La coda da spinosauro del più anacronistico draghetto delle Filippine

Nell’ideale gerarchia del pericolo rappresentato dai dinosauri carnivori, siamo stati abituati a porre in cima il tirannosauro dalle forti zampe, le grandi fauci e la presumibile capacità di correre persino più veloce di svariati veicoli a motore, come una jeep lungo il percorso accidentato di un cinematico Jurassic Park. D’altra parte il progredire della scienza moderna, negli ultimi trent’anni, ha non soltanto iniziato a sospettare per il grande superpredatore la copertura di un soffice manto piumato, ma anche un’indole molto più letargica e saprofaga di quanto avremmo sospettato per analogia coi grandi carnivori dei nostri giorni. Laddove il pericolo di un’ideale viaggiatore a ritroso nel grande fiume del tempo, comunque indubbiamente significativo, sarebbe forse stato superiore al cospetto di altre specie carnivore della stessa Era, vedi la creatura bassa, lunga e ornata dalla svettante vela in grado di estendersi dalla schiena fino al punto mediano di una forte coda. In altri termini l’enorme coccodrillo del Tardo Cretaceo, lungo fino a 18 metri e dalle 20 tonnellate di peso, riportato alla luce e descritto nel 1996 in Marocco dopo un singolo esemplare, comunque più piccolo, scovato nel 1915 in terra egiziana. Un vero mostro tra i terapodi, comparso anche sul grande schermo nel terzo film nel più recente anno 2001. Eppure molti tra gli spettatori del terzo più vasto arcipelago dell’Asia Orientale avranno probabilmente reagito all’epoca con un senso di quel tipo d’entusiasmo che deriva dall’affinità geografica, accompagnato da un’esclamazione in linea con “Ma io quell’animale lo conosco!” E assieme ci ho trascorso molti pomeriggi d’armonia lungo le acque gorgoglianti dei fiumi, intento ad osservare le sue pacifiche interazioni coi co-specifici ed occasionali battute di pesca. Orbene l’Hydrosaurus pustulatus, o draghetto d’acqua, è in effetti una visione alquanto comune nei dintorni di questi luoghi selvatici, sebbene sia possibile trascorrere la propria vita all’interno di un contesto urbano senza mai scorgerne uno coi propri occhi. A meno di essere filippini e al tempo stesso personalmente interessati all’erpetologia, caso in cui l’acquisto e possesso di una lucertola nativa di siffatta guisa riesce ad essere economicamente accessibile, nonché in linea con le aspettative di una semplice convivenza domestica all’interno di un terrario direttamente esposto al clima umido delle locali circostanze. Mentre le cose diventano naturalmente più difficili qualora si abiti altrove, particolarmente per la moratoria sull’importazione di questa specie imposta a partire dalla fine dello scorso secolo, causa una riduzione della popolazione complessiva più che altro dovuta all’utilizzo del suo habitat naturali per scopi affini al concetto universalmente distruttivo del progresso. E tutto ciò benché siamo davanti, tutto considerato, ad una tipologia di lucertola agamide, ovvero cognata delle iguane, assolutamente adattabile in forza della sua natura onnivora, che la porta a divorare normalmente grandi quantità di frutta e verdura, accompagnate soltanto raramente da qualche pesce, piccolo mammifero o altro rettile di passaggio. Nella cattura dei quali risulta essere straordinariamente efficiente anche in situazioni anfibie, grazie alle forti zampe dai piedi larghi e piatti nonché l’iconica coda crestata irta verticalmente, perfetta per generare una migliore spinta mentre si trova immersa sotto l’acqua delle sue turbinanti circostanze ambientali d’elezione. Perché di certo appare assai difficile, come nel caso del suo sopracitato antesignano preistorico, osservarne la presenza lontano dal corso rinfrescante dei corsi d’acqua locali…

Con la loro lunghezza massima abbastanza gestibile di 1,2 metri, coda inclusa, gli idrosauri o sailfin lizards sono molto apprezzati nel mercato dei rettili cosiddetti domestici, benché siano naturalmente nervosi e richiedano un’ampia serie di attenzioni particolari.

La straordinaria forma della coda posseduta da queste lucertole, oltre allo spinosauro e al dimetrodonte, viene quindi definita scientificamente una vela vertebrale neurale, caratteristica anatomica oggetto da lungo tempo di significative disquisizioni da parte di etologi e paleontologi in parallelo. Utile non solo al sopracitato movimento agevole subacqueo, ma anche a fare ombra e nel contempo regolare la temperatura vascolare del suo proprietario, oltre a massimizzare la mimetizzazione ottica tra i canneti della zona ripariana, ove simili creature erano solite tendere imboscate alle loro prede. Per quanto concerne invece l’altra teoria più lungamente accreditata, che tale ornamento potesse avere un ruolo primario nel corteggiamento e la selezione genetica dei maschi al momento della riproduzione, ciò non parrebbe applicabile ad alcuna delle cinque specie di idrosauro attualmente esistenti, il cui rituale consiste semplicemente nell’avvicinarsi alla femmina esibendosi in una sorta di vibrazione sobbalzante. Momento a seguito del quale, in genere una singola volta l’anno, la femmina si occuperà di scavare una piccola buca in cui deporre tra le 2 e le 8 uova, quasi immediatamente abbandonate a loro stesse. Da cui i nuovi nati, dopo un periodo di circa 2 mesi, emergeranno già perfettamente capaci di procacciarsi il cibo e sfuggire dai predatori lanciandosi rapidamente nel fiume se necessario, poco prima di esibirsi in una spettacolare quanto utile corsa sopra il pelo dell’acqua, una capacità che perderanno con l’aumento progressivo delle loro dimensioni. Appena venuti al mondo, inoltre, i draghetti d’acqua saranno totalmente indifferenti ai vegetali, nutrendosi esclusivamente d’insetti ed altre piccole prede catturate con voracità tale da far invidia a un velociraptor del grande schermo argenteo del nostro secolo illuminato. Abbastanza da capire, quanto meno, l’importanza di creature come queste, oggi non soltanto l’oggetto di programmi di protezione piuttosto omnicomprensivi, ma anche l’istintiva benevolenza dei loro vicini umani, tali da farne un’apprezzata risorsa turistica in luoghi come il celebre villaggio di Jasaan nella provincia di Misamis Oriental sull’isola di Mindanao, dove oltre 100 esemplari vengono quotidianamente nutriti, vezzeggiati ed ammirati al pari dalla gente del posto e dai numerosi visitatori provenienti dai luoghi più distanti. Con situazioni simili, sporadiche ma diffuse presso l’intero territorio delle isole di Luzon, Polilo, Mindoro, Negros, Cebu e diverse altre, in cui la specie formalmente minacciata secondo l’indice dello IUCN appare nondimeno tutt’altro che rara, e potrebbe anche tornare in futuro ad una popolazione complessiva sufficientemente numerosa da riuscire ad allontanare ogni timore sul suo futuro. Diverso d’altra parte il caso delle specie indonesiane, tra cui l’idrosauro delle Molucche e quello del Sulawesi, che a causa di un areale più ampio non hanno mai avuto bisogno di norme specifiche per limitarne l’esportazione, costituendo ad oggi la stragrande maggioranza degli esemplari venduti oggi a caro prezzo e fatti nascere in cattività. La convivenza domestica con simili creature, nel frattempo, risulta essere piuttosto complessa anche comparativamente alle più tranquille iguane o gechi leopardo, dato l’istinto a dimenarsi ogni qual volta vengono toccate o prese in braccio, con conseguente rischio di restare graffiati dai loro acuminati artigli. Soltanto con la pazienza e l’abitudine, al trascorrere di un tempo sufficientemente lungo, si potrà quindi ottenere un contegno maggiormente paragonabile a quello di un rettile domestico maggiormente convenzionale.

Verdi o grigie alla nascita, le lucertole dalla vela assumono una colorazione più scura al raggiungimento della maturità sessuale attorno ai 3 anni di età, ulteriormente impreziosita da riflessi blu-violacei nel caso dei maschi.

Creature esteriormente notevoli e al tempo stesso non prive di una certa grazia innata, questi pacifici abitanti delle zone rurali sufficientemente umide e tranquille hanno perciò costituito a lungo una visione assai frequente nel territorio verdeggiante delle Filippine. In una maniera che all’osservazione attuale dei fattori di contesto, potrebbe anche decadere nel giro di appena una manciata di generazioni, vista la loro durata della vita piuttosto lunga: fino a 15 anni in cattività di media, benché pare che esemplari eccezionali ne abbiano raggiunto anche i 25. Abbastanza per prendere atto dell’uscita di almeno tre episodi della serie Jurassic Park, con conseguente spostamento ancor più ai margini dell’originale messaggio ambientalista contenuto nel romanzo di Michael Crichton.
Un grido d’allarme verso gli eccessi della scienza biologica e la clonazione, così come gli originali autori del manifesto cyberpunk volevano metterci in guardia nei confronti della tecnologia. Per quello che non doveva certo essere, nei confronti del grande pubblico, un suggerimento per la strada da percorrere nell’immediato dopodomani…

Gregario e molto poco territoriale, l’idrosauro convive agevolmente coi propri simili, una propensione che ha favorito la naturale formazione di comunità come quella del villaggio di Jasaan, oltre a semplificare significativamente la vita dei guardiani degli zoo.

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