L’orrendo miagolìo nella notte di un Natale islandese

Accarezzandosi la barba, Magnús guardò l’uomo ormai del tutto in suo potere, esprimendo con lo sguardo tutto il biasimo e lo sprezzo nei confronti di costui: “Già, ora capisci ciò che intendo.” Espresse nell’inglese, lingua franca dei mari settentrionali: “Almeno i nostri antenati vichinghi, a differenza di voi altri, non sarebbero stati catturati VIVI” L’uomo col turbante di colore azzurro, legato mani e piedi ed appoggiato contro la cornice del camino, aprì d’un tratto gli occhi, dopo il colpo ricevuto sulla nuca, mentre si aggirava con la ciurma alla ricerca di una vittima da trascinare sulla propria nave… “Pirati, vi fate chiamare. Com’è che si chiama il vostro paese? Berber? Barbaroi? Ma forse neanche ci siete mai stati, voialtri criminali di bassa lega. Si tratta solamente di una bandiera…” E qui, Magnús tacque momentaneamente. Mentre spostava il suo sguardo nostalgico verso l’emblema di bronzo ricevuto in dono dall’aldermanno, recante l’effige dell’aquila ed il toro considerati i veri protettori del Regno; a meno finché nell’anno del Signore 1660, il più recente erede dell’originale Unione tra i tre regni di Scandinavia, Federico III di Danimarca, proclamò il decreto che restaurava la monarchia assoluta nelle Isole, rivendicando il diritto di chiamare a se i contingenti dei suoi sottoposti locali. Ed ecco, dunque il risultato. Il prigioniero dall’aspetto del tutto europeo, a quel punto, colse l’attimo di esitazione e fece un’espressione truce. “Lo so cosa stai pensando, che non possono esserci tanti guerrieri in questo remoto villaggio di pescatori. Grindavík, si chiama, tra l’altro. Non che t’importi, sono pronto a scommetterci! Ma vedi, ho un piccolo segreto da raccontarti…”
Già, un segreto oppure due. Anzi, facciamo tre: primo, chissà se gli infedeli possiedono un calendario, pensò il soldato in pensione, sogghignando tra se e se. E mi chiedo pure, lasciò prender forma alle parole senza un suono, se ricordino il significato antico dello Yule, il giorno del Solstizio tramandato, prima che la chiesa stessa, e in seguito Martin Lutero, dessero un significato più importante ad una simile occasione. Ma ci sono cose, a questo mondo, che neppure la più sincera fede in Dio potrà riuscire a cancellare. Cose che si aggirano in mezzo alla neve, di una notte senza stelle né rumori. Fu a quel punto che il pirata catturato, il cui nome musulmano era Ekrém, colse qualcosa muoversi presso i margini del proprio campo visivo. Quindi, lentamente, lo mise a fuoco: sembrava un bambino assurdamente magro con il cappello rosso, ma dotato di una lunga barba bianca. In mano teneva un oggetto oblungo capace di rivelarsi, a una seconda indagine, come un cucchiaio. “Ecco, ti presento… Þvörusleikir. Ormai vive in questa casa da circa una settimana. Puoi considerarlo una specie di… Messaggero.” Gradualmente, a quel punto, le luci di candela nella stanza parvero affievolirsi, mentre un certo numero di esse scomparivano in rapida sequenza. “Ed immagino questo significhi che anche Kertasníkir è finalmente dei nostri. Dunque, ci siamo.” Un suono reiterato riecheggiò fuori dalla finestra, stranamente simile al ripetersi di una sillaba tronca: “Oh, oh, oh” Ekrém aggrottò le sopracciglia, facendo l’inutile gesto di volersi coprire le orecchie. Ma presso le sue caviglie legate, a quel punto, vide comparire un’altro orribile nanetto, con una pentola di legno sotto braccio “Askasleikir, ora basta. Non è il momento: vai subito a chiamare tua madre!” Gridò il padrone di casa. C’è un qualcosa che devo chiedergli, stasera.

La storia della strega/troll Grýla, del suo attuale marito Leppaludi (quelli precedenti li aveva mangiati) e dei loro 13 figli soprannominati “ragazzi di Natale” viene narrata da lunghi secoli a tutti i giovani islandesi. Ma è generalmente il gatto di questa bizzarra famiglia, che tende a restargli maggiormente impresso.

Lungo l’unica strada di Grindavík, dopo il tramonto, sarebbe stata normalmente l’ora della festa. Ma avvisati dagli uomini di ritorno dal mare, quest’oggi, gli abitanti si erano rintanati dietro le pesanti porte in legno di faggio, coprendo le finestre con grandi e pesanti coperte di lana. Un gruppo di sedici individui sconosciuti, alla luce sfarfallante di una torcia, si aggiravano con fare circospetto, mentre i riflessi delle loro sciabole ed asce lanciavano dardi abbaglianti lungo i più remoti recessi delle case in muratura e tronchi. “Hafiz, hai sentito?” Fece in lingua turca il vice-capo della banda “C’è qualcosa dietro quel tronco. Vai subito a controllare.” Aggiunse quindi, sollevando in modo preventivo il piccolo scudo di cuoio. Impossibile, si ripetè ancora una volta tra se e se. Il fatto che Ekrém sia scomparso non può essere colpa dei nativi. Questa gente si è ritirata oltre i ghiacci proprio perché non voleva combattere, ed ora che anche le armate di questo regno sono impegnate per la guerra dei trent’anni, chi mai avrebbe potuto proteggerli dal trasformarsi in preziosi sacchetti di denaro, dopo l’utile instradamento verso un irrimediabile destino di schiavitù? “Spada, spada, spada. Dammi!” Gridò quindi una voce sottile, balzando fuori dallo stipite della finestra più vicina “Gluggagægir vuole” gridò qualcosa di scarsamente visibile, data l’impressionante rapidità delle sue movenze, benché Toros già disarmato avesse fatto appena in tempo a scorgere il lampo di rosso seguito da una scia di bianco. Ed ora le strane parole di una canzone udita nella locanda di Reykjavík tanti anni prima, stranamente, gli tornarono in mente “Lasciate che vi narri la storia / dei ragazzi dai molti dispetti / che tanto tempo fa venivano / a visitare le nostre dimore. / Tredici, erano…” E non soltanto quelli! “Hafiz, aspetta, torna subito qui!” Fece appena in tempo a gridare. Quando un’enorme forma nera sembrò palesarsi da dietro la forma contorta dell’albero, seguendo un profilo geometrico completamente impossibile data la prospettiva capace di coprirlo. Alle orecchie alte quanto un comignolo, quindi, seguì una lunga testa affusolata, con baffi simili a punte di lancia. Il gatto, perché di ciò si trattava senza il benché minimo dubbio, era completamente nero tranne gli occhi gialli che ardevano come la lampada di un genio. Al momento stesso in cui la coda diventò visibile, quindi, la bestia inarcò la schiena e tirò fuori gli artigli affilati come rasoi…
A questo punto, la porta della casa principale sulla piazza si spalancò con un colpo netto. Magnús e il suo prigioniero, legato con un’insolita corda cardata direttamente con la lana, fecero il loro ingresso sulla scena di un massacro in corso, i pirati barbareschi in procinto di soccombere sotto i colpi del massiccio ed elegante felino, totalmente incapaci di reagire agli attacchi di un simile mostro sovrannaturale. “Osserva, uomo del tiepido Meridione. Questo, e soltanto questo, è il vero significato del Natale: rispetto ed osservanza per le tradizioni. E conoscenza degli antichi nomi, come quello di Jólakötturinn, il solo ed unico gatto di Natale. Che dopo aver trascorso un certo numero di anni sepolto nella terra di un cimitero, è risorto, al fine d’imporre le leggi della sua nuova padrona. Persona che tutti, da queste parti, rispettano e temono allo stesso tempo. Credo tu abbia già fatto la conoscenza con alcuni dei suoi tredici figli!” Grýla! Grýla! Riecheggiò il possente nome, impresso a fuoco nella mente stessa di Ekrém, grazie al potere e la magia di quell’empia ricorrenza “cristiana”. “Ba…Basta, ci arrendiamo!” Tentò di gridare all’indirizzo del suo catturatore. Ma l’uomo sembrava come invasato, mentre scrutava con attenzione nella più profonda oscurità della notte. Quindi, sorrise al suo indirizzo: “Troppo tardi, capisci. Ormai lei è giunta. Con la vostra cupidigia avete trasformato questa notte, in una notte di Sangue.”

In epoca moderna, le dispettose e talvolta malevole figure folkloristiche del Natale islandese sono state trasformate in personaggi decisamente più rassicuranti, grazie alle contaminazioni dell’interpretazione moderna di questa festa. Ma nell’antichità, considerate le loro più profonde implicazioni, la situazione doveva essere ben diversa.

Magnús aveva viaggiato. Molte cose aveva conosciuto. Ma ora, era soltanto arrabbiato: “Lascia che ti spieghi qualcosa dunque, mio amico pirata “turco”. Perché voialtri non avete nulla di simile, laggiù! In questa terra gelida, la cardatura della lana significa sicurezza, attenzione per il prossimo e soprattutto denaro da spendere, grazie alle esportazioni verso la terra ferma, prima dell’arrivo della primavera. Ecco perché, fin dalle nebbie dei tempi, è considerata cosa buona e giusta regalarci a vicenda almeno un indumento intessuto da quella stoffa, entro il tramonto dell’ultima notte di Yule! Ma contrariamente a quanto è successo a voi, qui l’arrivo delle nuove religioni non ha portato a un rifiuto delle precedenti credenze. E gli Dei e le creature dei nostri antenati emergono a tratti, qualche volta per minacciarci. E in altri casi particolari, al fine di offrirci la loro protezione. Ora, scegli: in che cosa credi? Questa corda può essere sciolta con estrema facilità. Potresti in un attimo metterti a correre nella notte e scomparire. Oppure…”
Ekrém guardò al cumulo d’armi, armature ed arti scomposti che erano stati, fino a pochi attimi prima, i suoi amici e complici nella crudele scorribanda. Il gatto nero seduto a pulirsi la zampa anteriore destra, gli artigli temporaneamente rientrati ma pur sempre pronti all’uso. Quindi lo sguardo si spostò all’indirizzo della luna, dove una mostruosa figura femminile sembrava stagliarsi contro il tenue bagliore. Alta come una torre, le braccia possenti simili a tronchi. E impossibilmente dotata di 300 teste dalle corna di capra, 15 code di serpente, lunghe orecchie ed un’ancor più lunga barba. Che restituendo il suo sguardo atterrito, emise ancora l’orribile suono: “Oh, oh, oh.”

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