Un saluto dal tradizionale uomo pecora del carnevale sloveno

Prima della creazione di un punto d’incontro religioso e filosofico, grazie alla centralizzazione dei modelli mistici di riferimento, il mondo della magia non conosceva dei confini chiaramente definiti. Quando le persone, piuttosto che identificarsi nello spazio di una o l’altra “fede”, osservavano e tentavano d’interpretare la natura. Qualche volta, ponendo in essere sistemi d’interfaccia dai valori chiaramente definiti. Certe altre, tramite il sistema d’interfaccia di figure sciamaniche o temporanei ricettacoli della sapienza proveniente dall’altro lato dell’impenetrabile barriera. Spiriti, divinità, creature o mostri leggendari, trasferiti nella carne e sangue di specifiche persone al fine di fornire un monito e una profezia, piuttosto che svolgere funzioni apotropaiche per il beneficio plurimo della rispettiva comunità di appartenenza. E nel caso del costume utilizzato nelle feste della Quinquagesima dalla brava gente di Ptuj (e non solo) considerate la settima celebrazione di carnevale più gremita al mondo, convenzionalmente fatta risalire al suo revival e conseguente modernizzazione a partire dagli anni ’60 dello scorso secolo, direi sia lecito immaginare una provenienza originariamente assai più antica, possibilmente interconnessa all’identità più profondamente radicata del popolo sloveno. Allorché Kurenti, il “messaggero” o “corridore” dal termine di provenienza latina currens, si palesa puntualmente al sopraggiungere dell’ora e il giorno predestinati, iniziando ad aggirarsi per le strade del paese, gozzovigliando e dilettandosi nelle sue multiple manifestazioni, mentre cerca l’attenzione e colleziona fazzoletti finemente decorati da tutte le giovani donne che incontra sul suo cammino. Una figura che doveva incutere un certo senso latente di timore e soggezione, almeno nelle sue intenzioni primitive, con la voluminosa pelle di pecora a coprirgli le spalle, la mazza di legno per “scacciare l’inverno” ricoperta dagli acuminati aculei di un porcospino, le ghette di un colore tradizionalmente vermiglio e l’impressionante maschera sul volto. Guisa surreale di una bestia antropomorfa, il muso allungato, l’espressione quasi comica con lunga lingua rossa e finemente ornata, il tutto sormontato di una selezione assai variabile di nastri, corna o piume d’uccello. Eppure mentre danzano in maniera goffa ed aggraziata, producendo suoni roboanti dalle grandi campane incluse in maniera simile a quelle dei Mamuthones sardi, i Kurenti paiono esprimere piuttosto un senso di giovialità ed istrionica benevolenza, mentre tentano di coinvolgere nel divertimento l’intero gruppo dei presenti. Originariamente interpretabile soltanto dagli scapoli di sesso maschile all’interno della popolazione, la festa del Kurentovanje si è in seguito trasformata in un’istituzione maggiormente democratica ed inclusiva, arrivando ad accettare nella sfilata anche donne e bambini. Con questi ultimi, in modo particolare, capaci di focalizzare l’attenzione grazie alla trasformazione in effettivi gnomi o elfi di evidente provenienza silvana, in forza delle proporzioni del tutto improbabili e difficili da contestualizzare. Pur essendo stati parimenti, a quanto possiamo facilmente immaginare, eruditi in merito alla provenienza storica del culto e la tangibile rappresentazione del Kurenti…

Nelle gioiose danze e faticose corse in giro per il paese, non è insolito che i figuranti decidano di rimuovere ad un certo punto le maschere, per riprendere fiato o banchettare con le immancabili krofi, paste ripiene di carnevale.

Fatto risalire dagli etnologi nella sua forma oriunda a un’epoca collocabile tra i 1.000 e 1.500 anni fa, lo spirito della grande pecora viene generalmente attribuito alle originarie credenze delle genti uscocche, migrate in queste terre di pianura dalle regioni montuose della penisola balcanica, dove restavano legati agli antichi culti e venerazioni del Mondo Antico. Rivolte a figure come quella della Dea Cibele o Grande Madre ed il suo cocchiere Attis, dalle cui ritualità potrebbe derivare in maniera pressoché diretta l’intero svolgersi procedurale della festa di matrice cristianizzata del Kurentovanje. A partire dal ruolo dell’arma inclusa rigorosamente come arma nel costume, che dovrebbe idealmente essere costituita integralmente in legno di pino, in un chiaro riferimento all’antica convenzione slovena del borovo gostüvanje o “matrimonio dell’albero di pino” durante cui giovani membri del villaggio venivano ritualmente congiunti ad arbusti dal probabile significato sacro secondo convenzioni druidiche di un tipo andato lungamente perduto. Altro punto di contatto l’aspetto del Kurenti stesso, possibilmente derivato da quello dei leoni d’argento che trainavano il cocchio della Dea, notoriamente dei fortissimi guerrieri trasformati per effetto di una stregoneria e costretti in seguito ad accompagnarla nelle sue vagheggianti esplorazioni dello spazio cosmico sospeso tra cielo e terra. Così come accuratamente tramandato dai membri del clero dedicato al suo culto, detti galli per il copricapo simile a una cresta indossato analogamente a quanto fatto dal fedele paredro (Dio congiunto) Attis, che compare nella progressione di Ptuj con la guisa del Piceki o galletto di accompagnamento, spesso interpretato da un bambino. Assieme a varie altre presenze collaterali e di concezione certamente più recente, tra cui uomini-cavallo, orsi, fate e le immancabili varie interpretazioni del demonio di matrice monoteista. Osserva invece dagli spalti, con fare imperioso ed abito magnificamente desueto, il Principe nominato ogni anno del carnevale per ciascuno dei paesi che realizzano la festa, a simboleggiare il potere terreno al cospetto dell’irrefrenabile bestialità divina.
Per quanto concerne l’aspetto complessivo e specifica realizzazione del Kurenti propriamente detto, che dovrebbe conformarsi ad un modello estremamente preciso, sono pur sempre riconosciute variazioni locali all’interno del territorio geografico interessato dalla celebrazione, tra cui quello “cornuto” della zona di Haloze e la sua controparte “piumata” di Markovci, benché le differenze siano limitate unicamente all’effettiva decorazione sulla sommità del suo copricapo. Un costume completo in ogni sua parte, realizzato con materiali non sintetici, può quindi arrivare al costo complessivo di 1.500 e più euro, motivandone la sua qualifica di vero e proprio tesoro familiare, orgogliosamente tramandato di padre in figlio assieme al senso ed al significato di una così pregna modalità di venerazione.

La maschera del Kurenti, all’interno delle botteghe specializzate nella sua realizzazione, inizia sempre da un copricapo a forma di tubo realizzato in cuoio, ricoperto successivamente di zanne, peli ed altri “ornamenti”. Prima dell’aggiunta del vello di pecora, ad ogni modo, ricorda più che altro un cinghiale.

Patrimonio intangibile dell’umanità a partire dal 2017 secondo l’UNESCO, la festa del Kurentovanje si era già da tempo trasformata in una ricorrenza imprescindibile della sua intera regione geografica d’appartenenza, con partecipazioni pari o superiori alle 60.000 persone nelle ultime decadi, almeno fino all’inizio del difficile periodo storico che stiamo vivendo. Il che non dovrebbe preoccuparci oltremodo, per quanto riguarda la possibile sopravvivenza della festa. Laddove ogni manifestazione di esseri superiori alla natura ed alla convenzione tipicamente osservabile, da quando è stato elaborato il primo singolo pensiero umano, è sempre servita a razionalizzare e comprendere ed incamerare l’inclinazione peggiorativa degli eventi.
E quando ogni cosa sembrerà perduta, ancora una volta il possente uomo pecora potrà scacciare il male con la sua terribile arma in legno di pino. Peccato solamente per lo sfortunato porcospino avvolto attorno ad essa, sacrificato sull’altare degli antichi culti che credevano nella valenza icastica della mimesi. Ancor prima del potere, qualche volta tristemente nefasto, della Volontà e della Parola.

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