Lasciare l’edificio in fiamme sulle ali di un fiore d’argento

Immaginate di trovarvi nel seguente caso: siete in bilico sul davanzale, al 58° piano di un palazzo in fiamme. Le vostre scarpe appoggiate, una di fianco all’altra, sulla morbida moquette dell’ufficio, mentre con le braccia vi reggete alla cornice della finestra inoperabile, dal vetro fatto a pezzi grazie all’uso di una sedia girevole, ora gettata al suolo accanto a voi. I vostri occhi spalancati che scrutano innanzi, verso la porta che si apre in corridoio, da cui proviene un minaccioso fumo nero. Mentre percepite il peso di un oggetto di circa 25 Kg, situato come zaino sulla vostra schiena, che minaccia di tirarvi fuori da un momento all’altro, trascinandovi verso l’abisso dell’ultima non-vita. Ed è allora che contando fino a quattro, siete voi ad anticiparlo, tirando al massimo il lungo pezzo di spago (che in realtà sembra, possibile? Un guinzaglio allungabile per cani) il quale libera l’energia contenuta in un solenoide, riempiendo di gas espandibile la forma rannicchiata dentro a quel contenitore a spalla. D’un tratto, sentite l’effetto di una forza impressionante che vi chiama in Paradiso. E prima ancora che possiate esalare un singolo respiro, andate via…
La questione da considerare in merito al corpo umano è che può anche risultare fragile, ma non poi tanto Fragile! Ragion per cui diverse situazioni, all’apparenza irrisolvibili, possono anche andare incontro ad un epilogo felice. A patto di disporre di un mezzo appropriato che possa essere capace di tirarvi fuori dai guai. Contingenze dal pericolo gravoso, come quelle di un alto edificio che, a causa di un disastro oppur l’intento distruttivo di qualcuno, si è trovato all’improvviso avvolto dall’effetto ed i bagliori della distruzione termica di tutto quello che contieneva. Cosa fare, dunque, quando ci si trova sopra il tratto divisorio tra la vita e la morte? In molti, ahimé, conoscono l’orribile risposta. Poiché hanno conosciuto, in un momento o l’altro della copertura mediatica di tali eventi, il gesto estremo di chi ha innanzi l’impossibile finale decisione, tra morire lentamente soffocati ed ustionati oppure farlo in modo rapido e (si spera) meno doloroso, con il privilegio aggiunto di restare gli unici padroni del proprio destino, fino al tonfo dell’impatto subito seguito dall’oscurità del nulla. Ma se ora vi dicessi che, in futuro, un simile gesto potrebbe anche essere fatto con criterio e la certezza di svegliarsi per vedere l’alba successiva, nonostante sia passata l’ora del disastro fatale? Già, proprio grazie ad uno di quegli specifici sistemi, definiti “soluzioni di salvataggio”, che diverse compagnie hanno avuto modo di proporre, successivamente all’ora tragica delle due Torri, con variabile successo commerciale ed un servizio o due nelle rubriche dei telegiornali. Tecnologa in questo caso russa benché l’attenzione alla sicurezza individuale, generalmente, non trovi collocazione nello stereotipo pubblico di quel paese. Ed in effetti nulla, nel presente caso, parrebbe il prodotto di una sessione di brainstorming alimentata con vodka e musica trance… Escluso forse il rendering pubblicitario, tendente a far apparire l’oggetto di tale promozione ancor più assurdo di quanto non sia in realtà, nonostante il fatto che il funzionamento dello stesso sia una chiara conseguenza dell’Era Spaziale. Capace di traghettare un’ipotetica astronave sul suolo di Marte, oppure voi medesimi oltre il fuoco purificatore, presso questo marciapiede del livello strada che è sinonimo di un altro giorno da trascorrere, serenamente, sulla Terra.

L’apertura del dispositivo sembrerebbe avvenire in maniera automatica, mediante il tiraggio di un tratto di corda o guinzaglio assicurato, potenzialmente, alla maniglia della porta più vicina. Questo al fine probabile di evitare che l’individuo da salvare, colto dal panico, possa compiere un terribile errore.

Nome, dunque: (alla buon ora) SPARS, che poi vorrebbe significare come acronimo in lingua originale “Sistema di Salvataggio con Zaino Autonomo Trasformato Pneumaticamente” in riferimento al suo intrigante, nonché certamente insolito approccio risolutivo al problema. Scaturito dalla mente e l’immaginazione fervida di Sergey Kulik, direttore capo dell’azienda di Mosca Space Rescue System, della cui effettiva storia non è semplice trovare molte informazioni online. Salvo il tentativo effettuato circa un paio d’anni fa, certamente meritevole, di veder adottato su larga scala il loro implemento gonfiabile di salvezza, basato su alcune collaborazioni precedenti con i settori spaziali delle aziende Lavochkin e Roscosmos. E l’incontro possiamo facilmente prenderne atto, risulta ancora chiaro ed evidente, data la vaga somiglianza dello SPARS, una volta superata la fulminea fase d’attivazione, con una letterale astronave, finalizzata a ricondurre il singolo passeggero alla desiderata libertà. Come avrete già notato osservando i video collegati, dunque, il suo funzionamento è rapido & risolutivo: all’interno del succitato zaino si trova infatti, accuratamente ripiegato, un dispositivo che possiamo solamente definire come un ibrido tra sistema di ammortizzazione ad aria ed una serie di paracadute, disposti lungo una struttura aerodinamica simile a una ragnatela, concepita per restare sempre in parallelo al suolo, indipendentemente dal tipo di sollecitazioni a cui essa potrebbe ritrovarsi sottoposta durante la caduta libera per cui è stata progettata. Il sito ufficiale della Space Rescue dunque, più che mai esauriente, elenca tutte le specifiche del caso: si tratta di un approccio alla sopravvivenza utilizzabile da personale civile privo di addestramento, dall’età di 18 ai 70 anni, con la capacità di attutire la caduta di fino a 170 Kg da un’altezza massima (probabilmente, teorica) di 1.000 metri ma anche quella minima di appena 5, spesso altrettanto letale. La velocità di atterraggio garantita in entrambi i casi risulta essere tra 5 e i 7 metri al secondo, corrispondente a circa 18 Km orari, chiaramente attutiti dalla naturale capacità d’assorbimento della componente al gambo del surreale “fiore” di stoffa. Il tutto a fronte di un tempo di gonfiaggio con compressore integrato da 3.000 Psi tra i 15 e i 20 secondi, piuttosto basso quindi a ma comunque insufficiente ad aprirlo qualora ci si dovesse trovare già in caduta libera, come il paracadute. Ma i vantaggi, rispetto a quest’ultimo, sono davvero significativi: nessun rischio di perdere il controllo urtando le pareti del palazzo. Minor impatto sulle gambe nel momento dell’atterraggio in situazioni estreme. E soprattutto, superamento della necessità di possedere conoscenze d’utilizzo specifiche, contestualizzabili nel settore tutt’altro che consueto del cosiddetto base jumping.

Nonostante i leciti dubbi sul funzionamento dell’idea, molti sono i video offerti dall’azienda in cui non solo un manichino iper-tecnologico, ma anche lo stesso fondatore Sergey Kulik vengono scaraventati dalla cima di un palazzo, senza nessun tipo di conseguenza ai danni della propria integrità fisica.

Un approccio interessante, dunque, ed altrettanto innovativo, ad uno dei problemi più gravi dei nostri tempi: man mano che continuiamo ad espandere i nostri interessi architettonici verso il cielo, complicando ulteriormente i mezzi di risposta disponibili nel caso improvvido di un qualche disastro più o meno intenzionale. Per quale ragione, allora, questa azienda non ha avuto il tipo di successo trascendentale che aveva sperato, riuscendo al massimo a sollevare l’interesse dei militari come potenziale sistema di salvataggio dagli elicotteri da guerra Mi-28? Le ragioni sono molteplici e tutte collegate, in un modo o nell’altro, alla poca scalabilità dell’idea. Simili approcci al salvataggio individuale per grattacielo del resto, come anche i sistemi con carrucola SKYSAVER o le cabine sospese Escape Rescue System (prodotti, rispettivamente, statunitense ed israeliano) hanno un costo unitario piuttosto elevato, al punto che per i costruttori degli edifici risulta maggiormente conveniente investire su sistemi potenziali validi a prevenire del tutto il disastro, invece che ridurne gli effetti sulla vita delle persone. Mentre il diretto acquisto individuale del dispositivo, d’altronde, risulta poco invitante per la mente umana, da sempre poco incline a considerare l’aspetto peggiore di un possibile domani.
L’estrusione simil-vegetale pronta a spalancarsi dalla cima dei più alti grattacieli resta, dunque, una mera possibilità in fieri, che un domani potremmo anche ritrovarci ad osservar da terra con in mente la preghiera che funzioni, che funzioni per piacere, come botanicamente dimostrato dal momento della sua remota concezione!
E resta certo come in simili momenti, quando l’alternativa risulta fin troppo facile da immaginare, diventare giardinieri russi è tutto quello che potremmo chiedere. Mentre cerchiamo la salvezza, grazie a un fiore ingegneristico frutto della pura sperimentazione, di un qualche remoto ed invisibile Altrove.

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