Lo strisciante demone spinoso dei deserti messicani

Raggiunta quella che pareva essere la 714° notte insonne in cima all’alto muro, durante lo svolgimento della sua corvée ereditaria dovuta al Gran Duca Sio Zam, il guardiano armato di tutto punto alzò rapidamente la punta del suo fucile, scrutando attraverso il mirino ottico una forma indistinta che andava a intaccare la pura limpidezza dell’orizzonte. Un qualcosa di straordinariamente inaspettato, poiché secondo quanto era stato scritto nel grande libro, nessuno osava chiedere l’ingresso nella Terra Promessa da almeno 714 generazioni. “Chi osa gettare la propria ombra sulla sabbia consacrata che separa il mondo dei viventi dalla terra di Us’ea?” Pronunciò l’uomo, in quel momento investito di una responsabilità e un potere molto di sopra al suo ruolo di servitore: “Chi sfida il decreto della Legge Internazionale, scritto col sangue con la piuma dell’Aquila d’Oro, sul grande papiro custodito nella bianca Cupola dei Cieli Sereni?” Nessuna risposta provenne dall’informe creatura adagiata al suolo, nonostante le altisonanti domande fossero state rivolte al suo indirizzo grazie all’impiego dello strumento infallibile della telepatia inter-lingua. Il guerriero in uniforme abbassò quindi l’arma, continuando a tenere d’occhio quello che poteva soltanto essere un intruso, inviato dai diavoli dell’Oltremuro per sfidarlo e tentare la sua risolutezza di fedele guardiano. Trascorsero 30 giorni, quindi altri 15 mentre le nubi s’inseguivano in turbinanti volute da una parte e dall’altra dell’invalicabile barriera di Us’ea. Fu allora che la reclinata ed informe presenza, parlò: “Noi siamo il bruco che striscia attraverso le generazioni, noi siamo vivi, noi siamo morti. Noi siamo l’eterna intoccabile pianta che testimonia il passaggio effimero delle civiltà. Quando qui c’era soltanto la polvere, già esistevamo. Quando ogni mattone avrà fatto ritorno al suo stato primordiale di non-esistenza, allora toglieremo le nostre sottili radici, per dirigerci altrove.” Fu allora che il guardiano con l’occhio puntato all’interno dello scintillante cannocchiale, la riconobbe: lungi dall’appartenere all’Ordine del Consorzio degli Animali, l’inusitata presenza era un membro dell’Incrollabile Gilda dei Vegetali. Essa era Stenocereus, normalmente detta la fragola del deserto, produttrice del frutto più rosso, dolce e saporito che un palato umano avesse mai avuto modo di assaporare. Ma c’era qualcosa di strano, poiché invece che erigersi orgogliosamente sopra la sabbia come aveva fatto per migliaia di anni, la pianta appariva piegata e moribonda, come affetta dai sintomi di una chiara quanto demoniaca maledizione. Fu allora che egli iniziò a provare uno di quei sentimenti che erano severamente vietati nelle interminabili appendici della Legge di Us’ea: curiosità verso le intenzioni di un non-americano. Possibile che si trattasse soltanto di un attimo di debolezza?
Quando si parla del cactus noto nel suo paese come la chirinola (bizzarrìa) e in altri tempi e luoghi con la definizione latina di S. Eruca o metaforica di demone strisciante, per la durezza e natura dolorosa delle sue spine non sempre notate in tempo, l’errore è del resto lecito. Stiamo parlando nei fatti di un qualcosa che esiste tanto al di fuori della sfera e del contesto umano, che lo si vede raramente, ed ancor meno hanno avuto la fortuna di scrutare l’aspetto altamente distintivo dei suoi fiori, in grado di aprirsi soltanto per un’unica notte a distanza di mesi, o anni dal precedente accadimento generazionale. Che nonostante la parentela con la già rara S. gummosus dal dolce frutto della pitaya messicana, altra pianta originaria delle dune di sabbia che caratterizzano la penisola della Bassa California, vanta caratteristiche straordinariamente insolite per chi dovrebbe trascorrere un’esistenza vegetativa. Prima fra tutte, quella di riuscire a muoversi attraverso le larghe distese dell’assoluto nulla, nell’eterna ricerca di territori dai migliori presupposti nutrizionali…

L’aspetto insolito dell’Eruca ha per lei costituito anche una ragione di grande sventura. Non è affatto insolito, al giorno d’oggi, che i visitatori della Bassa California prelevino abusivamente alcuni degli esemplari più antichi e lunghi, in grado di raggiungere facilmente un valore di 4 o 5.000 dollari cadauno. Ciò ha ridotto sensibilmente la diffusione complessiva di una pianta così eccezionalmente rara.

Ora quando siamo indotti ad immaginare una pianta semovente, l’immagine che ci sovviene è quella dell’erba rotolante della salsola (fam. Chenopodiaceae) tanto celebre grazie alla sua reiterata comparsa nei film del genere Western, in grado di ritrarre le proprie connessioni al suolo e sopravvivere in uno stato d’ibernazione secca, finché le sue cellule non giungono a percepire l’adeguato grado d’umidità. Qualcosa, insomma, che percorre numerosi chilometri soltanto grazie all’energia del vento proveniente da fuori, ben diverso dall’impulso dei muscoli semoventi che si trovano all’interno del corpo di un essere dotato di bocca e un cuore. Ed ora a scanso d’equivoci, nonostante la “testa” perennemente sollevata a scrutare il cielo, e la “coda” semi sepolta tra l’erba e le altre sterpaglie, il cactus Eruca non arriva ad assomigliarci nemmeno quel tanto, proseguendo il suo viaggio attraverso un sistema completamente diverso: la continua rigenerazione di se stesso. Poiché laddove una normale pianta cresce verticalmente, dovendo comunque fare affidamento sulla parte più bassa del proprio fusto al fine d’inviare la linfa fino alle più alte e gloriose foglie che costituiscono la propria corona, il diavolo del deserto ha abbandonato da tempo simili affettazioni, avendo scelto di crescere piuttosto in senso parallelo al suolo. Grazie a radici che si trovano non più a un’estremità del proprio corpo colonnare, bensì corrispondenti a un lato di esso, e decadono progressivamente man mano che la pianta avanza, lasciando intere parti di se stessa a deperire nell’eterna solitudine del grande cosmo. Si potrebbe dunque affermare che il bruco più spinoso di questa Terra muoia e rinasca continuamente, senza mai avere l’occasione di trasformarsi in un’agile quanto spensierata farfalla. Né d’altra parte, di conoscere il metodo comunemente usato per riprodursi dalle piante dioiche, benché anch’egli possegga, almeno in linea teorica, due sessi ben distinti tra loro. Questo perché nelle desolate terre della sua provenienza, il cactus Eruca non conosce praticamente mai la visita d’insetti impollinatori o altri visitatori della sua rara offerta di nettare. Finché attraverso l’intento risolutivo dell’evoluzione, egli smise di produrre quei frutti ancestrali e dolci che ancora compaiono sui rami del già citato cugino S.gummosus, facendo affidamento principalmente su un metodo alternativo che qualcuno potrebbe definire “mostruoso” o persino “contro-natura”: la clonazione. Effettuata mediante l’avvenuta separazione di un ceppo dal corpo principale, che ben presto diventerà capace di garantire la propria centenaria sussistenza.
Quanti di questi demoni, dunque, nell’ostile entroterra della di Magdalena Bay, principale territorio onorato della loro presenza a largo del quale i balenieri cercavano un tempo le proprie prede, provengono in realtà tutti dallo stesso individuo, ripetuto all’infinito? E quante delle inconoscibili esperienze vissute da costui sono sopravvissute, in qualche maniera, all’interno di un codice genetico cento volte più antico dell’inviolabile terra promessa di Us’ea?

Il pericolo di calpestare il demone spinoso dei deserti è sempre presente per i viandanti meno attenti, ma sopratutto minaccia le vulnerabili zampe degli animali domestici e il bestiame. Il che ha portato in passato all’eliminazione sistematica di intere comunità vegetali ad opera di pochi scriteriati mandriani locali (o aspiranti tali). Ma il bruco continua tutt’ora, imperterrito, a strisciare…

Al sorgere dell’alba numero 892, quindi, il guardiano abbassò finalmente la canna del suo fucile. L’intruso non-americano aveva ormai contorni piuttosto chiari, anche in assenza di ausili allo sguardo, e la sua presenza appariva tutto, fuorché minacciosa. Da quel fatidico primo scambio, nessuna locuzione telepatica si era più diffusa dal tozzo corpo verde della creatura, mentre le fibrose parti del suo corpo apparivano disseminate lungo un percorso serpeggiante ed almeno in apparenza, del tutto privo d’intenti traditori. Ormai immobile da qualche tempo, la pianta parzialmente secca appariva straordinariamente prossima alla morte, avendo speso le ultime forze per produrre un ultimo frutto di color azzurro intenso, mai visto prima da occhi umani. Il globo trasudava d’umidità copiosa, sfavillando evidentemente sotto l’effetto della luce solare obliqua dell’inizio di un nuovo giorno. Dopo una lunga ed attenta meditazione, il guerriero al servizio di Sio Zam appoggiò l’arma, discese la lunga scala ed aprì l’eterno portone, cedendo all’incomprensibile bisogno d’assaggiare il gusto della proibita conoscenza dei demoni, severamente vietata nella sacra terra di Us’ea.
Da quel giorno, nessuno vide più la sua forma su questa Terra. Mentre i figli del grande bruco, come per un segnale ricevuto all’unisono, presero a strisciare in direzione di quell’unica apertura che gli era stata promessa, secoli prima, da Colui che Aveva Profetizzato la Fine. La più lenta invasione nella storia del cosmo era iniziata. Il trono nascosto sotto la Bianca Cupola, tra esattamente 9.999 anni, avrebbe conosciuto la gelida stretta di quelle spine.

Lascia un commento