L’enigma del lampone gigante che addolcisce i video dei gastronomi di TikTok

Un segreto aziendale è uno strumento importante nella conservazione di un primato tecnologico all’interno di un segmento di mercato ed in un certo senso, non esistono compagnie più compatte delle nazioni, o proprietà intellettuali maggiormente cruciali della produzione cibo. Così raggiunto l’apice della riservatezza verso gli ultimi anni dello scorso millennio, nell’intero contesto asiatico iniziò a circolare un particolare frutto dall’aspetto insolito, il cui costo raggiungeva in certi casi delle vette niente meno che siderali: la mela “della longevità” o addirittura “immortalità” era il suo nome, con probabile riferimento al frutto delle piante del genere Annona, famoso per il proprio gusto dolciastro e dura scorza bitorzoluta, che ricopre l’interno cremosamente commestibile di cultivar come la soursop o la guanabanana. Ma con il trascorrere degli anni, e la deriva della barriera da superare per accedere alla comunicazione internazionale su larga scala, l’intero alone di mistero era necessariamente destinato a sollevarsi, mentre la luce della consapevolezza generalista sorgeva a illuminare il caso dell’oggetto misterioso, sempre più frequentemente messo in mostra con orgoglio all’interno di brevi ma esaustivi video d’intrattenimento. E sollevato, aggiungerei, con ottime ragioni e presupposti di riuscire a catturare l’immaginazione, visto l’aspetto straordinario che riesce a caratterizzarlo: delle dimensioni approssimative di un melograno, un profilo simile a quello di una pigna benché rosso quanto una fragola, facendolo sembrare uscito da un cartone animato e preannunciando al tempo stesso la particolare tecnica necessaria per riuscire a fagocitarlo. Mentre lo si smonta un singolo pezzo alla volta, accedendo alle morbide e altrettanto deliziose capsule dei semi contenuti all’interno. In maniera più che altro paragonabile alla Nypa fruticans, prodotto altrettanto gibboso della palma di palude dello Sri Lanka, sebbene ancora una volta sia opportuno sottolineare una totale mancanza di parentela con l’oggetto del nostro mistero botanico tanto estensivamente digitalizzato. Questo perché il frutto formalmente appartenente al genere Kadsura, famiglia rampicante delle Schisandraceae, è il rappresentante di una categoria nettamente distinta, dall’areale originariamente limitato al Vietnam settentrionale, dove viene chiamato chí chuôn chua o tứn khửn. Prima che il successo ottenuto sul mercato del proprio paese, e quelli immediatamente limitrofi, portasse alla creazione di una quantità notevole di varianti, diversificate per colore e la propria adattabilità a diverse temperature, grazie ad iniziative come quella di Katy Warren, la figura nota dal 1999 come “Regina del Melone di Kiwano” per aver diffuso l’omonimo frutto con un comparabile guadagno personale. Il che ne avrebbe progressivamente aumentato la diffusione, senza tuttavia causare un calo apprezzabile del prezzo di vendita, capace di collocarlo ancora oggi tra i prodotti della terra più costosi dell’intera area dell’Asia Meridionale. In maniera abbastanza chiaramente evidenziata dall’espressione gioiosa dei coltivatori, che paiono ogni volta offrircene un virtuale assaggio, tra miriadi di commenti affascinati della gente che tende ad appassionarsi ai loro profili online. Pur continuando a dimostrare, coerentemente, tutta la propria comprensibile perplessità…

Togliere qualcosa di tanto notevole ed affascinante dal fusto della pianta può indurre un lieve senso di rammarico e pentimento. Rapido a scomparire, d’altra parte, nel momento in cui è possibile accedere alla consolazione di quell’inconfondibile (?) sapore.

In qualità di esponente della stessa famiglia della celebre bacca di foresta Schisandra chinesis, anche chiamata il “tesoro dei cinque sapori” e famosa per il suo utilizzo nella preparazione di bevande dal presunto effetto medicinale, il frutto della Kadsura dovrebbe idealmente possedere un retrogusto amaro tale da renderlo soltanto adatto alla trasformazione in marmellate o preparati altrettanto artificiali, laddove in molti sembrino assaggiarlo con soddisfazione subito dopo averlo colto dall’albero, previa separazione della parte commestibile dallo spesso involucro esterno. Il che potrebbe essere ricondotto, senza particolari presupposti di dubbio, alle particolari metodologie di propagazione possedute dalla pianta, che oltre ad attrarre creature determinate come i primati sembrerebbe aver perfezionato attraverso i secoli d’evoluzione l’adattamento ad essere fagocitata dagli uccelli, facilmente invitati a staccare con il becco le singole “capsule” e idealmente, trasportarne il seme simile a un fagiolo fino al luogo successivo della sua germinazione. Il che parrebbe presupporre condizioni climatiche e ambientali ben calibrate, se prendiamo come riferimento i frequenti insuccessi narrati sui forum di giardinaggio, lamentati dai molti aspiranti coltivatori interessati quanto meno al significativo potenziale ornamentale di queste piante. Che oltre alla varietà dal colore rosso intenso, effettivamente appartenente alla specie della K. Coccinea, hanno concentrato la propria attenzione sulla meno variopinta K. Heteroclita delle regioni montagnose della Cina meridionale, così come le sue molte varianti artificiali di colore giallo, marrone, viola e verde chiaro. Con sapori a quanto si narra ragionevolmente diversificati, così come ricca risulta essere l’offerta dei loro molti produttori/consumatori sulle pagine animate del Web. Tanto che riuscire a perseguirla in almeno una delle sue molte forme, hackerando in certo senso quello che potremmo definire un vero e proprio segreto d’Oriente, è diventato una sorta di puntiglio per molti botanici o aspiranti tali, prodighi d’informazioni in materia alle presunte modalità ideali per garantire l’appropriata crescita di una di queste notevoli piante, a loro agio solamente nella giungla e con l’impostazione consueta di caratteristiche liane dal fusto legnoso, sebbene sia possibile l’adattamento in configurazioni maggiormente adatte ad un giardino d’impostazione maggiormente tradizionale, come dei veri e propri piccoli alberelli. In quell’approccio tipicamente umano che vorrebbe trarre il meglio da ogni generosa offerta commestibile della natura, eliminando tutti quei fattori inerenti capaci di causare il benché minimo problema. Ma quanto di davvero autentico, esattamente, potremo ancora individuare in ciò che giunge in questo modo fino ai nostri operosi, diabolicamente interessati e perennemente affamati organi di fagocitazione degustativa?

Mai assaggiato il frutto X, proveniente dal paese Y, sotto le luci tenui e tremolanti di un’anonima stanza d’albergo? Nessun modo migliore di vivere una simile esperienza, che l’esaustivo ed ormai sconfinato canale di Weird Explorer, vera e propria enciclopedia dei frutti di ogni concepibile cultura d’Oriente (e non solo).

Comunemente utilizzata nella medicina cinese con finalità anti-infiammatorie e antiossidanti, in maniera analoga a quanto avviene con il parente prossimo dell’Illicium verum (il cosiddetto anice stellato) questa pianta ed il suo frutto sono rimasti lungamente sconosciuti alla cultura occidentale generalista, potenzialmente a causa della vita su scaffale relativamente breve e conseguente difficoltà d’esportazione. Ma anche una poca propensione a menzionarli nelle opere d’ingegno asiatiche, diversamente da alternative quali il durian o la grande giaca, tanto che l’unico esempio reperibile su Internet è quello della popolare web novel cinese di Xiu Lijian “Il gigolò dell’Imperatrice”. In cui un artista marziale dei nostri giorni viene trasportato magicamente in un mondo fantastico ispirato alla mitologia cinese, iniziando a viaggiare con l’eponima dinasta sotto mentite spoglie per il paese. Fino alla scena del capitolo liberamente consultabile, ambientata in una foresta popolata da “scimmie addormentate, grandi come dei tronchi” in cui i due trovano e si nutrono di un frutto misterioso di colore rosso e che assomiglia al volto di una persona. Un possibile caso di pareidolia piuttosto ambiziosa, forse causato dalla conformazione discontinua della scorza della Kadsura Coccinea. In merito alla quale potremmo anche scegliere di non indagare troppo approfonditamente, lasciando libero lo spazio per un certo grado di mistero persistente, nella nostra trattazione di un iper-lampone che potremmo anche, ahimé, non riuscire ad assaggiare nel corso della nostra esistenza. Che potrebbe anche estendersi nei secoli a venire, consumando l’iperborea pesca della leggendaria immortalità Taoista? Tutto è possibile, quantunque non verificabile in ciascuna circostanza. Non che tali miracoli presunti possano continuare sussistere ancora per moltissimi anni a venire, sotto gli implacabili riflettori dell’era digitale vigente.

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