Attenzione all’aeroporto che scompare con il sopraggiungere dell’alta marea

Verso la seconda metà del XVI secolo, il capo del clan scozzese MacNeil diventò famoso per le sue riuscite scorribande contro i mercantili di passaggio lungo le coste d’Inghilterra, con quello che poteva essere interpretato come un tradimento della posizione di dominio sulle terre che aveva ricevuto per gentile concessione della corona scozzese. Convocato quindi da Re Giacomo VI, si giustificò affermando come le sue vittime fossero tutti scafi battenti l’odiata bandiera di Elisabetta I, ovvero colei che aveva decapitato sua madre, Maria Stuarda. Avendo così colpito sul vivo il suo sovrano, egli venne lasciato andare, libero di far ritorno al suo castello costiero di Kisimul. In realtà oltre alla protezione politica, MacNeil poteva fare affidamento su un altro importante vantaggio delle circostanze: la semplice posizione remota del suo dominio presso la più aspra e inaccessibile delle Ebridi Esterne, così che chiunque avesse mai pensato d’attaccarlo, avrebbe dovuto fare i conti con problemi logistici tutt’altro che indifferenti, combattendo oltre i flutti e lungo le pendici dei monti. Ciò che gli ultimi guerrieri del millennio medievale non potevano aspettarsi, tuttavia, è che un giorno le distanze si sarebbero accorciate a un punto tale da permettere a un abitante di Glasgow, salendo a bordo di un velivolo di vetro, acciaio ed alluminio, di raggiungere l’isola di Barra in poco più di un’ora. Grazie alla moderna scienza tecnica dell’aviazione, che ogni civiltà isolana ha avuto modo di apprezzare come via d’accesso rapido a servizi, parenti e cure mediche del tutto irraggiungibili in precedenza. A patto di poter disporre dello spazio necessario e i fondi per poter costituire un qualche tipo di pratica pista d’atterraggio. Oppure, una sua valida e perfettamente funzionale equivalenza…
Ora la questione in merito all’intero Regno delle Isole, un’indiretta ispirazione per la casata dei Greyjoy nella popolare serie letteraria del Trono di Spade, è che il suo territorio risultava composto in egual misura di due principali elementi: acque (ragionevolmente pescose) e l’accidentato territorio dell’entroterra, per nulla coltivabile in quanto composto principalmente dalle ruvide rocce dello strato geologico di Scourie, monti scoscesi e profondi crepacci percorsi dall’occasionale acqua scorrevole di un torrente. Il che, oltre a lasciare poca scelta per la povera gente che aveva la necessità di nutrirsi, continuò a presentare un significativo problema fino all’ingresso a pieno titolo nell’Era moderna: già, perché dove esattamente, sarebbe mai riuscito ad atterrare un aereo? Quesito alla cui risposta si giunse infine verso il 1936, quando l’Ente di Amministrazione degli Aeroporti Scozzesi scelse finalmente di ratificare uno stato dei fatti ormai largamente dato per buono dagli abitanti di questo letterale scoglio nei gelidi mari del Nord: che un piccolo apparecchio di trasporto potesse in effetti posare le sue ruote in un preciso punto nella zona nord dell’isola, dove una sottile striscia di terra univa le propaggini delle regioni di Eolaigearraidh e Armhòr. Nient’altro che una spiaggia, in poche parole, formata dai sedimenti accumulatosi a valle di una zona collinare, dove l’alternanza dei processi gravitazionali riesce a ricavare un ampio spazio pianeggiante privo di alcun tipo d’asperità o buca. In altri termini perfettamente valido, e spazioso, da poter permettere l’impiego in sicurezza per un certo tipo d’aereo. Ovvero al giorno d’oggi, primariamente la coppia di DHC-6 Twin Otter da 19 passeggeri fatti volare quotidianamente dalle autorità locali, esclusivamente in condizioni diurne, per accompagnare una quantità media di 1.800 persone l’anno (dato pre-Covid) partite principalmente dalla capitale economica della Scozia che si trova giusto all’altro lato delle agitate acque dell’Atlantico settentrionale. Questo perché vi sono alcuni specifici requisiti e caratteristiche, considerate necessariamente convenienti per l’operatività in condizioni di assoluta sicurezza presso questa destinazione aeroportuale del tutto unica al mondo, essenzialmente composta dal punto di vista infrastrutturale da poco più che un terminal con bar e torre di controllo incorporati, in aggiunta a qualche manica segnavento e tre alti pali infissi profondamente nel bagnasciuga…

“Non andate oltre questo punto quando le maniche sono sollevate” Un’informazione semplice. Che tuttavia non sembrerebbe sempre applicarsi a chi è armato di fotocamera e un profilo Instagram; la sostanziale dannazione delle genti digitalizzate.

Importante sottolineare, a questo punto, il ruolo assolutamente di primo piano rivestito da tale attrezzatura segnaletica per l’aeroporto di Barra, vista la sua immediata ri-qualifica durante i periodi di alta marea e ogni qualvolta non ci sono voli attesi per diverse ore in vera e propria spiaggia pubblica, liberamente accessibile a turisti, proprietari di animali domestici o semplicemente chiunque abbia voglia di farsi una tranquilla passeggiata, in uno dei luoghi maggiormente singolari e memorabili di tutto l’arcipelago inglese. Fattore nonostante il quale, anche dopo il sollevamento degli appositi anemoscopi, il personale del sito deve comunque preoccuparsi di gridare in prima persona l’urgente necessità di liberare gli spazi ai diretti interessati, non sempre attenti al codice di comportamento pedissequamente riportato in ogni possibile via d’accesso a queste sabbie soffici e fin troppo invitanti. A tal punto morbide, nei fatti, che molti passeggeri alla prima visita sono pronti a giurare di non aver notato neppure l’impatto delle ruote del velivolo contro il terreno, anche grazie ai grandi pneumatici e il carrello ottimamente ammortizzato dei bimotori canadesi. Questione che diventa d’altra parte meno valida nel caso degli occasionali aeromobili privati dalle dimensioni sufficientemente contenute, che possono utilizzare liberamente questo punto di scalo con tanto di codifica internazionale. Sebbene debbano per forza farlo a proprio rischio e pericolo, andando incontro ad una serie di possibili imprevisti; vedi il caso, tutt’altro che inaudito, di un pilota inesperto che nel tentativo di scaldare ruote e motori accelera eccessivamente a più riprese nella stessa area di spiaggia, finendo dolorosamente ed irrimediabilmente impantanato. Frangente nel quale si rende necessario far ricorso ai camion del dipartimento di vigili del fuoco dell’isola, attrezzati con corde e leve, per tentare di sbloccare la situazione. Assai meno problemi tendono a verificarsi, d’altra parte, in fase d’atterraggio soprattutto grazie all’espediente di considerare non una, bensì tre piste distinte disposte a triangolo nell’ampio spazio della spiaggia (che in tal modo, diventa in senso tecnico un aerodromo) tali da permettere sempre un processo d’avvicinamento con il vento proveniente da prua, capace quindi di ridurre la lunghezza del rullaggio finale. Evento a seguito del quale, inevitabilmente, i passeggeri verranno chiamati a bagnarsi un po’ le scarpe, mentre percorrono il tratto sabbioso che separa il terminal dalle propaggini più estreme degli spazi di manovra.
Considerato ormai da lungo tempo una stimata tradizione locale, nonché attrazione turistica di primo piano con ampia capacità di attrarre e catturare l’attenzione di chi viene da fuori, l’aeroporto di Barra è riuscito a diventare un’importante risorsa anche per gli abitanti locali, soprattutto nell’occasionale situazione d’emergenza. Vedi il caso tutt’altro che inaudito, di dover trasportare in tutta fretta una persona infortunata o colpita da un malore fino alla città di Glasgow, eventualità per la quale l’aeroporto può anche organizzare un irregolare decollo notturno, grazie alla luce dei fari delle auto di supporto e strisce catarifrangenti custodite nei suoi magazzini. Non è perciò così difficile capire le immediate proteste pubbliche che si verificarono a partire dal 2002 e come riportato dal Guardian di allora, per la proposta del Ministro Scozzese dei Trasporti, Lewis Macdonald che aveva intenzione di deviare il sussidio annuale di 300.000 sterline verso un miglioramento dei trasporti via nave. Una situazione poco conveniente efficientemente riassunta dal membro del concilio di Barra, Donald Manford che in tal frangente rispolverò il vecchio e pessimistico modo di dire locale: “Ai londinesi non importa nulla degli abitanti delle Highlands. Sono quelli di Edimburgo, che ci odiano davvero.”

Due mezzi di soccorso attendono di essere chiamati sulla scena di eventuali emergenze. Normalmente, gli aerei non sostano durante le ore notturne presso l’aeroporto di Barra, per il semplice pericolo sempre presente di essere raggiunti dall’alta marea.

Che un simile sistema dei trasporti riesca a funzionare senza intoppi significativi, né incidenti registrati, per un periodo che ormai si avvicina pericolosamente ai 90 anni, è d’altra parte il simbolo di un marchio d’eccellenza decisamente raro. Comprensibile quando si osserva le precise metodologie operative del personale del sito, che regolarmente ispeziona la spiaggia, già di per se piuttosto pulita, per rimuovere fino all’ultimo detrito indesiderato, mentre dalla torre di controllo gestiscono ogni procedura secondo il più antico ed infallibile antenato dei computer: una semplice tabella in legno con dei listelli, usati per segnare la posizione di ciascun aereo. Il che dimostra, in ultima analisi, cosa sia o dovrebbe essere effettivamente un aeroporto: nient’altro che un luogo sicuro dove scendere a terra, secondo le comprovate istruzioni di chi è in grado di guidarti a destinazione.
Un qualcosa che nessun ordine imposto dall’alto, o da lontano, può riuscire in buona sostanza a eliminare dallo spettro reiterato del quotidiano. Così come la propensione a saccheggiare vie marittime, che può caratterizzare una popolazione di forti ed esperti marinai che “pescano” lungo le vie commerciali, lasciati tante volte insoddisfatti nel loro profondo senso di autodeterminazione politica e sociale. Finché l’attesa scoperta di un sistema per librarsi finalmente sopra le vaste distanze geografiche, senza nessun tipo di limite per costi e territorio, non permetterà di unire tutti i popoli all’interno di una singola comunità indivisa. Che possa giungere a colonizzar le stelle, per ricominciare nuovamente da capo.

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