La triplice leggenda dell’albergo viaggiatore

Vernice scrostata e crepe nelle pareti: vecchio e derelitto, l’edificio sorge sulle coste del monte Kumgang, Corea del Nord. I suoi 8 piani e le 200 stanze ormai un’isola deserta, ma del tipo artificiale che mantiene la sua posizione grazie ad àncore profonde nel passato dell’umanità. Quali storie e quanti luoghi, quante splendide avventure! Prima che quell’ultimo padrone, infastidito, decretasse l’ora della Fine. Ma che dire, invece, del tuo passato? Un’esperienza irripetibile e per molti versi, un’esperienza irragionevole: offerta dalla più importante venture intrapresa dal costruttore ed operatore turistico di origini italiane Doug Tarca, a 70 Km dalla cittadina australiana Townville nel Queensland Australiano, sul finire degli anni ’80. SETTANTA chilometri dalla parte del MARE… Avete mai pensato, in effetti, di andare a visitare la Grande Barriera Corallina? Ed avete mai pensato di farlo, guarda caso, soggiornando sopra ad essa nella stanza di un hotel di lusso? Tutto ebbe inizio, a quanto narra la sua biografia, con la costruzione circa 20 anni prima dei Coral Gardens nella parte Sud di quel centro abitato, repertorio di esemplari prelevati direttamente dalla più vasta struttura costruita sulla Terra da esseri viventi (non umani). Un successo stratosferico di pubblico, frutto di una sensibilità meno pronunciata nei confronti della sacralità della natura ed i suoi polipi centenari, a fronte della quale Doug pensò d’implementare anche uno speciale tour via imbarcazione dal fondo trasparente, per far conoscere direttamente tali esseri nel loro ambiente naturale. Ma il problema principale rimaneva sempre lo stesso: la distanza dalla costa di una tale meraviglia situata nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, e la conseguente maniera in cui i visitatori, tanto spesso, giungessero sul posto già affetti dai primi sintomi del mal di mare. Ecco dunque, la proposta soluzione: situare in pianta stabile tre navi da crociera dismesse in corrispondenza del punto di riferimento sommerso, affinché gli interessati potessero soggiornarvi tutto il tempo necessario a sperimentarne il fascino ultramondano. Se non che, ancor prima che tale piano potesse venire implementato, costui ebbe la fortuna d’incontrare i rappresentanti di una compagnia svedese specializzata nella costruzione di flotel (unione dei termini floating+hotel) dormitori galleggianti proposti per l’impiego da parte delle piattaforme petrolifere, nei periodi in cui debbano necessitare di un personale maggiormente numeroso. Entro poco tempo, quindi, Doug riuscì ad assicurarsi un corposo finanziamento dalla compagnia Four Seasons, amministratrice di oltre un centinaio di prestigiosi resort in giro per il mondo, riuscendo a pagare i circa 40 milioni di dollari necessari per costruire l’oggetto dei propri desideri presso un cantiere di Singapore. E di che splendida figura, si trattò in origine: l’imponente, cubitale John Brewer Floating Hotel, dal nome dello specifico tratto di Barriera presso cui avrebbe trovato ultima collocazione, possibilmente entro la stagione alta del turismo del 1987 (corrispondente all’inverno dell’emisfero settentrionale). Ma come spesso avviene la natura aveva altri piani e trovò ben presto il modo di dimostrarlo: con l’abbattersi di un ciclone capace di affondare gran parte delle strutture accessorie, ivi incluso il nuovo osservatorio dei coralli, rimandando l’apertura dell’albergo di cruciali due mesi, soprattutto per un’impresa dai costi di avvio tanto significativi. Nonostante un così difficoltoso inizio, quindi, l’epoca d’oro dell’albergo ebbe inizio…

Uno degli spettacoli offerti dall’hotel, durante il primo anno della sua operatività, fu riportata essere la vista dalle sue finestre, al di là delle quali era possibile vedere “Soltanto azzurro fin dove l’occhio potesse spingersi”. Almeno prima che problemi di natura finanziaria e logistica portassero, purtroppo prevedibilmente, a collocazioni di un tipo diverso.

In molti a Townsville ancora ricordano i mesi successivi: per un paese tanto remoto e privo d’attrattive turistiche, situato all’estrema punta del Queensland, tale location diventò presto un vanto significativo, e nonostante il marketing non propriamente ineccepibile stesse limitando la sua visibilità internazionale, la quantità di ospiti continuò ad aumentare. Una seconda piattaforma, quindi, venne posizionata dinnanzi all’albergo con la funzione di un campo da tennis, benché il principale punto di forza continuassero ad essere le escursioni compiute tra i variopinti colori del paesaggio sommerso al di sotto dello stesso. Paesaggio il quale, paradossalmente, era stato significativamente danneggiato dalle ancore dell’hotel, sebbene da tutti gli altri punti di vista gli elevati standard ambientali fossero stati rispettati. Con espedienti quali l’impiego di vernici assolutamente non inquinanti, l’accurato incenerimento e trasporto a riva di tutti i rifiuti, la perfetta depurazione delle acque grigie e reflue. Il trasporto della clientela, nel frattempo, avveniva mediante l’impiego di catamarani “taxi” ad alta velocità, il cui tragitto tuttavia risultava spesso traumatico e non meno nauseante di quelle impiegate in precedenza. Lo stesso soggiorno all’interno di un edificio dall’apparenza stabile, ma in realtà soggetto al sollevamento reiterato da parte del moto ondoso, non risultava del resto adatto a tutti gli stomaci, tanto che secondo un aneddoto riportato ai nostri giorni, nella sala relax del personale era stata appesa una bottiglia vuota, dai cui sommovimenti camerieri ed inservienti usavano prevedere la complessità della giornata lavorativa che stava per iniziare. L’incendio di uno dei catamarani verificatosi a poche settimane dall’apertura, quindi, ebbe un ulteriore effetto negativo sulla struttura, benché fortunatamente nessuno restò ferito nell’evento. Fatto sta che l’unione dei ritardi e le difficoltà vigenti avrebbero portato, nel giro di un solo anno, al fallimento del sogno di Doug Tarca, costringendolo a vendere il flotel a una compagnia vietnamita, che si sarebbe occupata di trovargli una nuova collocazione a vantaggio del rinato turismo nella famosa penisola d’Asia. Ciò che segue, dunque, può essere definito vagamente surreale: la struttura venne infatti caricata su una grande nave semi-sommergibile, del tipo usato normalmente per il trasporto delle piattaforme petrolifere, e consegnata con perfetta puntualità presso la foce del fiume Saigon, dove sarebbe rimasta ormeggiata per un periodo di 10 anni. Impiegato come semplice hotel, dunque, l’hotel ribattezzato dagli abitanti di Ho Chi Min City come il “Floater” conobbe un lungo periodo di popolarità, costituendo nei fatti uno dei luoghi d’accoglienza maggiormente lussuosi della sua regione. Una serie d’infelici scelte finanziarie da parte dei nuovi amministratori, tuttavia, avrebbe portato ad un nuovo fallimento del 1997, con conseguente chiusura e vendita dell’hotel. Ora se il mondo fosse ancora diviso in mercati locali, tutto questo potrebbe sembrare assurdo. Ma nell’attuale globalismo dei commerci e gli scambi tra le nazioni, ben presto all’edificio galleggiante venne offerto un nuovo punto d’approdo in Corea del Nord: lo stesso in cui abbiamo avuto modo di ritrovarlo infine messo all’indice, pochi mesi a questa parte, come esempio negativo da parte dell’attuale capo di stato e leader Kim Jong-un. Che durante una visita di rappresentanza presso una delle principali località turistiche della sua nazione, il famoso “Monte del Diamante” Kumgang (per il quale sono previsti, in effetti, nomi diversi a seconda della stagione) lo paragonò a un “Rifugio temporaneo dopo un disastro naturale” nonché “Esempio di architettura superata e non rappresentativa della nostra sensibilità nazionale” decretandone, nei fatti, la futura e probabilmente imminente demolizione.

In queste immagini di repertorio della Tv coreana è facile individuare i segni di danneggiamento sulla facciata dell’ormai anziano flotel, evidente aggravati da anni di mancata manutenzione. Peccato nessuno, men che meno i suoi ultimi proprietari, sembri disposto a investire i fondi necessari a riportarlo allo splendore di un tempo.

Tutto ciò nonostante il modo in cui, per un lungo periodo, l’hotel avesse costituito un’importante attrattiva per i turisti provenienti dalla Corea del Sud. Venendo spesso impiegato al fine di permettere loro un fugace incontro con i parenti o discendenti di essi, rimasti al di là dell’arbitraria linea di divisione, frutto di un conflitto le cui conseguenze sembrano ancora tristemente impossibili da superare. Ma tale occasione aveva subito una forte battuta d’arresto nel 2008, quando a causa di un incidente non meglio definito una guardia locale aveva sparato mortalmente ad uno dei visitatori, portando all’immediata e continuativa chiusura della stana struttura galleggiante costruita in Australia quasi 30 anni fa.
Il futuro del Floater appare dunque oggi incerto, o per meglio dire, certamente infausto e privo di alcuna significativa rivalsa. Nonostante proprio negli ultimi mesi sia stata organizzata, presso il Museo Marittimo di Townsville, una mostra permanente con il modellino originale ed altri oggetti commemorativi dal figlio di Doug Torpe, Peter, in occasione dell’organizzazione da parte di quest’ultimo di una nuova serie di tour della Grande Barriera, con battelli semi-sommergibili dal fondo trasparente. Nell’ulteriore riconferma, informata dai fatti, che qualche volta l’unico modo di salvare qualcosa è farne conoscere l’estrema ed insostituibile magnificenza. Anche qualora, come era avvenuto al tempo, ciò possa comportarne un trascurabile quanto irrimediabile danneggiamento.

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