Le due torri create per immortalare la splendente gloria del Rajasthan

Così come largamente rilevato in merito a questioni d’Iceberg e imponenti navi da crociera, non è mai particolarmente saggio mettere tutte le propria uova in un paniere, per quanto “inaffondabile” o “invincibile” possa riuscire a definirsi un simile implemento adibito al trasporto di quei tuorli da non strapazzare prima del momento opportuno. Una dura ma indimenticabile lezione, che il potente Re dei Guhila,  Ratan Singh, avrebbe appreso a sue spese dopo che il sultano in visita di Delhi, Alauddin Khalji, vide casualmente e sfortunatamente l’immagine riflessa della sua consorte Padmini, dotata di quel tipo di bellezza tanto sconvolgente da poter lanciare le proverbiali 1.000 navi di Omerica memoria. O come in questo caso, più semplicemente indurre gli eserciti dei musulmani ad una marcia nel fatidico 1303, con un chiaro intento di saccheggio, all’indirizzo della sede del potere nel Mewar, l’enorme fortezza di Chittorgarh. Ora, se è possibile immaginare il tipo di cittadella capace di resistere per lungo tempo ad un assedio, sarebbe stato arduo non andare con la mente ad una simile creazione architettonica, con già molti secoli di esistenza a dure battaglie all’attivo: un complesso di molteplici edifici, collocati sopra il colle alto 180 metri che domina l’omonima città, accessibile soltanto tramite una singola strada sorvegliata da ben sette portali, ciascuno dotato di robuste torre di guardia e multiple feritoie di tiro. Se non che in anni davvero particolari, persino l’improbabile può diventare verità, il che avrebbe portato al termine di un arduo assedio di nove mesi alla conquista delle mura, la sconfitta dell’esercito ed il conseguente sterminio di una quantità stimata di circa 30.000 sostenitori del regno indiano. Inclusa la splendida e innocente Padmini, che si sarebbe suicidata secondo la narrazione partecipando al rituale del jauhar, l’auto-immolazione per non essere catturati dal nemico.
Mewar e sultanati avrebbero a partire da quel giorno intrattenuto relazioni niente meno che complesse, a partire dal periodo in cui Chittorgarh (o più in breve, Chittor) fu governato con pugno di ferro dal figlio di Alauddin, Khizr Khan. Finché nel 1311, per l’impossibilità di gestire direttamente un territorio tanto vasto, suo padre non decise di ripristinare un governatore nativo in tale seggio del potere, il capo dei Sonigra, Maldeva. Individuo forse troppo bravo nel suo lavoro, tanto che la prosperità del regno crebbe in modo smisurato fino a possedere una ricchezza e potere militari superiori a quelle dei loro presunti dominatori. E i suoi discendenti, che si sarebbero fatti chiamare dinastia dei Sisodia dal nome del villaggio da dove avevano avuto origine, avrebbero fatto tutto il possibile per recuperare l’indipendenza.
Chi osserva oggi il forte di Chittorgarh dalle profondità della valle urbanizzata antistante, non può in effetti fare a meno di notare due cose: le mura ciclopiche lunghe 4,5 Km, che si alzano complessivamente a circa 500 metri sopra la pianura. E l’alto pinnacolo di una stambha, torre o pinnacolo, creata secondo i più fini presupposti dell’architettura Māru-Gurjara, stile associato strettamente all’egemonia pluri-secolare dei Rajput, la casta di guerrieri che avrebbe tanto lungamente dominato gli affari politici e militari del Rajasthan. Posta in essere effettivamente da niente meno che Rana Kumbha, diretto discendente di Maldeva nonché trionfatore contro le moltitudini islamiche in una serie di epiche e risolutive battaglie…

La visione dall’alto del forte di Chittor è lo strumento migliore per comprenderne l’estensione, capace di sfidare quella della stessa città antistante. Per fortuna non c’è necessariamente bisogno di utilizzare un drone, quando si può salire sulle torri stesse gentilmente fornite dai suoi trascorsi dominatori.

Costruita lungo un periodo di 10 anni a partire dal 1458, la Vijaya Stambha o Torre della Vittoria si solleva per 37,5 metri ed un totale di 10 piani dal livello del terreno, dando rilievo ad un tripudio di bassorilievi raffiguranti episodi tratti dai due poemi del Mahabharata e Ramayana, ma anche figure tratte dalla prestigiosa dinastia dei Sisodia, assieme a esempi d’iconografia interreligiosa tratti dalle principali religioni diffuse nella regione, incluso Induismo, Jainismo, Buddhismo e persino l’Islamismo degli antichi nemici storici del Mewar, benché la torre nel suo complesso fosse dedicata a Vishnu. Ma soprattutto, finalizzata ad ospitare dettagliate ed approfondite iscrizioni che testimoniano le significative vittorie conseguite dal regnante e committente Rana Kumbha, ai danni dei sue due principali avversari, i sultani di Malwa e Gujrat. “Trionfatore nelle battaglie di Mandalgarh e Nagaur” viene qualificato il governante e generale, con riferimento alla campagna militare che avrebbe culminato nel 1456, con la riuscita difesa dell’insediamento di Kumbhalgarh, e la conseguente riconquista di territori storici del regno, ormai lungamente sotto l’egemonia dei sultani. Tutto questo mentre il Kumbha, per ogni singolo chilometro ritornato sotto il suo controllo, valutava attentamente l’opportunità di fortificazione, giungendo alla sua celebrata posa in opera di oltre 30 tra fortezze e punti di guardia, molti dei quali oggi considerati dei veri e propri capolavori architettonici della loro Era. Ma nessuno pari a quello che sarebbe diventata la pur sempre fondamentale cittadella di Chittorgarh, seggio centrale del suo potere ed ideale luogo di posa per ben 65 strutture indipendenti, tra cui sontuosi palazzi, svettanti templi e una quantità notevole di bacini idrici artificiali, atti a massimizzare la quantità di risorse disponibili in caso di eventuali futuri assedi. Per non parlare della magnifica Vijaya Stambha, che in realtà non fu la prima struttura di quel tipo (benché resti la più alta e significativa) situata tra le alte mura collinari del forte. Il concetto di stambha o sacro pilastro può in effetti considerarsi importantissimo nella storia dell’architettura in India, dove si ritiene che una simile struttura possa agire come punto di collegamento tra il Cielo (Svarga) e la Terra (Prithvi). Come già quivi dimostrato nel remoto XII secolo, quando durante il regno di Rawal Kumar Singh (c. 1179–1191) un facoltoso mercante di nome Jeeja Bhagerwala aveva deciso di celebrare la religione jainista con la costruzione di un esempio niente meno che notevole, direttamente innanzi a un importante tempio locale. Il che avrebbe portato alla torre nota come Kirti Stambha, con un’altezza complessiva di “appena” 22 metri, ma non meno finemente scolpita con immagini dei saggi ed insegnanti dei Veda, rispetto alla più famosa e recente Vijaya Stambha. Essendo giunta a costituire oggi, assieme ad essa, un importante punto di riferimento storico oltre che meta turistica di primo piano.

I principali materiali utilizzati dall’architettura dei Rajput includono la pietra calcarea e l’arenaria che permettono, come osservabile da questa ripresa del Kirti Stambha e relativo tempio, l’ottenimento di dettagli scultorei ed ornamenti particolarmente elaborati. Peccato soltanto come l’estrazione ancora oggi continuativa dei materiali dalle cave vicine al forte stia iniziando a danneggiare alcuni degli antichi edifici.

Illuminate in modo spettacolare nelle ore notturne, le due torri che campeggiano sopra il forte di Chittor costituiscono in effetti anche uno dei modi migliori per apprezzarne le spropositate proporzioni, offrendo piattaforme panoramiche in corrispondenza delle loro rispettive sommità, da cui si dice che la vista possa essere assai difficilmente sopravvalutata. Verso ogni sorta di notevole testimonianza architettonica, incluso il candido e marmoreo palazzo di Padmini, edificio ricostruito nel XIX secolo ed a cui fu attribuito il nome della tristemente nota consorte di Ratan Singh. Ma le tragedie destinate a svolgersi in questo fondamentale luogo non erano certamente finite, mentre lo stesso Rana Khumba mai sconfitto sul campo di battaglia sarebbe stato assassinato a seguito di una crisi dinastica sopraggiunta nel 1468, dal suo stesso figlio destinato a diventare celebre col soprannome di Hatyara (Assassino). Egli stesso destinato a perire nel 1473, per quello che sarebbe stato eufemisticamente definito “un fulmine a ciel sereno” ma in effetti solamente il secondo di una lunga serie di uccisioni da parte di fratelli, cugini e parenti nel tentativo di riconquistare il trono del Mewar. Un lungo disastro destinato a durare fino al 1508, quando finalmente il membro della dinastia Sisodia noto come Sangram Singh I, alias Rana Sanga, riuscì a ristabilire un certo senso di stabilità, purtroppo destinato a sopravvivergli soltanto per una singola generazione. Fino a quando, nel 1535, il nuovo sultano del Gujarat, Bahadur Shah, avrebbe posto sotto assedio e conquistato nuovamente il forte di Chittor. Evento a cui avrebbe seguito un nuovo massacro, culminante con l’auto-immolazione di circa 13.000 donne appartenenti alla casta dei Rajput. Di nuovo, la guerra aveva avuto inizio in Rahjastan. Ma non ci sarebbe stata tanto presto l’occasione di costruire nuove torri del trionfo, a beneficio dell’inconoscibile posterità…

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