Strane macchine da guerra: l’ultimo sogno corazzato dello zar Nicola II

Verso la fine dell’epoca medievale, la sempre maggiore diffusione dei cannoni, la polvere da sparo e le strategie rilevanti, cambiò i rapporti di favore tra chi si trova in attacco e coloro che invece, quella particolare posizione, erano costretti a difenderla fino all’ultimo respiro. Segue così un lungo periodo della storia bellica umana, durato fino all’inizio del ‘900, in cui non importa quanto fossero alte le tue mura o spesso il portone di quercia di quel castello, da qualche parte, là fuori, c’era una bombarda abbastanza grande da ricavare nuovi possibili ingressi per le truppe avversarie. Ed anche sul campo di battaglia, eserciti come quello di Napoleone, scoprirono che non c’era nulla, in una solida formazione adeguatamente addestrata, che compromettesse la capacità di far fuoco, ricaricare, far fuoco di nuovo e giocarsela in base al morale e la mira. Tutto questo, finché qualcuno non inventò la mitragliatrice. E qualcun altro, che non aveva quel giorno alcunché da fare, pensò invece di attorcigliare un’estrusione metallica, creando il primo rotolo di filo spinato. Fu allora, sostanzialmente, che la guerra andò incontro ad un punto di svolta rivoluzionario. Chiunque avanzasse, a partire da quel momento, verso una posizione adeguatamente fornita d’implementi difensivi, avrebbe fatto meglio a disporre di truppe almeno 5 o 6 volte superiori a quelle del nemico. E ad essere disposto a perderne, per lo meno, la metà. Alle prime avvisaglie della grande guerra nel 1914, le  truppe russe impegnate sul fronte prussiano si trovarono ben presto di fronte alle implicazioni di un simile dilemma. Mentre i loro capi politici  tardavano nel reclutare nuovi paesi all’interno della triplice intesa, il fronte della Galizia si ritrovò ben presto tracciato della linea invalicabile di un susseguirsi di profonde trincee. Tra il 26 e il 30 agosto, un nutrito distaccamento di 192.000 uomini e 624 cannoni tentò di avanzare a Tannenberg, lo stesso luogo in cui, tanti anni prima, un’alleanza di lituani, polacchi e russi avevano sconfitto l’Ordine dei Cavalieri Teutonici nel 1410. Ma la difficoltà di avanzare sul terreno paludoso, unita al posizionamento strategico delle bocche da fuoco tedesche in corrispondenza dei guadi e le strade, bastarono a compiere una letterale strage tra le truppe del corpo di spedizione: 50.000 morti e feriti, più 90.000 presi prigionieri. Apparve del resto evidente, che qualsiasi iniziativa simile da parte della controparte sarebbe andata incontro ad un destino altrettanto disastroso (non che le invasioni del paese più grande del mondo, in tutta la storia passata e futura a partire da quel momento, abbiano avuto maggiori fortune).
Fu in questo scenario, secondo la leggenda, che il misterioso ingegnere Nikolai Lebedenko chiamò nel suo ufficio privato a Mosca Aleksandr Aleksandrovič Mikulin, suo nipote e capo del Dipartimento Aeronautico Nazionale, per porre la fatidica domanda: “Ti interesserebbe lavorare ad un mio nuovo progetto? La macchina che costruiremo permetterà di irrompere oltre il fronte tedesco nel giro di una singola notte, e la Russia vincerà la guerra.” L’altro guardò perplesso sul tavolo del suo superiore, dove si trovava un grammofono parzialmente smontato. Piccole ruote di bicicletta, assieme a un’intelaiatura di legno a forma di Y, giacevano disordinatamente negli angoli più lontani della stanza. Scacciando dalla mente i suoi ragionevoli dubbi, alzò lievemente le sopracciglia mentre, istintivamente, lasciò trapelare un cauto segno di affermazione. Segue una settimana o due di lavoro febbrile, mentre i due, coinvolgendo altre due figure di rilievo nel panorama ingegneristico dell’epoca Nikolaj Egorovič Žukovskij e Boris Sergeevič Stečkin, lavorano alla costruzione di un magnifico modellino in scala. L’oggetto, fatto funzionare grazie al motorino meccanico dell’apparato da ascolto musicale per eccellenza degli inizi del ‘900, fu costruito senza badare a spese, in considerazione di chi avrebbe dovuto riceverlo in regalo: niente meno che il supremo capo di stato, per grazia di Dio, l’ultimo degli zar dei Romanonv, Nicola il pacifico. O così si diceva. Narra nei fatti il racconto che, facendo il loro ingresso nella sala ricevimenti del piccolo palazzo di Alessandro a San Pietroburgo, gli ingegneri trovarono il sovrano in un momento di relax con la sua famiglia, la consorte Alice d’Assia, le sue quattro figlie, Olga, Tatiana, Maria, Anastasia e il figlio Aksej, l’ultimogenito dallo stato di salute notoriamente cagionevole (il bambino era affetto dalla malattia, allora incurabile, dell’emofilia). Il quale, rendendo palese il suo chiaro interesse, non esitò a paragonare quello che dovette sembrargli un magnifico giocattolo ad un pipistrello, dato il modo in cui lo stesso Lebedenko lo teneva per la parte posteriore, in corrispondenza della quale si trovava la più piccola delle tre ruote, in realtà più simile a un rullo. Questo naturale interesse verso lo strano veicolo lasciò quindi gradualmente il posto ad un vero e proprio entusiasmo, mentre lui e le bambine si diedero il cambio nel tentare di bloccarne l’avanzata, su invito dello stesso inventore, ponendogli di fronte libri sempre più grandi e ponderosi. “Vedete, mio stimatissimo sovrano, come nulla riesca a fermare il carro armato che porterà il vostro nome? Immaginate questo stesso oggetto, armato fino ai denti e costruito con una lunghezza di 17 metri per un’altezza di 9. Persino le più profonde trincee tedesche non potranno far null’altro che cedere dinnanzi al suo potere d’assalto.” Fu allora che lo zar, notoriamente influenzabile dalle figure carismatiche, come nel caso del suo mistico e consigliere Rasputin, accettò di offrire il suo supporto. Cos’erano del resto, 200.000 miseri rubli prelevati dalla sua riserva personale, dinnanzi all’opportunità di mutare il corso stesso della storia?

Il più grande carro armato mai costruito (ma non il più pesante, primato che spetta al Maus tedesco della seconda guerra mondiale) non sarebbe mai stato usato in battaglia. Ciononostante, la sua sagoma ultramondana compare in una grande quantità di videogiochi ambientati nel corso della prima guerra mondiale ed oltre.

Lo Tsar Tank, o carro Netopyri (dal nome di una specifica specie di pipistrelli) rappresenta uno degli esempi più vecchi e celebri del concetto di super-arma, uno strumento in grado d’influenzare, con soli pochi esemplari costruiti, l’andamento stesso di un difficile fronte di battaglia. Nell’esperienza dei suoi contemporanei, esso avrebbe richiamato alla mente probabilmente i minacciosi tripodi nel romanzo del 1897 di H. G. Wells, la Guerra dei Mondi. Veicoli fuori dal contesto, così inumanamente possenti, da rendere inutile qualsiasi tipo di resistenza. La necessità del carro armato, un veicolo in grado di avanzare sotto il fuoco nemico delle mitragliatrici, era ormai un assunto da parte di svariate nazioni europee, e la stessa Russia aveva lavorata a partire dal 1914 al progetto Vezdekhod (veicolo per tutti i terreni) un autoblindo, mai giunto oltre la fase di prototipo, che avrebbe potuto spostarsi alla velocità di circa 30 Km/h e montare varie tipologie di armi.
Il problema, tuttavia, rimaneva sempre lo stesso: che cosa sarebbe successo quando simili mezzi fossero giunti, al termine dell’avanzata oltre la proverbiale terra di nessuno, fino al solco della trincea nemica? Gli sarebbe stato possibile proseguire oltre? Nel tentativo di rispondere a una simile domanda, Lebedenko aveva dotato la sua creazione più famosa di una coppia di ruote gigantesche a 120 raggi, la cui solidità sarebbe stata assicurata, nella sua idea, dalle dimensioni, oltre al fuoco costante di sbarramento delle due mitragliatrici laterali, montate su altrettante gondole sporgenti, di cui sarebbe stata dotata la macchina da guerra. La sua dotazione principale avrebbe quindi incluso il cannone sulla torretta da 150 mm, oltre a svariate armi di piccolo calibro fatte sporgere dalle feritoie in vari punti dello scafo. Il tutto protetto da una corazza di 10 mm di spessore, più che sufficiente a fermare il fuoco delle principali armi della coéve.  Il peso di un simile apparato, come potete facilmente immaginare, era significativo: almeno 60 tonnellate al momento dell’assemblaggio, che sarebbe avvenuto in prossimità del fronte di battaglia, dopo un più rapido trasporto via treno. Per spostare l’inusitato titano, quindi Mikulin, che era un esperto di motori a pistoni, pensò di fornire il carro armato di due propulsori di produzione inglese Maybach da 240 cavalli ciascuno, prelevati direttamente da un dirigibile tedesco catturato sul territorio, molto più potenti di quelli montati da qualsiasi altro mezzo corazzato costruito fino a quel momento. Questi ultimi, quindi, avrebbero fatto funzionare due comuni ruote d’automobile, poste a contatto con i grandi cerchi ciclistici grazie all’impiego di molle di tipo ferroviario. Il rullo posteriore invece, composto a sua volta da tre ruote più piccole, non sarebbe stato dotato di forza motrice. Nonostante le molte problematiche tecniche, ad ogni modo, lo Tsar Tank appariva come un’idea solida, o quanto meno funzionante: la velocità massima, in condizioni ideali, avrebbe raggiunto i rispettabili 17 Km/h. Con l’autorizzazione del sovrano, dunque, i lavori procedettero rapidamente ed  entro la primavera del 1915 gli stabilimenti di Khamovniki sfornarono un prototipo pienamente funzionante. Una commissione composta da importanti funzionari e capi di stato maggiore fu quindi riunita presso la stazione di Orudievo, presso un deposito bellico e nei dintorni di una foresta di betulle.

Questa ricostruzione 1:1 dell’incredibile veicolo si trova presso il museo militare del villaggio di Sholokhovo. Il “piccolo” veicolo che potete scorgere dietro il suo scafo centrale è un carro armato T-34 da 30,9 tonnellate.

La dimostrazione apparve, fin da subito, alquanto ricca d’imprevisti. Il veicolo, molto più pesante di quanto era stato calcolato, sprofondò in maniera significativa nel terreno soffice sottostante. Il pilota principale quindi, dovendo aumentare la potenza nel tentativo di restare in movimento, si trovò in grande difficoltà nel tentativo di mantenere il controllo, abbattendo ben presto un vecchio e sfortunato albero che si trovava lì vicino. Quindi, procedendo nella sua marcia della rovina, finì per impattare un edificio in legno, frantumandone letteralmente le mura ed il tetto, prima di finire pericolosamente in prossimità di un laghetto al di là di una siepe. Il problema principale del Netopyri in effetti, rispetto a qualunque altro carro armato nella storia umana, risiedeva nella stessa soluzione delle ruote giganti, le quali limitavano il punto di contatto con il terreno in maniera assai significativa rispetto ai cingoli. Il bilanciamento del peso inoltre, tutto raccolto nella parte anteriore, non aiutava affatto. Ben presto il poderoso carro armato fece gli ultimi metri della sua fulminante carriera, finendo per impantanarsi con il rullo posteriore in un piccolo specchio d’acqua. E nonostante i molti tentativi di tirarlo fuori, apparve chiaro che non soltanto la dimostrazione era fallita, ma il suo stesso protagonista non si sarebbe mai più spostato di lì.
Si tornò freneticamente alla fase di progettazione, presentando allo zar una versione riveduta e corretta, in cui motori ancora più potenti avrebbero impedito il ripetersi di simili disastri. Ma i capi di stato maggiore, che ormai godevano di un’influenza sempre più significativa, espressero i loro dubbi sostanzialmente irrisolvibili: che cosa avrebbe garantito che una macchina così costosa, investendo quantità di denaro ancor più grandi, sarebbe riuscita in ultima analisi a funzionare? Che cosa l’avrebbe protetta dal fuoco dell’artiglieria nemica? Si era nel frattempo giunti al 1917, quando la rivoluzione di febbraio, a seguito dell’elezione di un comitato speciale da parte della Duma pose fine alla dinastia dei Romanov e diede inizio alla serie di eventi che, nel giro di pochi mesi, avrebbe portato all’esecuzione dell’intera famiglia dello zar ad opera dei bolscevichi. Mentre l’intero sistema di valori di un lungo periodo della storia umana, dunque, crollava tragicamente al suono rimbombante dei fucili, il maestoso carro armato rimase abbandonato presso la foresta di Orudievo fino al 1922, a silente memoria di tutto quello che avrebbe potuto essere, se soltanto gli eventi avessero preso una piega diversa. Ma già nuovi e più efficienti veicoli, in quegli anni, avevano preso il controllo dei campi di battaglia, a partire dal progetto britannico del romboidale Mark I. Mentre mezzi più leggeri e flessibili, come il piccolo (6,6 tonnellate) Renault FT dotato di una singola torretta girevole, segnavano il passo di quello che sarebbe stato il futuro stesso di simili macchine da guerra. Il ferro incandescente continuava la sua folle corsa verso le postazioni fortificate del nemico di turno. Il sangue dei vinti  scorreva copioso, indifferente all’ingegno e le più strane macchinazioni della litigiosa compagine umana.

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