Quel tenero prosciutto da tagliare a fette di un tronco taumaturgico d’Oriente

È semplicemente così lontano, dal tipico equipaggiamento che ti aspetteresti di trovare nella dotazione di quello che costituisce, in dei conti, una variazione locale del concetto di taglialegna. Sto parlando della lama metallica imperniata, con un manico sporgente, concepita per effettuare un movimento parzialmente rotatorio in corrispondenza di un piano di lavoro rettangolare. Affinché l’incontro tra le superfici, rigida e tagliente, ponga in essere i fondamentali presupposti del processo di segmentazione molecolare, ovvero la trasformazione in multipli di ciò che originariamente era uno (1). Un solo tronco, di una sola pianta, presso i margini di una singola foresta. Situata assai probabilmente in qualche luogo della Cina, del Sud-Est Asiatico, la penisola coreana o l’arcipelago del Giappone. Perché dove, altrimenti, poteva crescere il rampicante un tempo noto come Ji Xue Teng (鷄血藤 – liana del sangue di pollo) ma che sui lidi redditiani parrebbe aver assunto la più descrittiva dicitura di “prosciutto proibito”, per la maniera in cui si taglia con l’equivalenza in campo forestale di un grissino, ovvero quell’attrezzo che ti aspetteresti di trovare tra le mensole di una copisteria universitaria. Per l’ottenimento di un qualcosa di sottile, dal colore rosso intenso e contrassegnato da una serie di cerchi, che pur sembrando legno non si comporta affatto come tale, essendo morbido, spugnoso e assai probabilmente delicato. Al che potreste essere indotti a pensare: “Se fossi un fautore della medicina tradizionale cinese, non esisterei a disidratarlo e farlo in polvere, per usarlo come cura di afflizioni dalla provenienza più diversa.” Il che vi porterebbe anche più vicino, se possibile, alla verità.
Ecco, dunque, cosa state osservando: niente meno che un esempio del processo di lavorazione “sul campo” del gambo principale di una Spatholobus suberectus, specie vegetale della giungla imparentata alla lontana coi legumi, fagioli e piselli di questo mondo. Un caposaldo di quel gruppo di piante, dell’altezza molto variabile ma che può raggiungere anche i 10-20 metri, famose per la consistenza assai particolare del proprio abito legnoso e le presunte caratteristiche guaritrici possedute dalla composizione chimica della loro linfa vermiglia. Comunemente usata non soltanto in farmacia, ma anche come condimento in cucina e per l’insaporimento di una serie di bevande alcoliche ritenute un’influenza positiva nei confronti dell’organismo umano. Con vantaggi garantiti che cominciano dal rafforzamento del sangue, come per la classica associazione parascientifica tra estetica ed effetti, proseguendo con la riduzione dell’altralgia reumatica, i dolori del ciclo, le polluzioni notturne, la lombalgia, il dolore di stomaco. La solita vasta sequela di sintomi, dalla genesi ed evoluzione clinica molto diverse, che non parrebbero implicare alcun tipo di base scientifica apparente ma soltanto un presunto rafforzamento del principio femminile Yin contrapposto alla forza, qualche volta distruttiva, dello Yang maschile. Sebbene i preconcetti dello scienziato moderno, in certi rari casi, possano anche trarre in inganno…

Così rosso intenso con la scura corteccia esterna, il legno del sangue di pollo potrebbe anche assomigliare ad altri tipi di affettati, come il salame o lo speck. Costituendo un vero e proprio, per usare la terminologia redditiana, forbidden snack (spuntino proibito)

Prima di scartare totalmente l’ipotesi sarebbe d’altra parte opportuno effettuare alcune osservazioni cliniche sul tema delle piante inserite nel gruppo delle Ji Xue Teng capaci d’includere, oltre alla Spatholobus, altre fabacee come lo Styphnolobium japonicum, la Millettia dielsiana o “glicine del sangue” e la Mucuna macrocarpa, dall’aspetto voluminoso e i riconoscibili fiori a campanella. Coerenti allo studio di Rui Zhang et al. risalente al 2016, in cui porzioni di questo legno fatto in polvere sono state somministrate ad alcuni topi da laboratorio affetti dai sintomi dell’ischemia cerebrale. Incontrando nei suddetti non soltanto un immediato rientro dell’emergenza, ma anche effetti neuroprotettivi in grado di preservare immutate le loro pur semplici capacità cogitative. Questo presumibilmente grazie al contenuto significativo di una certa quantità di flavonoidi utilizzati nella biosintesi vegetale capaci d’inibire temporaneamente l’attività di tipo SOD e GPX del cervello, attivando di contro l’espressione del principio IL-10. Mutamenti osservati in maniera coerente ad una riduzione sensibile del danno genetico riportato, con poche o nessuna conseguenza a lungo termine per il malcapitato animale. Il che non sembrerebbe ancora aver portato, purtroppo o meno male, ad alcun tipo di applicazione sistematica a (presunto?) beneficio di pazienti umani, sebbene sia innegabile che molti di quelli che noialtri siamo soliti chiamare i “rimedi della nonna” abbiano frequentemente basi comprovate dalla pratica, tutt’altro che scevre di effettive corrispondenze con la realtà. Il che, sulla larga scala della più antica e stratificata disciplina medica d’Oriente, permette se non altro l’occasionale successo dovuto alla legge dei grandi numeri. Una mera coincidenza che potrebbe, tuttavia, salvare un certo numero di preziosissime vite umane.
Il che ci porta, d’altra parte, al problema fondamentale strettamente interconnesso alla TCM (Traditional Chinese Medicine) ovvero il suo ricorrere sovente a fonti vegetali o animali per gli ingredienti, che non potremmo in alcun modo definire comuni. Il che parrebbe includere, al conteggio più recente, anche le piante del genere Spatholobus ed alcune delle altre utilizzate in questa tipologia di cure, per il loro sfruttamento non del tutto sostenibile attraverso i secoli, unito al tempo necessario per il primo raccolto non possibile prima di un periodo di circa 7 anni. E non a caso, la stragrande maggioranza dei video reperibili su YouTube in merito alla raccolta dell’ingrediente vedono i sedicenti boscaioli operare in contesti evidentemente selvatici, causa l’impossibilità di coltivare simili fabacee riportando un guadagno economico alla fine di un così lungo processo. Interessante, a tal proposito, la varietà di possibili animali responsabili d’impollinare la pianta a seconda del suo territorio di provenienza, tra cui pipistrelli ed uccelli nelle giungle del Sud-Est Asiatico, scoiattoli dal ventre rosso o striati presso l’isola di Taiwan, le volpi volanti ad Okinawa e persino macachi e visoni nella parte settentrionale del Giappone. Purché la raccolta scriteriata da parte di mani umane non interrompa il processo prima ancora che possa iniziare, come riportato in un articolo del 2013 dello United Daily News, custodito presso l’Internet Archive, il cui autore lamentava la maniera in cui un intera macchia di rampicanti del sangue era stata sistematicamente distrutta da raccoglitori ignoti sul sentiero ecologico del villaggio di Dayan.

Tagliare un tronco a colpi di machete, per quanto friabile, non è propriamente un’attività consigliabile per la salute delle proprie articolazioni ed estremità… Ma è chiaro che la pratica di molti anni pregressi possa dare una certa sicurezza all’operatore.

Tesori non sostituibili forniti dalla natura, la cui comparsa attraverso i secoli ha da sempre corrisposto all’inizio di un’epoca di benessere e prosperità per tutti coloro che imparavano a beneficiarne. E questo sia dal punto di vista economico, grazie al commercio verso terre lontane, che grazie allo sfruttamento diretto delle presunte, forse anche tangibili capacità benefiche della sostanza. D’altra parte nella tradizione delle popolazioni aborigene Paiwan dell’isola taiwanese esisteva l’usanza di costruire un’altalena per gli sposi con due resistenti liane di Ji Xue Teng. Un processo che si diceva potesse favorire la protezione e la benedizione degli antenati, tramite un’associazione d’idee non particolarmente facile da ricostruire.
E non è forse anche quest’ultimo, un’importante atto di fede? Poiché non c’è cura migliore, nell’idea dei praticanti della TCM, rispetto a quella che proviene dall’interno stesso della nostra anima, ovvero il Ki spirituale che caratterizza ogni essere vivente. Per quanto tutto questo non parrebbe avere alcun particolare connessione con il metodo scientifico dei nostri giorni. Almeno finché qualcuno, un piccolo passo alla volta, non dovesse riuscire ad individuarlo.

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