Spiegata la ripetizione senza posa dei poligoni che coprono le pianure saline

Una visione che non può prescindere dalla latente percezione di un luogo diverso dalle aspettative, largamente collocato oltre i confini del catalogo di un mondo ed un contesto umani. Laddove non v’è nulla nella tipica pianura ricoperta di un accumulo di sodio, così elegantemente affiorato oltre la membrana della percezione, che esuli dal perfetto e prevedibile ordine della natura. Semplicemente essa non si configura, sotto alcuno degli aspetti ragionevolmente considerabili, come una comune contingenza sulla Terra, al punto che ben pochi tendono a comprenderne l’inusitata e inconfondibile bellezza. Né s’interrogano in modo frequente, per quanto possa risultare significativo, sull’aspetto complessivo di una tale situazione paesaggistica, ivi compresa la ripetizione modulare di uno schema che parrebbe la diretta risultanza di una sensibilità d’artista. La forma dell’esagono, nella cultura post-modernista, è del resto ricorrente come una diretta conseguenza della cosiddetta rule-of-cool, che attribuisce in modo per lo più intuitivo meriti esteriori ed un “carattere” a determinate contingenze matematiche, in maniera non dissimile da quanto fatto con le proporzioni del rapporto aureo nella scienza estetica del Rinascimento. Una visione del mondo, questa, che difficilmente può restare indifferente ad un paesaggio come quello dell’ormai prosciugato lago Owens, ricoperto da un reticolo di crepe tanto ricorsivo quanto sottilmente inquietante, nel suo ossessionante senso di ripetizione ininterrotta e misteriosamente precisa. Chi saprebbe ipotizzarne, dunque, l’origine? Chi, se non la dottoressa in scienze statistiche Jana Lasser del Max Planck Institute di Monaco di Baviera, che nel corso degli ultimi anni ha dedicato un susseguirsi di studi dedicati al fenomeno, ciascuno più specifico ed approfondito di quello precedente. Fino all’ultimo dello scorso 24 febbraio pubblicato sulla rivista Physical Review, all’interno del quale compaiono una serie di calcoli che parrebbero costituire l’effettiva prova, lungamente elaborata, della sua intrigante teoria. Poiché in molti si sono approcciati, attraverso l’incedere delle generazioni, alla saliente faccenda pur facendolo a suo avviso in maniera non risolutiva. Un’opinione che prevedo molti tenderanno a condividere, una volta preso atto delle basi solide del suo nuovo discorso. Lei ne cita, in modo particolare, due: Christiansen nel 1963, che individuava la causa di quel disegno nelle faglie generate dal gradiente di temperatura, a seguito di precipitazioni occasionali in luoghi di siffatta configurazione, come la Death Valley della California o la Salar de Uyuni in Bolivia. Così come Kinsley nel 1970, analizzando un luogo simile nell’entroterra iraniano, immaginava uno strato inelastico di suolo secco e perciò incline a distendersi, fino al punto di creare l’iconico susseguirsi di crepe poligonali. Entrambe cause possibili che nel nuovo studio, realizzato col supporto di una mezza dozzina di colleghi da diverse istituzioni austriache ed inglesi (la ricerca sul campo è stata niente meno che fondamentale) definisce come possibili ma cionondimeno soltanto “meccaniche”. Ovvero prive dell’ispirazione necessaria per raggiungere il fondamentale nocciolo della questione finale…

La formazione dei poligoni di sale ha per lungo tempo lasciato perplessi gli studiosi e per lo più suscitato la spontanea inclinazione analitica dei molti turisti passati per simili luoghi. I quali potranno, a partire da adesso, impiegare un diverso punto di partenza per i loro personali ragionamenti.

Scegliendo perciò di basarsi su un’estensiva serie di rilevamenti effettuati presso il lago prosciugato di Owens della Sierra Nevada (siamo quindi nuovamente in California) Lasser e il suo team si sono applicati nella raccolta e sezionamento di un elevato numero di campioni di suolo, estratti significativamente al centro e ai margini di ciascuna “cella” presa ogni volta in considerazione. Il che ha permesso, tramite l’analisi statistica, di giungere a una significativa realizzazione: il modo in cui l’accumulo di sodio facente parte della miscela mineralogica contenuta nel sostrato variasse in modo significativo, tra la parte centrale dell’esagono (o altra forma simile) ed il suo contorno. Una cognizione forse desumibile per mera inferenza, considerato l’affioramento a rilievo di ciascuna piccola dorsale come se facesse parte di geoglifi creati dall’uomo, benché la presa di coscienza inconfutabile di tale dato fosse il possibile fondamento di una rivoluzionaria intuizione. Quella che individua, in qualità di origine di questo significativo e prevedibile processo, una tendenza naturale dei fluidi a circolare e muoversi continuamente, tramite la serie di fenomeni rientranti del termine da ombrello di convezione. Immaginate, a tal fine, una sorta di gigantesca lavatrice, la cui acqua contenuta all’interno gira vorticosamente per millenni o complessivi eoni, finché la superficie stessa dell’elettrodomestico inizia progressivamente a creparsi. Lasciando emergere… Qualcosa. Stiamo in effetti parlando, nel caso qui discusso, di un tipo di movimento coinvolgente le falde sotterranee che percorrono persino questi luoghi privi d’umidità, spesso discendenti dalle alture circostanti il vero e proprio deserto, le quali entrando in contatto con le grandi quantità di sale di un simile ambiente, vanno incontro a un significativo processo di mutamento chimico. Il che genera in modo inevitabile un fluido maggiormente pesante e resistente all’evaporazione tanto più ci si avvicina alla superficie, il quale progressivamente tende poi a scendere per l’effetto della gravità, premendo contro gli strati incomprimibili dell’acqua sottostante. Il che genera, senza falla, un processo d’interscambio con il fluido meno salino che risale a chiazze, mentre sui confini si formano quelli che Lasser definisce come dei “pennacchi” (plumes) per probabile analogia con i processi lavici dovuti all’eruzione di un vulcano. Ma discendenti verso il basso, in ogni loro componente tranne quella del loro contenuto salino, che resta conseguentemente coinvolto nella creazione dei margini di ciascuna forma poligonale. La cui effettiva disposizione geometrica, così evidentemente riconducibile a quella della formazione del basalto colonnare ed altre formazioni rocciose tipiche della geologia, è direttamente risultante da una serie di celle d’influenza dalla forma di un cerchio, ma sufficientemente prossime l’una all’altra da tendere a intersecarsi, ottenendo il susseguirsi d’appezzamenti spigolosi che ben conosciamo. Saremmo a questo punto indotti, da neofiti, a considerare questo tipo di spiegazione dal punto di vista logico speculativo ancor prima che la precisione matematica effettivamente applicata alle circostanze. Che nel suo complesso, sostiene e rende ancora più probabile l’ipotesi fin qui delineata.

In questa conferenza virtuale completa Lasser spiega e discute i diversi aspetti del suo studio. Il cui testo e calcoli completi, per chi dovesse essere interessato, risultano liberamente disponibili a questo indirizzo web.

È per lo più stilando un susseguirsi di rilevamenti numerici e precise equazioni poste a confronto, che lo studio realizza e cementa la solidità della fondamentale idea. Giungendo ad un’oscillazione d’onda tale da poter necessariamente corrispondere a un’ampiezza orizzontale di 1-2 metri, per lo più corrispondente alla diagonale della maggior parte degli esagoni rispondenti alla descrizione, qualsiasi sia il sito paesaggistico e luogo geografico della pianura salina a cui si scelga di fare riferimento. Il tutto mediante una simulazione di tipo bidimensionale, nell’attesa che algoritmi dal più alto grado d’efficienza o calcolatori persino più potenti di quelli attuali aprano nuovi possibili spunti d’approfondimento. Ma è difficile immaginare che, ora in futuro, l’ipotesi qui delineata possa andare incontro ad un totale capovolgimento.
Visitare luoghi come la Death Valley ha ormai da lungo tempo costituito, nell’immaginario corrente, una via d’accesso preparatoria all’esperienza quanto mai diretta di un pianeta distante. Ciò in funzione sostanziale rarità di queste circostanze, che oggi scopriamo avere, quanto meno, una serie di regole non meno prevedibili di quelle che governano la rimanente parte dei nostri ambienti. Quali ulteriori realizzazioni o prese di coscienza future possano derivare da questo, ad oggi, non è necessariamente facile riuscire ad immaginarlo.

Lascia un commento