Questo è lino: come nasce il più antico dei prodotti tessili umani

Pesante riesce ad essere il passaggio delle epoche, la lenta e inesorabile rotazione del mulino secolare, che ogni cosa tende a rivoluzionare, trasformando in mera produzione delle macchine i processi che furono creati e messi in pratica dalla ben più sottile risorsa della mente umana. Opere finalizzate alla risoluzione di una contingenza, o cancellazione di un bisogno, che del tutto indifferente a tale influsso fu trasmesso identico attraverso le generazioni. Pur lasciando evolversi, con ritmi assai variabili ma mai del tutto fermi, le aspettative logiche dei costruttori del sistema. Uomini, donne, artigiani, contadine o viceversa, ciascuno l’ultimo depositario di una striscia ininterrotta di sapienza, fino all’implementazione del copione utile ad espandere la tela di riferimento. E forse troppo avanti siamo andati, d’altra parte, nel ripetersi del ciclo, ogni qualvolta le persone non ricordano l’origine di tutto quanto, ovvero la maniera esatta in cui può essere creata la materia prima che ogni cosa può riuscire a ricoprire, fin dai tempi delle mummie egizie bendate dei loro sarcofagi, sepolte per non essere dimenticate.
Così giunge il qui presente Rob Stephens, agricoltore dei tempi moderni con 14.800 iscritti al conteggio attuale (e sia chiaro che non sto parlando di semplici ammiratori) le cui sequenze dal montaggio chiaro ed estrema nitidezza mostrano i mestieri che si trovano alla base della nostra stessa civiltà presente. Come quella, di sei mesi fa, in cui si occupa di render pratica e tangibile all’inquadratura l’intera “filiera” che conduce con rapidità alla stoffa. L’unico e insostituibile, ben riconoscibile, morbido ma ruvido e piuttosto resistente tessuto di lino! Che pur essendo relativamente simile al cotone lo anticipa di almeno un paio di migliaia d’anni, nel pregresso catalogo della tecnologia neolitica portata fino alle sue più avanzate conseguenze. Fino a… 5.000? 10.000 anni a questa parte? Difficile intuirlo. Anche e soprattutto considerato come questa pianta ci sia giunta già ampiamente addomesticata fin dove riescono a risalire le nostre fonti, probabilmente a partire dalla specie mediterranea del Linum bienne, dell’ordine delle Malpighiales famose per i loro fiori piccoli ed eleganti. Fino ad essere piuttosto definita, nella maniera che veniamo qui chiamati ad osservare, da una serie di precisi e articolati passaggi, scritti a lettere di fuoco nel sistema che costituisce una delle più preziose eredità che abbiamo ricevuto, assieme alle logiche e minute conseguenze della razionalità procedurale. Tanto basica, e diffusa, da aver motivato in base a precedenti convenzioni l’adozione del nome scientifico L. usitatissimum, ovvero “la più utile” di tutte quante…

Il passaggio della macerazione del lino può essere realizzato con diversi approcci incluso quello chimico contemporaneo, laddove quello più pregevole assistito unicamente dal sole tende richiedere un’attenzione particolare. Può infatti succedere, piuttosto facilmente, di lasciarlo troppo a lungo fino a rovinare il risultato finale.

Una guida, o tutorial per usare l’inglesismo, che comincia necessariamente con l’estirpazione non mostrata di ampie quantità di questo vegetale, nella maniera utilizzata al fine di riuscire a preservarne il più possibile l’estrema e preziosissima lunghezza, tale da massimizzare la percentuale di fibre utilizzabili a cui potrà mirare il produttore al termine della sua opera ben collaudata. Che passa ben presto al secondo e importantissimo passaggio, cui vengono sottoposti i fasci dei corposi e spessi fili d’erba, della trebbiatura o separazione dai semi ed eventualità impurità grossolane, mediante l’utilizzo di un tagliente pettine, disposto ad arte sopra il recipiente necessario alla costituzione di una riserva collaterale e gastronomica d’innumerevoli possibili piante future. Una parte delle quali verrà effettivamente restituita alla terra, senza ombra di dubbio, mentre la maggior quantità troverà collocazione ultima sopra le nostre tavole per trasformarsi in ingrediente dal riconoscibile sapore, sia nella forma solida che come olio utile a condire un’ampia gamma di pietanze. Ma poiché questa è, come si dice, tutta un’altra storia, sarà il caso di seguire il successivo punto della lista di Stephens, il quale provvede successivamente alla cosiddetta macerazione o retting delle piante ripulite, nel suo caso implementato tramite l’utilizzo del sistema umido, all’interno di pratici barili di raccolta dell’acqua piovana. Un sistema tra i più antichi e naturali a tal fine, cui viene preferita unicamente la disposizione diretta sotto il sole, ma che tende ad essere più rapido e concludersi nel giro di 4 o 5 giorni. Ovvero il tempo necessario affinché i batteri presenti nell’aria ed acqua si occupino di consumare l’eteropolisaccaride noto con il termine scientifico di pectina, essenzialmente prodotto dalla pianta al fine di mantenere legato il fusto dei suoi steli legnosi (o canapuli) alle fibre protettive esterne. Così che le ciò che era un tempo unito, diventi a questo punto separato e fragile, al punto di poter venire sottoposto alla fase successiva del metodo qui esposto, consistente nella stigliatura o breaking, messa in pratica mediante un apposito dispositivo in legno tradizionalmente collegato alla produzione del lino. Sostanzialmente null’altro che una pressa con una forma di battitura a doppia esse, entro cui le piante vengono spezzate e suddivise, lasciando che la parte meno pregevole cada spontaneamente a terra, separato dalle morbide ed utili fibre del colore e consistenza di una criniera equina.

L’apparecchio manuale per la rottura delle fibre nei contesti domestici è oggi piuttosto difficile da reperire, tanto che molti dei diretti interessati scelgono di costruirlo applicando le proprie conoscenze basiche nel campo della falegnameria. O la ricerca ed acquisto di veri e propri pezzi d’antiquariato.

Siamo a questo punto alla seconda scrematura del procedimento, che prevede un’energica trazione tramite il secondo pettine di scutching, utile a dividere le fibre più corte da quelle maggiormente utilizzabili per l’obiettivo finale, gradualmente raccolte in una serie di trecce destinate all’arrotolamento futuro. Un groviglio particolarmente valido, che verrà infine filato ed attorcigliato tramite il più classico degli arcolai, riuscendo ad ottenere il filo ininterrotto per il quale si è affrontato l’intero succedersi dei metodi sin qui dimostrati.
L’avreste mai pensato? Al di là del semplice opportunismo dei princìpi, al fine di riuscire a realizzare l’opera desiderata, che predisporre ciò che serve per la tessitura di un qualcosa d’immancabilmente utile potesse essere al tempo stesso semplice e innegabilmente complicata. Poiché chiunque con un semplice giardino, così come avveniva in buona parte del mondo in epoca pre-moderna, potrebbe mettersi a produrre il lino necessario a far fronte ai propri quotidiani bisogni. Mentre ben pochi potrebbero acquisirne l’essenziale manualità e purezza d’intenti, quando tanto più accessibile è una spedizione nei negozi per l’acquisto di tovaglie, lenzuoli e l’occasionale capo estivo realizzato in base ai metodi e preferenze dei nostri antenati. Scelta assolutamente comprensibile, senz’altro, ma che non può fare a meno di contribuire al problema di fondo. Per cui tutto quello di cui potremmo disporre, senza nessun tipo di limitazione apparente, è ormai subordinato alle ragioni pratiche del consumismo. E l’impronta significativa che naturalmente ne deriva, ad opera ed ai danni della stessa brulicante collettività umana.

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