L’esperienza della coppia che ha saputo veleggiare oltre la barriera tra i due oceani del mondo

“Oh, andrebbe tutto bene, se soltanto il vento soffiasse nelle nostre vele! E noi continueremo a stargli dietro. E spingeremo il vecchio carro lungo il cammino. Una goccia del sangue del vecchio Nelson non ci farebbe alcun male.” Così recitava una delle canzoni recitate in onore di coloro che, attraverso le proprie vicissitudini marinaresche, si erano riusciti a guadagnare l’ideale simbolo di merito, e le conseguenti ricompense, di essere sopravvissuti alla prova finale di quel mondo. Un’impresa giudicata impossibile finché nel 1578 una delle navi impegnate nella celebre circumnavigazione del globo guidata dall’esploratore Sir Francis Drake, la Golden Hind, non venne spinta verso meridione da una tempesta mentre si trovava alla ricerca dello stretto di Magellano. Per trovarsi all’improvviso, con suprema sorpresa di ogni singola persona situata a bordo, in un vasto e ininterrotto tratto di mare: l’intercapedine situata, nelle precise mappe della nostra epoca, tra la punta meridionale del Cile e l’estrusione perpendicolare del più meridionale dei continenti. Ma poiché di necessità virtù sarebbero serviti “solamente” altri 38 anni perché gli olandesi Willem Schouten e Jacob Le Maire si avvicinassero a quello svincolo remoto, avendo cura di restare nella misura possibile vicino alla terraferma. Per poi chiamarlo, una volta attraversato il punto critico, come la città natale del secondo di loro: Kaap Hoorn. Un tratto di mare battuto da venti feroci e situato all’ombra di una costa frastagliata e scoscesa che non avrebbe lasciato scampo in caso di naufragi, di cui ancora lo stesso Charles Darwin avrebbe parlato con timore e reverenza durante il viaggio della HMS Beagle quasi due secoli dopo. Ma che oggi può essere affrontato con maggiore sicurezza, grazie alla solidità delle navi, gli strumenti di navigazione satellitare e la precisione della meteorologia moderna. Soltanto, in pochi ci saremmo immaginati di poter vedere agevolmente una scena simile: due persone a bordo di una barca a vela di quattordici metri, con l’unico aiuto addizionale del cagnolino di famiglia, che scherzando e ridendo si avventurano in quei luoghi come fosse la più ragionevole delle scampagnate. Mentre un cielo ragionevolmente plumbeo, ed una superficie che non è certo una tavola minacciano possibili e inquietanti conseguenze per la loro fragile incolumità personale. Un’impressione molto significativa per coloro che osservano Kate e Curtis della Sweet Ruca, influencer velici con 26.000 iscritti al proprio canale, senza particolari informazioni pregresse ma che tende ad essere alquanto ridimensionata nel momento in cui si apprende l’elenco delle loro numerose esperienze pregresse. Prendendo atto della determinazione, ed innegabile perizia, dimostrata negli oltre 100 video registrati nel corso degli ultimi tre anni, spesi al fine di approntare ed eseguire un effettivo giro della Terra partendo dal porto di Newport, in Rhode Island (pur essendo entrambi originari della regione dei Grandi Laghi). Un qualcosa che avrebbe necessariamente implicato, in base all’acclarata convenzione, il diritto a un vecchio marinaio di portare DUE orecchini e mettere ENTRAMBI i piedi sopra il tavolo. Per aver saputo dare prova di se stesso innanzi allo sguardo severo del Dio Nettuno…

Allontanarsi dal Capo è chiaramente una scelta ragionevole soltanto per imbarcazioni dalla stazza molte volte maggiore a quella della Ruca. Poiché si dice che le onde presenti nello specifico tratto di mare (largo “appena” 800 Km nonostante l’illusione delle proiezioni cartografiche) abbiano soltanto due modalità possibili: Drake Lake e Drake Shake.

Tutto molto ragionevole o che tale avrebbe potuto essere, qualora l’equipaggio della Sweet Ruca avesse scelto d’intraprendere tale passaggio all’altro lato, dall’Atlantico al Pacifico, in una giornata in cui il sole splendeva in alto e la tranquillità del moto ondoso risultava niente meno che esemplare. Approccio il quale si rivela essere, nel frangente qui documentato, quasi letteralmente all’opposto della verità. Giacché nella maniera riportata orgogliosamente nella descrizione al video: “Che senso ha scalare l’Everest nella maniera più facile possibile?” Piuttosto che mettere alla prova se stessi, il proprio vascello, la sorte propria e quella di eventuali lance di salvataggio cui potrebbe risultare necessario affidarsi… Benché occorre sottolinearlo, dopo aver citato l’opportuno disclaimer che fa seguito all’affermazione, l’innegabile e palese esperienza dei due membri umani dell’equipaggio (il cane Roxy, saldamente assicurato al ponte e dotato di giubbotto di salvataggio, offre un tipo di supporto per lo più morale) mentre cooperano per imbrigliare e sfruttare a proprio vantaggio il vento. Quelle raffiche possenti, che tradizionalmente prendevano il nome di ruggenti quaranta quando al di sotto del quarantesimo parallelo, per poi essere seguiti dai furiosi cinquanta e gli urlanti sessanta man mano che ci si spingeva verso meridione. Un pericolo, oggettivamente, meno irrisolvibile per la moderne cognizioni ingegneristiche, la progettazione e configurazione di un sistema di vele moderno. Benché buona parte della sicurezza operativa sia in questo presente caso garantita dall’elevata coordinazione dei due membri della coppia, conosciutosi per nulla casualmente nel frangente di una gara velica a Melges sette anni a questa parte. Per poi provvedere a maturare un senso di fiducia reciproca, e l’intraprendenza imprenditoriale, necessari a lasciarsi dietro i propri rispettivi lavori per acquistare la loro attuale imbarcazione modello J/Boats J/46 dell’anno 2000. Con cui affrontare il viaggio avventuroso che avrebbe potuto costituire, con la massima probabilità, una delle esperienze più memorabili della loro vita.
E d’altra parte per citare l’opportuna perla di saggezza inclusa nella già citata descrizione su YouTube, non è possibile davvero definirsi liberi, finché non ci si libera dalla paura. Il che può anche non richiedere, nel caso di chi preferisce non mettersi a rischio e si accontenta di semplici metafore, la propria stessa incolumità individuale…

L’attraversamento dello stretto di Magellano al giorno d’oggi ha perso molto del suo glamour avventuroso, grazie alla possibilità di mantenere rotte estremamente precise. Particolarmente quando ci si trova a bordo di una portaerei americana, come la qui mostrata USS George Washington.

Il che trova una conferma inaspettatamente ragionevole del suo contesto, una volta che si sceglie di allargare gli orizzonti fino alle possibili alternative dei tempi moderni. A partire da quella relativamente scontata degli stretti magellanici, il passaggio scoperto dall’eponimo navigatore nel 1563, mentre cercava un punto di passaggio verso le leggendarie Molucche, chiamate all’epoca Isole delle Spezie. Un percorso ben protetto tra le isole della Terra del Fuego, cionondimeno soggetto a raffiche di vento trasversali ed un rischio non del tutto trascurabile di finire spinti verso gli scogli. Benché allontanato dal moderno impiego della tecnologia GPS. In opposizione all’alternativa, sempre accessibile per imbarcazioni più grandi, di affrontare il varco tra gli oceani avventurandosi più lontano nello spazio del passaggio, l’alternativa frequentemente preferita dalle navi troppo ingombranti per passare oltre il canale di Panama. Scelte che d’altronde, non avrebbero fornito l’opportunità di girare un video appassionante come quello della Sweet Ruca. Né di aggiungere, alla notevole biodiversità delle magnifiche creature appartenenti a questo ambito selvaggio, tra delfini, aquile e balene, anche il produttore umano di appassionanti e inconfondibili fotogrammi. Lo YouTuber consumato, via d’accesso divulgativa ad esperienze che difficilmente avremmo mai potuto dire di conoscere, anche indirettamente.

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