L’acuto richiamo del pika, guardiano della montagna

Esiste tra gli animali di piccole dimensioni, una particolare frequenza al di sopra della quale ogni verso inizia ad assomigliarsi: uccelli, mammiferi e rane, il cui gesto di affermazione dell’io si trasforma, all’orecchio di chi si trovi a coglierne l’essenza, in una sorta di trombetta più o meno modulata, le cui implicazioni possono essere di vari tipo. Richiamare una potenziale partner, spaventare i rivali, avvisare i propri simili dell’avvicinarsi di un predatore… Oppure nel caso di particolari specie, tutto questo e molto altro, nella rispettabile approssimazione di un vero e proprio linguaggio. E tra le foreste e i dirupi rocciosi del Nord America, così come le vaste praterie dell’Est e le steppe eurasiatiche, un tale suono riecheggia, carico dello stesso significato, nell’apparente riconferma di uno dei fondamenti della linguistica applicata agli animali: che le configurazioni possibili di un apparato fonatorio, dopo tutto, non sono moltissime, e il metodo espressivo di specie diverse non può che finire per assomigliarsi vicendevolmente. È soltanto con l’avvicinarsi alla fonte di un tale episodio, quindi, attraverso l’impiego di potenti obiettivi fotografici, binocoli da bird-watching o perché no, i propri stessi agili nonché lievi passi, che la corrispondenza inizia a rivelarsi per quello che è: il prodotto di una effettiva somiglianza esteriore, da parte degli esponenti di un genus pseudo-cosmopolita per cui soltanto la nostra Europa Occidentale, in effetti, resta un territorio distante e sconosciuto. Così come lui/loro, incidentalmente, continuano ad esserlo per noi: gli ochotonidi/Ochotoni dalle orecchie corte e la coda pressoché inesistente, con assoluta identità di famiglia e di genere, le cui 30 specie vengono collettivamente denominate “pika”, fornendo secondo una nozione largamente non confermata l’ispirazione segreta del nome di Pikachu, famosa mascotte del mondo dei videogiochi e cartoni animati. Laddove in effetti, il suo appellativo è stato dimostrato provenire dalle due parole giapponesi pika (ピカ ; scintilla) e chū (チュー ; onomatopea indicante il verso del topo).
E nessun pika, pur trattandosi di un roditore, può essere paragonato in tutta coscienza all’abitante prototipico delle nostre campagne o indesiderato ospite delle case, essendo loro degli appartenenti a pieno titolo dell’ordine dei lagomorfi, lo stesso di cui fanno parte lepri e conigli, onnivori piuttosto che vegetariani e benché prolifici, difficilmente inclini ad improntare delle vere e proprie invasioni. Soprattutto nella loro doppia accezione d’oltreoceano, le due specie Ochotona princeps (o piccolo capo coniglio) e Ochotona collaris, il cui stile di vita altamente territoriale prevede una sostanziale segregazione delle coppie in età riproduttiva con le loro piccole famigliole, nelle rispettive zone del talus (cumulo di pietre) sul versante di una montagna o collina sufficientemente elevata. I pika in effetti, contrariamente ai succitati orecchie-lunghe dalla caratteristica coda a pom-pom, sono animali dalla vita sedentaria e particolarmente poco adattabili, per cui sopravvivere al di sopra di un’apparentemente ragionevole temperatura di 25 gradi risulta impossibile dopo soltanto poche ore, essendo stati identificati in funzione di questo come dei letterali “termometri del riscaldamento globale”. Ecco perché nella mappa distributiva del proprio areale, rispettivamente statunitense e canadese, i simpatici batuffoli di pelo si presentano come abitanti di vere e proprie isole/bioma, situate tra la cima degli alberi e le alture prive di sufficienti fonti di cibo vegetale. Di tutt’altra natura è invece la situazione di molte specie asiatiche, come i pika del Gansu, Ladak Nubra e delle steppe kazhake (Ochotona pusilla) a cui una temperatura ambientale più bassa permette di occupare direttamente le pianure, dove l’abbondanza gli consente una convivenza non del tutto dissimile da quella di suricati o cani della prateria. Un contesto in cui la capacità di farsi sentire dai propri simili, nel momento in cui dovesse avvicinarsi un possibile predatore, diventa sinonimo e principale ragione della propria stessa continuativa sopravvivenza…

La vista di un pika alle prese con la raccolta di cibo per l’inverno può ricordare una versione a terra del classico scoiattolo, benché la sua prassi operativa risulti essere decisamente più complessa e stratificata. Gli ochotonidi in effetti, a differenza dei loro cugini sulla cima degli alberi, non potranno fare affidamento su una conveniente riduzione del proprio metabolismo nel corso dei mesi freddi.

E sia chiaro che di questi ultimi, il pika ne conosce parecchi: il lupo, donnole, martore e altri mustelidi, falchi, gufi, aquile, avvoltoi, orsi asiatici e americani. Si potrebbe in effetti affermare che il suo ruolo, nella catena alimentare dei rispettivi habitat di appartenenza, sia quello di alimentare questi carnivori durante i più rigidi mesi invernali, proprio in funzione di una sua particolare nonché sfortunata caratteristica, la totale incapacità di andare in letargo. Il che ha dato origine, in un momento imprecisato della sua evoluzione, a una sofisticata prassi di procura sistematica del cibo, messa in atto verso il finire dell’estate e finalizzata essenzialmente alla messa in opera di un vero e proprio magazzino sotterraneo, scavato e/o ricavato accanto alla propria stessa tana, nel quale viene riposta un’ampia varietà di foglie, semi, rami commestibili e radici. Ma non prima di averli attentamente esposti al sole per un periodo sufficiente a garantirne la disidratazione, assicurandosi in questa maniera che possano resistere per un tempo sufficiente alla marcescenza. In caso di esaurimento anticipato delle proprie riserve, per un errore di calcolo o eventuali difficoltà incontrate nel periodo rilevante, il pika potrà ricorrere a soluzioni alimentari decisamente più estreme, come mangiare le proprie stesse feci dall’aspetto sferoidale, non troppo dissimili da quelle dei conigli e capaci di mantenere a lungo un effettivo quanto inaspettato valore nutrizionale per i ben poco schizzinosi lagomorfi. Mentre il canale inglese Discovery mostra, in un suo vecchio documentario, la casistica auspicabilmente rara di un esponente carnivoro-per-necessità della specie Ochotona princeps, che nel momento cruciale ha deciso di ricorrere alla diretta consumazione di carogne di uccello, trascinate opportunamente nella tana e divorate a partire dal delizioso piccolo cervello. Mentre per continuare la nostra comparazione di gruppi biologici quasi all’opposto, i pika eurasiatici sono soliti presentare un lato decisamente più amorevole nel confronto del mondo pennuto, arrivando ad ospitare nelle proprie stesse tane degli esemplari di fringuelli delle nevi (gen. MontifringillaPyrgilauda) con cui condividere gli spazi ottenendo un rispettivo vantaggio nel calore corporeo, condiviso durante il lungo e freddissimo inverno.
Per quanto concerne il metodo usato per riprodursi, nel frattempo, il comportamento esibito dai pika è tendenzialmente monogamo o poligeno (un maschio, più femmine) nelle specie territoriali degli ambienti montani, mentre nelle colonie delle pianure viene praticato un tipo di amore più libero determinato sulla base della disponibilità all’inizio della stagione degli accoppiamenti. Che può estendersi, a seconda delle regioni di appartenenza, tra una forcella di mesi situati tra marzo e luglio, durante i quali ciascun gruppo familiare produce una quantità relativamente bassa di cuccioli (massimo cinque) dopo un periodo di gestazione assai prossimo ai 30 giorni. Come ciò lascia intendere, dunque, la protezione della prole diventa importante, per un animale la cui strategia prevede un rateo di sopravvivenza elevato anche in funzione di una durata della vita relativamente estesa: tra i cinque e i sette anni, praticamente un’eternità, nell’ambito dei roditori selvatici di dimensioni medie.

Il raro ed elusivo ili pika (Ochotona iliensis) della montagna cinese di Tian Shan era stato dato per estinto dopo oltre 20 anni di mancati avvistamenti, finché nel 2014, per un caso fortuito, una piccola colonia non finì per stabilirsi in prossimità degli insediamenti umani. Le sue orecchie grandi e pelose lo fanno assomigliare ad un Ewok della serie cinematografica Star Wars.

Trattandosi di una serie di creature piuttosto eterogenee e anche distanti tra loro, la questione della conservazione dei pika è variabile a seconda delle specie prese in considerazione. Come sarebbe lecito aspettarsi per quanto concerne un simile abitante di montagne o pianure, nella maggior parte dei casi siamo di fronte a specie classificate come rischio minimo, grazie alla loro capacità di sfruttare al massimo la rispettiva nicchia ecologica di appartenenza. Esistono tuttavia quattro casi (pika argentato, pika di Hoffman, Ili e Kozlov) che hanno risentito duramente, attraverso le ultime generazioni, dell’inquinamento globale e la riduzione progressiva del proprio habitat, presentando ormai un numero variabilmente ridotto di esemplari ancora in grado di sopravvivere allo stato brado. Una preoccupante situazione per l’intera famiglia è inoltre quella del progressivo aumento del riscaldamento globale, a seguito del quale i territori in cui potranno sopravvivere e prosperare non potrà che subire una notevole riduzione, fino all’inevitabile scomparsa del piccolo guerriero dei climi freddi, a favore delle ben più adattabili, nonché silenziose lepri.
Ed allora, chi potrà ricordare ancora il suono di quell’arcano linguaggio, mai veramente studiato, il cui contenuto è rimasto un mistero per innumerevoli generazioni di convivenza umana? Quanto rimpiangeremo l’effettiva impossibilità, ormai del tutto irrimediabile, d’intavolare una conversazione con il più saggio abitante squittente d’innumerevoli buchette pelose? Che contrariamente al suo quasi omonimo nato dalla fantasia del disegnatore Satoshi Tajiri, può articolare frasi ben più complesse di quanto appaia il proprio stesso nome, ripetuto pressoché ad infinitum. Un classico caso di realtà che riesce, in qualche modo, a superare la fantasia.

I video che mostrano i pika di pianura con la loro particolare struttura sociale sono in effetti piuttosto rari online, forse per l’antonomasia assai diffusa che vedrebbe le specie asiatiche come direttamente assimilabili alle controparti stanunitensi. Niente potrebbe essere più lontano dalla realtà.

 

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