La rivoluzione diligente del mostro meccanico che raccoglie il cotone

La profonda comprensione del progresso tecnologico implica fiducia nel concetto, implicitamente non scontato, che il sogno di una singola persona possa cambiare il mondo. Scenari onirici come quello vissuto poco dopo l’anno 1930 da John Rust, meccanico del Texas e collega del fratello laureato in ingegneria, che assieme a lui si era lanciato, con significativa manifestazione di serietà e competenza, in una delle più sentite e significative ricerche di progresso della sua Era: un metodo che funzionasse a scanso di possibili ritardi o gradi di complicazione ulteriore, per semplificare al massimo la raccolta del cottone. Fibra tessile dai grandi meriti economici, motore di profonde e spesso dolorose riorganizzazioni sociali. Come quando il presidente Lincoln, veicolando e interpretando una necessità che apparteneva a molti, fece il gesto necessario d’abolire il diritto a schiavizzare un altro essere umano. Il che avrebbe portato a uno sconvolgimento dei processi funzionali collegati ad un’industria che, nel bene o nel male, aveva condizionato l’economia di un’intera nazione. Sia perciò chiaro come quel risveglio, in una notte carica d’ispirazione, sia un momento registrato nelle cronache ufficiali e più volte raccontato da questa figura d’importanza storica piuttosto rilevante. In cui egli sollevando il dito della mano destra, si ricordò di come le sue mani diventassero appiccicose sui campi della sua famiglia, quando da bambino si bagnava con la rugiada al principio del giorno di raccolta. Da qui ad immaginare un poderoso ‘gin, o motore, entro cui dozzine di copie fedeli e scivolose di quell’arto roteavano rapidamente, risucchiando in questo modo la preziosa materia al centro dell’annosa questione. Sarebbe stata la nascita, di lì a poco, del cotton picker o “raccoglitore” di cotone, l’oggetto teorizzato per la prima volta nel 1890 da Rembert e Jebediah Prescott di Memphis, Tennessee che pur avendone potuto conseguire il brevetto, non si erano messi mai davvero a costruire alcunché di concreto. Questo perché le vie che erano state tentate fino a quel momento risultavano, fondamentalmente, tutte in qualche modo fallimentari, dai sistemi avvolgenti inclini ad intasarsi dopo pochi passaggi, alle avveniristiche macchine pneumatiche o basate sull’elettricità statiche, tutte egualmente inefficienti al fine di scorporare ed aspirare le fibre dalla capsula della pianta. Così che tutti erano convinti, in maniera ragionevolmente esplicita, che il cotone sarebbe stato raccolto unicamente a mano ancora per moltissimi anni. Una presunzione destinata ad invertirsi, in maniera piuttosto drastica ed evidente, con la dimostrazione pubblica da parte dei fratelli Rust del loro prototipo nel 1936 presso la Delta Experiment Station di Leland, Mississippi. Di un apparato che una volta collegato ad un trattore e spinto (piuttosto che tirato) lungo gli ordinati filari delle piante, avrebbe potuto svolgere l’opera di 50-100 lavoranti umani riducendo la forza lavoro necessaria del 75%. Abbastanza da suscitare un senso di terrore latente niente affatto trascurabile, così come quello sperimentato più di un secolo prima per l’invenzione di Eli Whitney, capace di separare le preziose fibre dagli inutili semi all’interno di sferraglianti opifici, portando alla graduale vaporizzazione di centinaia di migliaia, se non milioni di figure professionali. Ma la realtà è che la filiera, da quel fatidico decreto d’emancipazione emesso durante la guerra civile nel 1863, non si era mai davvero adattato all’onda del cambiamento, causando l’effettiva proliferazione di una pletora di fattorie distinte, economicamente poco produttive e inadeguate al fabbisogno vigente. Finché il dito umido di un singolo visionario non si alzò, improvvisamente, a percepire la direzione del vento…

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il sistema di raccolta delle sole fibre è ancora oggi il più rapido ed efficiente, rispetto al cosiddetto stripping che demolisce l’intera pianta. Entrambi, tuttavia, hanno i propri contesti ideali d’utilizzo.

Chiunque immagini un percorso diretto da quel fatidico momento verso il perfezionamento delle moderne macchine per la raccolta del cotone, tuttavia, potrebbe andare incontro ad una significativa compromissione delle aspettative di partenza. In primo luogo per l’ombra incombente della grande depressione economica, che aveva raggiunto l’apice proprio in corrispondenza della dimostrazione di Rust del suo formidabile apparato semovente. E verso l’inizio degli anni ’40, per quella catastrofe continuativa che sarebbe passata alla storia con il nome di seconda guerra mondiale. Pur potendo disporre di una metodologia pienamente funzionale, le prime fattorie capaci di automatizzare totalmente la propria filiera non si sarebbero palesate su larga scala fino all’inizio degli anni ’50, andando incontro a resistenze dovute non soltanto a preconcetti interconnessi alla cambiamento della procedura. Ma anche di una natura sociale più profonda, interconnessa all’ancora insuperata segregazione dell’uomo nero tramite l’applicazione delle cosiddette leggi di Jim Crow. Come parte di uno stereotipo razziale che ancora continuava a vivere nelle campagne e raccogliere preferibilmente il cotone, sebbene potesse, almeno in teoria, decidere di smettere in qualsiasi momento.
Ma l’idea originale di Mr. Rust per dei rulli umidi, a questo punto, aveva già trovato numerose interpretazioni e declinazioni alternative. La più diffusa delle quali vedeva l’utilizzo di una serie di pettini rotanti in base ad un brevetto di Hiram M. Berry, nella maniera destinata ad essere ripresa e migliorata dalla compagnia Deer di Moline, Illinois. La quale nel 1950, mediante questo metodo agevolato da un doffer (sostitutore di spolette) poté irrompere sul mercato con il primo apparato capace di raccogliere due filari di cotone alla volta. Con conseguente e inconfutabile raddoppio dell’efficienza. La meccanizzazione del cotone, a questo punto, continuò ad accelerare. In una macchina della nostra epoca, capace di coprire fino a sei filari alla volta, si presenta dunque come un singolo veicolo semovente, indipendente dal trattore ed esteriormente simile a una mietitrebbia, il cui aratro segmentato effettua facilmente la separazione della fibra dalla capsula, provvedendo a veicolarla in un apposito cassone di stoccaggio. Un approccio effettivamente ancora conveniente solo presso luoghi in cui le piante si dimostrano abbastanza produttive da poter produrre più raccolti al termine della stagione, come il Texas e l’Arkansas, laddove stati più settentrionali preferiscono adottare un sistema maggiormente drastico e funzionale: quello del cosiddetto stripper o “spogliatore”, un apparato che non separa alcunché bensì raccoglie l’intera pianta per poi provvedere, in seconda battuta, alla rimozione dei semi. Con conseguente semplificazione del passaggio successivo consistente nella pulitura del campo e preparazione al ciclo di raccolta dell’anno dopo. Visioni contrastanti ma cionondimeno egualmente produttive verso quel particolare tipo di cambiamenti, che in maniera parallela contribuirono a cambiare il paradigma vigente.

Una macchina autonoma per la raccolta del cotone può avere un costo di svariate centinaia di migliaia di dollari, limitando effettivamente l’accessibilità imprenditoriale nei confronti di tale industria. Ma questa è una realtà effettivamente inevitabile, in molti campi dell’agricoltura moderna.

Non è perciò davvero possibile sopravvalutare l’importanza delle macchine agricole nell’agevolare il tipo di progressi sociali che avrebbero cambiato la società nordamericana. Causando il trasferimento di ampie fasce di popolazione dalle campagne sovrappopolate verso i grandi centri cittadini, in modo tale da creare il clima fertile entro cui, dopo lunghi secoli di sofferenza, i preconcetti razziali avrebbero potuto andare incontro ai primi tentativi di capovolgimento. Dimostrando come l’effettiva riduzione dei posti di lavoro non debba sempre o necessariamente essere un fenomeno negativo, soprattutto quando tali posizioni erano fondamentalmente calibrate, e si erano più volte dimostrate incapaci di muoversi oltre, le fondamentali logiche dell’umano sfruttamento.

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