023 una scultura cinetica dall’aspetto e funzionamento straordinariamente particolari. Trattasi di Round About Four Dimensions, creata dagli artisti tedeschi Julius von Bismarck e Benjamin Maus, con la collaborazione tecnica del fornitore industriale CNC24. Molto più che un semplice cubo e al tempo stesso, qualcosa di diverso da un comune oggetto costruito sulla base di cognizioni logiche e immanenti. Trattandosi nei fatti della propria stessa evidenza, di una delle proiezioni matematicamente possibili di qualcosa di trascendente, ovvero l’ipotesi visuale, resa popolare per la prima volta dall’autore di fantascienza ante-litteram Charles Howard Hinton nel 1880 che l’aveva chiamata il tesseratto, della più basilare forma geometrica capace di coinvolgere un’ulteriore dimensione oltre alla terza. Immaginate dunque un punto immobile nell’infinito, che guadagni un suo compagno permettendo l’esistenza della linea. Che venga successivamente estrusa lungo il piano orizzontale, aggiungendo a quell’immagine mentale il concetto di un quadrato. Il quale sollevandosi verticalmente, darà origine al primo volume nell’insostanziale permanenza. Ed infine nella risultante comunione di elementi, la creazione risultanti inizi a estendersi verso una direzione ulteriore. Che non è l’interno né l’esterno, ma piuttosto entrambe le cose, lungo l’asse imperscrutabile del Tempo…
Bruchi ed onde condividono lo spirito vitale dell’artista leonardesco californiano
In un mondo in cui la specializzazione sembra ormai rappresentare il nettare che nutre il fondamento stesso della società contemporanea, esiste ancora un tipo di mestiere, o attività che dir si voglia, in cui la somma delle proprie precedenti esperienze costituisce un carburante fattivo, la spinta implicita delle proprie aspirazioni comunicative latenti. Chi se non l’artista, d’altronde, può basare il proprio senso del dovere nei confronti delle moltitudini su di un’esperienza transitoria, durata appena una ventina di secondi collocati in senso cronologico all’inizio di un’ormai trascorsa stagione della sua vita? Ovvero nel caso del qui presente costruttore onirico, Reuben Heyday Margolin, l’aver visto un bruco che strisciava sulle sabbie del deserto, in una placida giornata di parecchi anni fa. Larva di un comune lepidottero, il cui movimento reiterato giunse tuttavia a rappresentare per la sua immaginazione tutto ciò che di dinamico e vivace può persistere nel pozzo subitaneo dell’Universo, da cui una rana scruta verso l’alto e prova il sentimento che può attribuire, ad ogni singola forma di vita, significati algebrici ulteriori. Coadiuvati da quello scopo esistenziale con immense proporzioni latenti.
Così l’uomo che ha studiato all’Università, nell’ordine: matematica, geologia, antropologia, lettere ed ha poi completato la sua erudizione presso celebri accademie di disegno a Firenze e San Pietroburgo, oggi è celebre per un particolare quanto distintivo tipo di scultura cinetica fondata su principi filosofici e naturalistici, che riesce ad evocare la natura pur mostrando fieramente i meccanismi che costituiscono il sistema funzionale di un meccanismo niente meno che impressionante. Nel modo in cui una semplice fonte di movimento, in genere un motore elettrico, anima la serie d’ingranaggi interconnessi e camme, rigorosamente analogici e per questo in grado di operare con funzionale discrezione dei singoli attimi, verso l’ottenimento di una sequenza in qualche modo pregna o in grado di condurre a multiple utili interpretazioni personali. Questo perché ciò che rappresenta forse il punto di maggiore distinzione dell’autore, rispetto ai molti colleghi attivi nello stesso campo dell’arte contemporanea, è una ferrea aderenza al tema principale di una singola ricerca: quella per ridurre un’ampia gamma di fenomeni e forme di vita allo strumento interpretativo di un’analisi numerica. Un vero e proprio codice, in parole povere, che dimostra di essere risolto nel momento stesso in cui comincia a svolgere l’attività per cui è stato creato…
Orsetti robotici del tutto commestibili, batterie incluse. Serve altro?
In una conversazione radiofonica del 2021 giudicata abbastanza rilevante da costituire l’unico contenuto pubblicato sul canale YouTube di un progetto scientifico internazionale, il responsabile del Laboratorio dei Sistemi Intelligenti dell’Istituto Scientifico di Losanna, Dario Floreano, racconta di essersi ad un certo punto interrogato su cosa potesse servire davvero per riuscire a replicare in modo artificiale un essere vivente. Giungendo all’improvvisa realizzazione: una delle principali caratteristiche delle creature biologiche, è la loro capacità di mangiarsi a vicenda. Siamo davvero certi che tale priorità risulti totalmente irraggiungibile, sulla base delle soluzioni tecnologiche di cui attualmente siamo dotati? Avendo identificato un simile pensiero come ben più che mera elucubrazione, anche data la sua posizione accademica di rilievo, lo scienziato ed ingegnere avrebbe quindi avviato la proposta del piano Robofood, iniziativa con finanziamenti a livello europeo per la creazione di un automa commestibile, in un certo senso l’incontro impossibile tra il settore gastronomico e quello della creatività ingegneristica finalizzata allo scopo di migliorare le nostre vita. Il che ci porta, paradossalmente, fuori strada e su settori più o meno in linea con tale obiettivo, fino all’epocale presentazione nel padiglione svizzero all’Expo di Osaka, in collaborazione con L’Istituto di Tecnologia di Genova, di quella che potremmo definire come la più insolita torta di matrimonio della corrente decade. Tre livelli di pan di spagna sovrapposti con sopra la piattaforma sommitale la caratteristica coppia di figure “lui & lei” (in questo caso, orsetti) intenti a muovere ritmicamente le braccia in una sorta di rudimentale danza. E fin qui nulla di troppo strano, finché non si viene a conoscenza della fonte d’energia che alimenta i loro muscoli pneumatici, assieme ai LED contenuti nella coppia di candeline del piano sottostante. Stiamo qui parlando, in parole povere, della prima batteria prodotta con un misto di carboni attivi e rivestita di cioccolata, dal potenziale elettrolitico fornito da riboflavina/vitamina B2 ed il flavonolo di origine vegetale chiamato quercetina. La cui autonomia non è del tutto chiara benché una cosa possa essere, inaspettatamente, sicura: ogni singolo elemento costituente di questa insolita creazione culinaria, candeline escluse, può essere completamente fagocitata dall’uomo. Risultando avere, a quanto ci viene spiegato, anche un buon sapore. A partire dagli orsetti stessi che sarebbero dotati di un gradevole gusto di melograno…



