Giorni di silenzio, osservazione, concentrate considerazioni situazionali. Per realizzare finalmente come, nonostante i presupposti apparentemente all’opposto, la migliore circostanza per favorire il progresso tecnologico in determinati ambiti sia il conflitto tra le contrapposte fazioni umane. Perciò avremmo davvero, oggi, aeroplani come quelli che ogni giorno solcano i cieli, se non fosse stato per lo scoppio della grande guerra pochi anni dopo l’invenzione del volo a motore? E allo stesso modo, chissà cosa sarebbe stato degli elicotteri, apparecchi volanti naturalmente instabili e difficili da pilotare… Se non fosse stato per l’utilità tattica che seppero dimostrare durante i lunghi anni in cui le superpotenze tentarono di dimostrare la propria superiorità in terra straniera. In tale ottica diviene programmatico, in quanto carico di un doppio significato, lo slogan della compagnia pionieristica ed ormai quasi centenaria della Sikorsky Aircraft “Costruire per la prossima guerra, non l’ultima” (che oggettivamente, almeno in lingua inglese, sembrerebbe parlare meno di catastrofismi ipotetici e fuori luogo quanto piuttosto di una cronologia in bilico tra “futuro” e “passato”). Un corollario utile a contestualizzare questa recentissima dimostrazione pratica dell’S-97 Raider, il nuovo concetto di cannoniera in grado di effettuare il volo statico, al fine d’individuare o sopprimere la resistenza nemica. Sostituendo con il suo ipotetico ruolo di servizio attivo, collocato idealmente entro l’anno 2022-23, l’ormai antico Bell OH-58 Kiowa che già partecipò alla guerra in Vietnam, durante quelle lunghe albe e tramonti di tante decadi fa. Così documentato all’interno di questo breve video in cui l’atipico mezzo di trasporto, dalla sagoma vagamente simile a quella di un pesce, piroetta nel cielo sopra l’arsenale di Redstone a Huntsville, Alabama, compiendo strette virate ed ancor più ripide accelerazioni, mentre percorre tragitti arzigogolati con l’agilità di un insetto dotato di quattro ali. O tre rotori, nel caso specifico, di cui due montati in batteria sovrapposta nella posizione del congegno principale, mentre il terzo trova posto sulla coda ma situato in posizione perpendicolare all’asse di marcia del veicolo. Con l’evidente funzione di Spingere, piuttosto che mantenere in Equilibrio.
L’idea alla base dell’intero progetto FVL (Future Vertical Lift) di cui qui stiamo vedendo la più recente ed elaborata conseguenza trae in effetti le sue origini in un’epoca tutt’altro che recente, con il primo tentativo di unire militarmente agilità elicotteristica e la rapidità di un aeroplano intrapreso nel remoto 1965, proprio da quella gigantesca Lockheed Martin che oggi costituisce l’azienda proprietaria di Sikorsy stessa. Mi sto riferendo in effetti all’AH-56 Cheyenne, elicottero d’attacco in cui il sistema di propulsione caudale avrebbe visto la coesistenza in tandem di due rotori disposti ad “L”, con il sistema di spinta in aggiunta alla primaria funzione anticoppia di quello previsto dal progetto convenzionale. Un’idea in apparenza funzionale, almeno finché due anni dopo uno dei prototipi subì un’avaria, causando la morte del pilota ai comandi. Il che avrebbe gradualmente portato all’accantonamento di una simile visione, per un ulteriore mezza decade, quando il problema sarebbe stato approcciato da un’angolazione del tutto diversa. Ecco giungere sul palcoscenico dell’aeronautica, a questo fatidico punto, l’S-69 della Sikorsky. Siamo nel 1973 e l’azienda di Stratford, Connecticut, ha ricevuto un budget considerevole dalle Forze Armate per superare finalmente, nel suo laboratorio di ricerca & sviluppo, uno dei più vecchi problemi del volo elicotteristico: la dissimetria della portanza alias “stallo della pala retrograda”. Principale ostacolo al superamento di determinate velocità di spostamento per questi mezzi di trasporto, a causa della naturale tendenza del loro lato destro (o sinistro) a ricevere una maggiore tendenza a sollevarsi dal suolo causa il naturale sollevarsi delle pale rotanti. Mentre allo stesso tempo, l’altra metà del disco rotante tenderà naturalmente a scendere verso il suolo, portando a pericolose turbolenze o nei casi più estremi, la letale perdita del controllo. Ecco dunque l’idea risolutiva, che qui vediamo perfettamente applicata al prototipo di S-97 nella dimostrazione di Huntsville: posizionare due rotori controrotativi uno sopra l’altro, in posizione perciò coassiale, capaci di mantenere l’elicottero non soltanto sollevato da terra, ma anche in assetto perfettamente stabile senza l’impiego di un rotore di coda. Permettendo non soltanto di eliminare la consueta predisposizione al flappeggio (inclinazione autonoma delle singole pale per contrastare la dissimetria) ma anche di riservare l’intero spazio della coda dell’aeromobile al sopracitato terzo rotore propulsivo, come componente niente meno che essenziale per quello che sarebbe giunto a rivelarsi, già dopo il primo volo di prova, l’elicottero più veloce al mondo.
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Nessun soccorso: ecco un aereo gonfiabile per sfuggire alla cattura in territorio nemico
Puoi atterrare in via precauzionale in un campo; puoi planare sulla spiaggia, toccare terra senza mai tentare d’impiegare un carrello semi-distrutto; puoi tentare di abbassare i flap, calibrando il rollio di un bombardiere dalle superfici di controllo gravemente danneggiate. Puoi semplicemente paracadutarti, quando ormai non resta più alcunché da fare, sperando di passare inosservato per quanto concerne l’artiglieria anti-aerea nemica. Molte sono le maniere tramite cui transitare, pressoché istantaneamente, da uno stato di spostamento motorizzato al di sopra delle nubi, a quello di ritorno graduale alla quiete, nell’assenza sospirata di alcun tipo di pista d’atterraggio, base alleata o altri simili strumenti assistenziali di contesto. E molti di questi, ancor più che in precedenza, furono sperimentati durante il periodo della seconda guerra mondiale, quando la cessazione dello stato di grazia tendeva a palesarsi molto di frequente, causa l’effetto problematico di attacchi o intercettazione nemiche. La classica visione del “Noi o loro” che poi tendeva a diventare, tanto spesso “Noi soltanto” in tutti quei casi, meno rari di quanto si potrebbe pensare, in cui il pilota sopravviveva, dovendo preoccuparsi di tornare vivo e vegeto alla civiltà. Considerate quindi che stiamo parlando, per tutti gli anni ’40 ed almeno fino al concludersi della decade successiva, di un’epoca largamente antecedente allo sdoganamento dell’elicottero in qualità apparecchio utile a più di un volo sperimentale di pochi minuti, rendendo l’effettivo salvataggio per via aerea una strada difficile, se non del tutto impossibile da portare fino al suo felice coronamento. Il che pose in essere una situazione statistica paradossale in cui, nonostante le migliori intenzioni, i piloti abbattuti che potevano ricevere un qualche tipo di assistenza immediata da parte dei loro commilitoni (soprattutto se caduti dietro le linee nemiche) risultavano in quantità inferiore al 10% delle casistiche registrate. Il che aprì a posteriori il dibattito su cosa, esattamente, potesse farsi per permettergli di sopravvivere continuando a servire il suo paese.
Uno dei primi tentativi formalmente approcciati in tal senso giunse, dunque, a partire dal 1956 quando l’Aviazione degli Stati Uniti, disponendo finalmente di un budget spendibile in tal senso, scelse di contattare l’azienda fornitrice di pneumatici della Goodyear con sede centrale ad Akron, Ohio, per costruire la prima versione pienamente pilotabile di quella che potremmo giungere a definire come scialuppa di salvataggio volante. Ma perché scegliere, a tal fine, una compagnia specializzata nella produzione d’implementi veicolari rotanti? La ragione è presto detta e risulta facilmente individuabile nel modo, esattamente, in cui i sovrintendenti al progetto avevano pensato di poter inserire un intero aereo all’interno di un altro velivolo, aspirando al tipo di compressione durante il non utilizzo che può caratterizzare soltanto un qualcosa la cui struttura fondamentale sfrutta il principale rinforzo strutturale dell’aria stessa. In altri termini, il dispositivo in questione avrebbe dovuto costituire la realizzazione improbabile di un aereo gonfiabile, come un gommone. Qualcosa di naturalmente più problematico da gestire, sebbene alquanto incredibilmente, alcuni tentativi fossero stati effettuati in precedenza. A partire da quello ragionevolmente riuscito dell’aviatore veterano della grande guerra Taylor McDaniel, che avendo assistito in prima persona allo schianto e conseguente dipartita di un suo amico sopra le giungle inaccessibili del Brasile, aveva iniziato a chiedersi se un sistema migliore non potesse esistere a questo mondo. Portando alla costruzione sperimentale nel 1931 di un vero e proprio aliante costruito unicamente con la gomma, capace d’impattare contro il suolo piegandosi per assorbire buona parte del colpo, una capacità che ebbe l’occasione di dimostrare alla stampa quando poche settimane dopo il suo pilota sperimentale Joseph Bergling perse il controllo e si schiantò verticalmente a terra, riportando soltanto alcune lesioni non gravi contro la morte certa a cui sarebbe andato incontro all’interno di un aereo convenzionale. Questo obiettivo di rendere le cose alate “indistruttibili” tuttavia non fu mai al centro del resuscitato progetto della Goodyear, pensato per entrare in gioco più che altro DOPO che l’aereo era già precipitato a terra. Previo un breve corso per l’assemblaggio non propriamente intuitivo, sebbene potesse giungere a compimento nel giro di appena 5-10 minuti in condizioni ideali. Abbastanza per sfuggire, auspicabilmente, alla pattuglia di terra già diretta verso la posizione del pilota rimasto senza un velivolo, nella speranza di portarlo presto ed ancora una volta lassù, da dove era recentemente precipitato…
Limpido cubismo sottolineato sulla schiena della super-cimice africana
Splende il sole al margine della savana del Mozambico, dove la vegetazione inizia a diversificarsi, e creature di ogni tipo fanno a gara per trovarsi uno spazio nel tumultuoso ecosistema estivo. Siamo a ottobre, novembre, dicembre, quando le piogge cessano ed inizia il periodo di maggior secchezza dell’aria, riuscendo indurre un latente stato di torpore negli animali vertebrati, che da tempo hanno già completato i loro compiti riproduttivi. Tutt’altra situazione vivono, del resto, gli insetti. Schiere di formiche marciano ordinate verso il proprio tornaconto, e come loro le termiti. Non c’è riposo nel vocabolario dello scarabeo della frutta, che procede alla ricerca di quel cibo che necessita per giungere l’intera estensione dei suoi cinque mesi di vita. Farfalle volano insistentemente nell’aria. E la mantide fiore, variopinta quanto l’espressione vegetativa di cui riprende l’aspetto ed il nome, si dondola insistentemente avanti e indietro, avanti e indietro, a suprema imitazione del vento mai davvero silenzioso. Ma c’è qualcosa di notevolmente piccolo, sopra e sotto alle foglie dell’ibisco, dietro alle Albizia simili a mimose, attorno al Capsicum selvatico e l’anacardio occidentale, che sembrerebbe quasi creato con l’esplicita finalità di attrarre l’attenzione. Alcuni, dall’intento particolarmente razionale e scientifico, giungerebbero a chiamarlo aposematico: ovvero dall’aspetto tanto appariscente, da creare diffidenza e persino paura nei predatori. Altri, e con essi includo buona parte del consorzio umano, più semplicemente: bellissimo. Ed è certo valido a comprendere l’effettiva portata della situazione, il fatto che l’insetto Sphaerocoris annulus sia stato soprannominato almeno negli ultimi tre quarti di secolo col nome di uno dei più grandi pittori (forse il PIÙ importante) del Novecento: Pablo Picasso in persona, che ha inventato e consacrato la corrente cubista. Eppure neanche ebbe mai ragione, o ispirazione, di dipingere una tale scena fuori dal tempo: letterali dozzine, quasi centinaia di stravaganti cimici, non più grandi di 8-10 mm ciascuna, individualmente impreziosite dal passaggio di un pennello, che attentamente vi ha dipinto una quantità media di 11 macchie ad anello verde, rosse e nere. Sfumando negli spazi negativi, con notevole attenzione ai dettagli, macchie di una tonalità verde acqua sullo sfondo di un garbato color beige. Arte, minuzia, perizia, massima delizia. Per gli occhi (al minimo) e un po’ meno per le nostre attente narici. Poiché la classificazione tassonomica di un tale protagonista, come accennato poco sopra, lo pone a pieno titolo nella famiglia degli Scutelleridae strettamente imparentati con le Pentatomoidea, ovvero la tipica cimice verde che ama occasionalmente penetrare nelle nostre case. Ma se fosse tanto bella, nell’aspetto, son pronto a scommettere che mai nessuno penserebbe anche soltanto in via teorica di andarle dietro con un foglio di giornale arrotolato, imprescindibile sinonimo artropode di perdizione.
Come rappresentanti tra i più diffusi dell’ordine cosmopolita degli emitteri, spesso chiamati in via ancor più diretta “veri insetti”, questo stravagante erbivoro non-predatorio trova quindi un ciclo vitale conforme alle caratteristiche della sua intera genìa, che lo vede deporre le uova annualmente (trattasi di specie univoltina) in agglomerati geometricamente interessanti, romboidali o rettangolari, per poi attendere pazientemente la schiusa dopo un periodo di circa 56 giorni. Al che fa seguito l’emersione, piuttosto prevedibile, delle ninfe già ragionevolmente formate dei suoi speranzosi eredi, caratterizzati da una semplice colorazione tendente al giallo paglierino. Sarà soltanto col trascorrere del lungo inverno, nelle sue calorose regioni d’appartenenza, che l’insetto potrà quindi raggiungere la sua colorazione e dimensione d’adulto, in un processo che lo fa classificare nel gruppo degli artropodi emimetaboli, ovvero soggetti a metamorfosi incompleta. Non che ciò influisca, in alcun modo apprezzabile, sulla qualità esteriore di quello che potremmo giungere a definire il “quadro” finale…
Col nuovo modello di Canadair, il volo antincendio riparte dal Montana
Deus ex machina: quando ogni cosa appare ormai perduta, quando l’episodio della narrazione sembra ormai avviato verso il peggiore degli epiloghi, e le fiamme lambiscono i lati del teatro, il palcoscenico e la gente. È allora, soltanto allora, che un rombo ruggente vede spalancarsi l’alto soffitto dell’edificio. E tra nubi di vapore a effetto scenografico, qualcosa d’imponente irrompe in mezzo al pubblico rapito; giallo e largo, alato, affusolato. L’aereo che consegna carichi copiosi di… Opportunità. Ed assieme ad esse, 61 ettolitri di chiare e dolci acque, prelevate in via diretta dal più vicino fiume, lago o mare sulla scena dell’incendio che avanza. Non è soltanto una metafora ma un vero evento storico da lungo tempo programmato, quello che si trova protagonista del presente video di Business Insider, il sito web statunitense che parla dal 2007 di ogni aspetto delle imprese, sia dal punto di vista finanziario che per quanto riguarda le idee e le iniziative che ci sono dietro. O come in questo caso, sopra, trattandosi della compagnia Bridger Aerospace con sede centrale presso l’aeroporto di Bozeman, a Belgrade nell’assolato stato americano del Montana, specializzata nell’utilizzo, impiego e manovra di uno dei più riconoscibili e salvifici aeromobili della nostra Era. Quello che da queste parti chiamano col termine lievemente prosaico di Super Scooper (“risucchiatore”) ma che in Italia trova piuttosto l’appellativo per antonomasia di Canadair, dal nome della compagnia con sede oltre il 49° parallelo Nord, dove termina la terra delle aquile e comincia quella del castoro. Per lo meno, se vogliamo limitarci agli stereotipi biologici delle nazioni; gli animali non hanno concetto di alcun tipo di frontiera. Ma gli stereotipi qualche volta si rivelano reali ed è certamente questo il caso dell’utilità straordinariamente settorializzata, e finalizzata quasi essenzialmente ad un solo obiettivo, di spettacolari macchine volanti come queste: bombardare il fuoco, farlo presto e bene, e nella speranza che le cose possano prendere una piega positiva prima di finire in cenere. Altrimenti…
Protagonista del nuovo video risulta quindi essere, assieme al CEO della compagnia ed ex agente militare dei Navy Seal Matt Sheehy, il primo dei sei CL-415EAF Superscooper ordinati direttamente dalla Bombardier, attuale proprietaria del marchio Canadair, creato sulle effettive specifiche di questa nuova venture che dovrà ben presto rivelarsi operativa negli interi Stati Uniti. Stiamo del resto parlando di un investimento di ben 30 milioni di dollari per ciascun aereo, giustificato dai notevoli 28 metri di apertura aerea, il peso al decollo di fino a 21 tonnellate e la coppia di potenti motori a turboelica Pratt & Whitney Canada PW123AF, capaci di erogare 2.380 cavalli ciascuno grazie all’unione tra la parte rotante e l’espulsione dei gaso di scarico retroattiva. Ma chi dovesse fermarsi soltanto all’aspetto esteriore dell’aereo non così diverso dai velivoli antincendio in uso anche presso i nostri lidi italiani potrebbe acquisire soltanto una parte della storia, se è vero che la nuova versione EAF di quest’ultimo (Enhanced Aerial Firefighter) presenta i nuovi potenziati sistemi d’avionica digitale della Pro Line Fusion, capaci d’indicare in ogni momento al pilota luogo di carico, situazione del traffico e tempistiche necessarie ad effettuare ciascun passaggio sopra l’incendio; nonché metodologie più rapide nell’immissione all’interno dell’acqua raccolta di sostanze chimiche ritardanti, quando necessario; spazio per una barella ed altre attrezzature di primo soccorso; aria condizionata in cabina; e per finire, un nuovo tipo di vernice anti-corrosione, che non fa mai male. Personalizzazioni estremamente specifiche rese possibili proprio dalla stretta collaborazione tipicamente mostrata dalla Bombardier e l’altra attuale produttrice dei modelli Canadair, la Viking, con i pochi incredibili piloti abbastanza abili, ed abbastanza spericolati, da potersi gettare praticamente in picchiata verso la superficie increspata da lievi onde. Per poi risalire immediatamente, nello spazio orizzontale di appena un chilometro e mezzo, all’altezza minima necessaria a sorvolare impressionanti volute di fuoco e cenere. Che può ridursi, per incrementare la precisione, fino alla cifra irrisoria di 30 metri, il che significa che eliche e fronte aerodinamico del velivolo risultano sensibilmente rinforzati, non soltanto al fine di resistere ai detriti e la cenere. Bensì anche l’urto diretto, non propriamente da escludere, coi rami più alti degli alberi sottostanti…