Basteranno due portaerei per fare della Cina una potenza dei mari?

A gennaio del 2017, il popolo di Taiwan andò incontro ad un brusco quanto inaspettato risveglio. Con le emittenti statali della nazione fondata dal militare Chiang Kai-shek nel 1949, come nuova capitale della sua gente e del suo partito in fuga dalla Cina comunista, che pronunciavano serie rassicurazioni in merito al fatto che i caccia F-16 forniti dagli americani erano pronti al decollo, ed ogni movimento sospetto da parte dell’imbarcazione da 43.000 tonnellate non autorizzata sarebbe stato interdetto con totale assenza di esitazioni o considerazioni diplomatiche di sorta. Un approccio per certi versi giustificato, quando ci si trova nel tratto di mare antistante la propria isola/città/paese la più potente nave mai posseduta da un governo ostile, che non ha mai riconosciuto la propria esistenza e probabilmente, ancora adesso, farebbe di tutto per annettere nuovamente quei territori che, a suo dire, gli erano stati sottratti con un abuso di potere. Immaginate la scena: per la prima volta nella storia contemporanea, uomini d’affari dai piani elevati dei loro svettanti grattacieli hanno guardato dalle ampie finestre, potendo osservare il ponte di volo adibito al lancio e recupero di 26 caccia Shenyang J-15, in realtà nient’altro che una rielaborazione costruita in Oriente del rinomato Su-33 russo. Ecco dunque, ancora una volta, il solito conflitto: tecnologia dell’ex-Blocco Occidentale contro la sua controparte Sovietica: dalla parte taiwanese stiamo parlando, dopo tutto di aerei risalenti agli anni ’70, ed anche per quanto concerneva i cinesi, pur parlando di una componente aeronautica tra le più recenti ad essere uscite dalle officine della Sukhoi (anno 1994) era il ponte di volo sotto le loro ruote, caratterizzato da una rampa ascendente a prua che ricorda quella per praticare il salto con gli sci, a vantare una storia ben più lunga ed articolata. L’incrociatore pesante porta-aeromobili Liaoning, per nulla dissimile dall’unica portaerei attualmente operativa della Federazione Russa, L’Ammiraglio Kuznetsov, è in effetti un concentrato di tecnologie appartenenti ad epoche differenti, a partire dal varo della prima esponente della sua classe nel 1985, per passare alla messa in opera dello scafo sin qui descritto, che era ancora in corso di costruzione presso il porto di Riga, in Ucraina nel 1991, quando improvvisamente, l’Unione Sovietica svanì dalle carte geografiche del pianeta.
Che cosa fare dunque, con una nave da guerra completa soltanto al 68%, commissionata da una sede del potere straniera ed utile, per sua stessa natura, solamente a una vera e propria superpotenza? L’unica risposta possibile, tutto considerato, era venderla e il governo della Crimea non tardò a percorrere una simile strada, coinvolgendo in un primo momento, Cina, India e la stessa Russia, tuttavia intenta da quel momento a risolvere dilemmi sociali ben più pressanti e significativi. Fu il governo del grande Drago d’Oriente ad esprimere invece, da subito, un più sincero grado d’interesse, sebbene la sua situazione diplomatica nel 1992 gli impedisse di compiere un passo così preoccupante per il suo contesto politico internazionale. La nave di nome Varyag rimase dunque abbandonata nel porto, deteriorandosi a causa degli elementi e con i soli motori preservati grazie ad un bagno d’olio, fino al 1998, quando il magnate dell’isola di Macao Chong Lot riuscì ad aggiudicarsela, per la cifra di occasione di soli 20 milioni di dollari, allo scopo di spendere 10 volte tanto per trasformarla in un esclusivo casinò galleggiante, un destino simile a quello già toccato alle portaerei russe Kiev e Minsk, trasformate dai cinesi in attrazioni turistiche a tema. Peccato che, nello specifico caso, i permessi necessari non fossero stati concessi da parte del governo, o almeno questa è la storia ufficiale che viene riportata dalle cronache della vicenda. Il destino della nave appare quindi poco chiaro, finché alle soglie dell’anno 2000 essa ricompare, stavolta di proprietà dell’imprenditore di Hong Kong Xu Zengping, che l’aveva acquistata per “un’iniziativa patriottica” allo scopo di farne dono alla Marina Militare Cinese (PLAN). Dando inizio ad una catena di eventi che sarebbe stata, per lui, estremamente dispendiosa. A partire dall’attraversamento dello stretto del Bosforo, quando la Turchia, come sua prerogativa di nazione indipendente, negò il passaggio alla portaerei disarmata, affermando che i venti avrebbero potuto farla rovesciare, bloccando in maniera semi-permanente il più importante svincolo per i commerci nella regione. La flotta di rimorchiatori che si stavano occupando della consegna, quindi, fu costretta a girare in senso antiorario nel Mar Nero per un periodo di 16 mesi con un costo giornaliero di 8.500 dollari al giorno, finché una serie di concessioni turistiche offerte al governo turco, finalmente, riuscì a far sollevare il divieto. Successivamente, il viaggio continuò ad essere problematico, quando la categorica norma che impedisce alle navi prive di propulsione propria di attraversare il canale di Suez portò questa vera e propria arca della discordia fino allo stretto di Gibilterra, il Capo di Buona Speranza e infine gli stretti di Malacca fino al porto di Dalian, per un viaggio di 28.000 Km che non veniva effettuato dai tempi dei commerci nell’epoca rinascimentale. È stato quindi in seguito rivelato che al termine di quest’Odissea, non prima di febbraio del 2002, il solo spostamento della nave adesso rinominata Liaoning era costato a Xu Zengping all’incirca ulteriori 120 milioni di dollari. Che a quanto costui ha dichiarato in un’intervista nel 2015, sta aspettando ancora di vedersi rimborsati in maniera soddisfacente dal suo paese…

Il varo della Tipo 001A, effettuato il 26 aprile, ha costituito un’occasione di festa nazionale con ampia copertura da parte dei media. L’alto scafo ascendente della nave, costruita sulla base del progetto Kuznetsov, appariva particolarmente aggraziata, ricoperta di bandiere e festoni, in prevalenza dell’imprescindibile colore rosso.

La nave fu quindi restaurata a piene condizioni operative e la sua modernizzazione venne conclusa nel 2011, allo scopo di farne un vascello di addestramento per le nuove dottrine operative della PLAN. Pur non essendo mai stata preparata ufficialmente alla guerra, essa doveva inoltre assolvere ad un secondo e decisamente più importante obiettivo: completare una crociera “di prova” attraverso i territori oggetto di contenziosi nel Mar Meridionale Cinese, incutendo un sufficiente grado d’inquietudine nei confronti di paesi come l’Indonesia, la Corea del Sud, il Giappone… Ciò detto, è senz’altro palese che la situazione oggi sia sostanzialmente diversa. Con una Cina sempre più incline ad ampliare il proprio budget militare (benché ancor lontana dagli estremi statunitensi) e determinata a disporre di tre branche delle Forze Armate (Esercito, Aviazione, Marina) in grado di competere ad armi pari nei diversi scenari bellici e con qualsiasi potenziale nemico futuro. Il che significa, allo stato dei fatti, dimostrarsi in grado di combinare adeguatamente il secondo e terzo di tali elementi. Dovete considerare, a tal proposito, come le appartenenti alla classe Kuznetsov e quindi anche la nave Liaoning non siano affatto portaerei a propulsione nucleare, ovvero capaci di costituire un vero e proprio pezzo di territorio nazionale in grado di spostarsi liberamente lungo le acque azzurro profondo del globo. Bensì vascelli dotati di normali turbine a vapore, utili solamente per garantire un’operatività nel loro territorio di appartenenza. In altri termini, si tratta di armi di difesa, concettualmente inadatte a portare un ipotetico conflitto in territorio nemico.
Come superare una simile limitazione fu una ricerca intrapresa a partire già da quel lontano momento imprecisato degli anni ’90, in cui Xu Zengping aveva acquistato la portaerei ed inviato via terra verso Pechino, per precauzione in anticipo, 40 tonnellate di piani e schemi relativi al progetto della poderosa imbarcazione. I cinesi avrebbero fatto ciò che gli riesce meglio: copiare, migliorandola, la tecnologia proveniente da un paese straniero. Così oggi, benché siamo ancora ben lontani dall’effettiva realizzazione della prima portaerei a propulsione nucleare cinese, possiamo osservare il primo importante frutto di una simile iniziativa: il suo nome è Tipo 001A, o se vogliamo dare spazio alle voci di corridoio, (dovrebbe/potrebbe) essere Shandong, come la provincia antistante a quella dove si trova il porto di Dalian (sito a sua volta in “Liaoning”). La nuova nave, per quanto ci è stato dato di comprendere, dovrebbe rimanere piuttosto vicina alle cognizioni basilari delle Kuznetsov, meno alcuni importanti accorgimenti progettuali. Tra cui una riduzione dello spazio dedicato all’isola di comando (benché i controlli a disposizione dell’equipaggio restino identici al di sopra di una percentuale del 90%) e la rimozione di due CIWS (cannoni antiaerei) poppieri, incrementando sensibilmente lo spazio a disposizione per far manovrare gli aerei. La nave è inoltre più lunga di circa 15 metri, una modifica che ha fatto aumentare il suo peso complessivo a 55.000 tonnellate. Cambiamenti più significativi sarebbero nel frattempo stati apportati agli alloggi e le aree ricreative, creando quella che viene definita una nave maggiormente “a misura umana” a maggiore garanzia di un’efficienza continuativa durante ipotetiche operazioni di lunga durata. Pur non conoscendo per ovvie ragioni le specifiche, possiamo inoltre presumere che l’intero comparto e elettronico e gestionale sia dotato delle più recenti soluzioni disponibili sul mercato. Ma il vantaggio principale, rispetto alla Liaoning, resta solo e soltanto quello: la capacità di portare un maggior numero di aerei. Un numero stimato tra i 38 e i 40, per la precisione. Abbastanza da far aumentare esponenzialmente lo sconforto di chiunque rivendichi territori nel Mar Cinese Meridionale.

I rendering rilasciati a scopo propagandistico della Shandong sembrano voler evidenziare una sorta di capacità modulare, ipoteticamente capace di rendere la nave più adattabile a diversi scenari bellici futuri. Ma simili considerazioni non possono che assumere il carattere di semplici congetture…

Terminato di affermare che cosa la Tipo 001A rappresenta, vediamo quindi di descrivere quello che necessariamente NON è: ancora dotata di propulsione convenzionale, essa rappresenta in effetti null’altro che l’ennesima iterazione del concetto di “incrociatore portaeromobili” messo in opera dai sovietici, inizialmente, col solo scopo di aggirare la convezione di Montreux, che avrebbe permesso ai Turchi d’interdire il passaggio nel Bosforo a qualsivoglia vera e propria portaerei. Essa inoltre non è dotata di alcun sistema di lancio del tipo CATOBAR, ovvero catapulte, a vapore o elettromagnetiche, capace di consentire il sollevamento in volo di aeromobili più pesanti del J-15, come i nuovi cacciabombardieri stealth J-20 e J-31. Un qualcosa che dovrebbe arrivare, secondo il programma nazionale, con la terza portaerei attualmente in costruzione, denominata in via preventiva Tipo 002. Per acquisire la mobilità migliorata e l’autonomia pressoché illimitata delle portaerei nucleari statunitensi, occorrerà invece attendere almeno il 2025, anno previsto per il varo della Tipo 003, destinata nell’idea dei suoi costruttori a diventare la nave militare non-americana più grande al mondo. Ed è allora altamente probabile che la città di Taipei, e con essa buona parte dell’Estremo Oriente, possa andare incontro ad un vero, ancor più giustificato, pessimo risveglio.
Cosa è destinato a succedere, nei prossimi vent’anni, nel contesto geopolitico più volatile al mondo? Quali armi inusitate troveranno ragione di essere schierate, dall’uno o dall’altro paese, nel tentativo di ripristinare una posizione di assoluto predominio che al giorno d’oggi, nei fatti, nessuno può affermare o pretendere di possedere? Torneremo forse all’epoca dell’imperialismo pre-bellico, con scontri su più fronti senza esclusione di colpi? O sarà semplicemente, guerra termonucleare totale? In entrambi i terribili casi, una cosa è certa: le portaerei avranno sempre un ruolo di primo piano nel reagire per tempo alle mosse degli avversari. E in questo amibto, la Cina non ha certo intenzione di mangiare la polvere altrui.

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