Dopo aver raggiunto l’isola coi suoi genitori, che ben presto si erano diretti verso i luoghi d’intrattenimento da loro preferiti, si era ritrovato per lo più solo. Una situazione tutt’altro che ignota per uno che proveniva dal suo ambiente, dove il raggiungimento della “maggiore” età (6 anni) non era altro che una mera formalità, oltre la quale l’avrebbe atteso soltanto una vita di duri e significativi impegni: prendere il sole sulle spiagge dell’Antartide, difendere dagli altri maschi il territorio di accoppiamento, guadagnarsi la fiducia di un harem e immergersi nelle acque dell’Oceano Atlantico, fino alla profondità 2.000 metri, alla ricerca di guizzanti scampoli di cibo. Il più grande appartenente all’ordine dei carnivori! Il più forte dei pinnipedi! In grado d’immagazzinare nel suo organismo ossigeno sufficiente per fino a due ore di esplorazioni sottomarine. E adesso era lì, tra i fondali rocciosi, e in qualche maniera gli era difficile di stare provando un certo grado di noia. Agitando di qua e di là le dieci dita palmate che tutte assieme costituiscono la sua pinna posteriore, il giovane mammifero del peso appena di un paio di quintali (una volta adulto, avrebbe raggiunto anche le tre tonnellate) fece uscire la sommità della testa dalle gelide acque, subito seguìta dal più impressionante paio di occhi neri, simili a mirtilli della dimensione di una mela. Quindi, sorprendendo se stesso, si ritrovò a spalancare la capiente bocca di colore rosa: questo perché davanti a lui, campeggiava in piena evidenza una coppia di alieni! La pelle rossa tranne che per la sommità del capo, rosa in parte e per il resto nera. Anzi no: a uno sguardo più attento, le due entità sembravano ricoperte da una sorta di strato protettivo, come il pelo nel momento immediatamente successivo al periodo di muta. Il cucciolo di foca non sapeva spiegare la sua sensazione, ma in qualche maniera aveva compreso di trovarsi a due femmine, d’indole marcatamente amichevole. Questo fece scattare in lui una particolare linea di pensieri: “Strane persone non sono cattive. Loro non hanno figli che le accompagnano. Loro può fare me compagnia!” (Sintassi, grammatica, ortografia…?) Quindi molto lentamente, per non spaventarle, fece rotolare la sua massa già poderosa dalle ruvide circostanze del bagnasciuga. Lui non poteva infatti saperlo, non essendo evidentemente andato a scuola, ma questa era l’isola di Petermann, un luogo al largo della sinuosa piattaforma di ghiaccio Larsen, dal quale un essere sovrumano avrebbe quasi potuto scorgere la punta inferiore della Terra del Fuoco cilena. Ambiente in cui la sua particolare genìa, di alcuni degli animali più impressionanti di tutti e 7 i mari ed oltre, era in realtà un’occorrenza piuttosto rara. Assai più, in effetti, di quella dei semplici turisti umani, qui attratti ogni estate dalla presenza su queste terre dalla presenza un santuario per gli uccelli migratori rari, oltre a un’intera colonia di pinguini gentoo (Pygoscelis papua).
Così come lui, piuttosto amichevole ma cionondimeno smarrito e perplesso, si era trovato dinnanzi effettivamente a persone che mai, quel giorno, si sarebbero sognate di fare una tale esperienza. In simili situazioni, da che mondo è mondo, dev’essere sempre l’animale a fare il primo passo. O come nel presente caso, l’ultimo balzello. Valido a far emergere la vera e propria supposta vivente dall’acqua, iniziando il laborioso spostamento sulla poco scorrevole terra ferma. Fu allora che il cucciolo, con sua somma sorpresa, percepì qualcosa di totalmente inaspettato. Sempre più basito, fece aprire del tutto le sue narici più volte, in grado di flettersi durante le immersioni in profondità, e sentì un’odore indefinibile. La cui provenienza sembrava essere, misteriosamente, quella dei “sassi morbidi” che le due entità si erano trascinate dietro, qualcosa che i suoi genitori sarebbero forse riusciti a riconoscere come delle borse. Affini alle reti da pesca che talvolta incontravano, e da cui erano soliti sottrarre una certa quantità di pesce. “Cibo, uhmm, cibo.” Pensò tuttavia lui, mentre d’un tratto, la distanza pareva accorciarsi esponenzialmente. E poi d’un tratto, era lì. Aprendo di nuovo la bocca per annunciare la sua presenza, emise un breve suono acuto. “Le loro facce, così piccole. Non hanno peli.” Muovendosi con cautela, si avvicinò il più possibile, fino al punto di sentire il calore del loro corpo. O almeno, provarci. La loro scorza esterna era fredda come il ghiaccio! Che delusione. Infilando il suo muso tra le borse, quindi, continuò ad annusare…
L’innata grazia insita nei cuccioli di foca è una delle colonne che sorreggono lo stesso interesse generalista nei confronti della natura. Spesso usata come esempio, per la vecchia spietata abitudine di dargli la caccia a bastonate. Ma difficilmente il nostro amico, appartenente alla massiccia specie Mirounga leonina (elefante marino meridionale) potrebbe servire a ricavare col suo pelo corto e ispido capi di vestiario particolarmente attraenti. Il che forse, è proprio la ragione per cui simili animali non sono più, al giorno d’oggi, effettivamente a rischio di estinzione. Benché nel XVIII e XIX secolo ne sia stata fatta una caccia spietata, soprattutto per la loro carne e le quantità copiose di grasso utile per gli usi più svariati. Quanti animali, soprattutto marini, sono periti per il bisogno dell’uomo vittoriano di leggersi un libro la sera! Se soltanto quest’ultimo, impaziente individuo, avesse aspettato l’invenzione della corrente elettrica per proporsi di riuscire a farlo… Ad ogni modo, oggi viviamo in un mondo in cui la foca elefante non deve più temere l’assalto dei più crudeli abitanti di questo pianeta. Ma piuttosto vi si avvicina con entusiasmo, sperando, ogni volta, di aver trovato un amico. Il fenomeno di questi cuccioli che tendono a interfacciarsi coi loro visitatori bipedi non è mai stato formalmente studiato. Benché si possa, intuitivamente, considerarlo come una derivazione dell’atteggiamento noto con il termine di hauling-out. Associato a tutti i pinnipedi, incluse le ben più piccole foche “normali” o la via di mezzo in termini di stazza degli zannuti trichechi, che consiste nel ricercare un luogo da cui emergere dall’acqua per distendersi al sole e recuperare le energie, tra una battuta di pesca e l’altra. Ma il punto cruciale dell’intera faccenda è che contrariamente alle volte in cui simili animali si radunano per le loro attività di accoppiamento, presso alcune località chiaramente iscritte nella loro memoria chiamate dagli studiosi rookeries, lo hauling-out può verificarsi pressoché ovunque. Persino durante una spedizione esplorativa in cerca di nuovi territori di caccia, lontano dalle terre isolane che gli hanno dato i natali. E vicino, guarda caso, ai punti di approdo delle imbarcazioni turistiche provenienti da chissà dove.
Queste fortuite circostanze tuttavia, sembrano verificarsi più raramente nel caso della Mirounga angustirostris (elefante marino settentrionale) che si trova diffuso sull’intera costa occidentale del Nord America, dal Canada fino alla penisola della Baja California. Animale che, pur trovandosi in territori più a stretto contatto con noi altri, o forse proprio per questo, sembra diffidare della mano e della presenza della pericolosissima scimmia senza peli. Mentre le rare volte in cui si verifica un contatto, il più delle volte, questo finisce per generare non pochi problemi per entrambe le parte coinvolte.
Di certo è facile adorare la creatura nella sua forma più piccola (ehm..) e graziosa, per quanto diventi difficile immaginare, anche soltanto lontanamente, di avvicinarsi e fare una carezza alla sua versione adulta. Gli elefanti marini maschio adulti (grossi fino a tre volte le femmine) sono in effetti degli esseri alquanto terrificanti, dalla rapidità negli spostamenti decisamente superiore alle aspettative. Che nascondono, sotto la proboscide carnosa usata per far ricircolare l’umidità dell’aria durante i lunghi periodi di digiuno, una coppia di denti acuminati il cui utilizzo potrebbe essere paragonato a quello dell’ippopotamo africano. È in effetti possibile pensare che se non si hanno notizie di ferimenti o vittime anno per anno d’incontri al vertice particolarmente sfortunati, questo sia per lo più dovuto ai territori remoti abitati da una gran quantità di simili foche. E la maniera in cui la gente, molto saggiamente, sa che gli conviene mantenere le distanze.
A meno che non si tratti… Dell’insistente esemplare giovane, alla ricerca di un piacevole attimo d’affetto da parte di un paio di assolute sconosciute. Le quali, nel caso del video di apertura, non si può negare che abbiano mantenuto una notevole dose di self-control. Quanti di noi, al verificarsi di un tale frangente, avrebbero fatto a meno di accarezzare la simpatica bestiola? Quanti si sarebbero astenuti dall’offrirgli un intero sacchetto di patatine? Il punto di forza dei pinnipedi, nel contesto empatico, è la loro grande faccia, relativamente piatta ed espressiva. Così simile a quella di alcune razze di cani particolarmente amate. L’unico ostacolo all’adozione in famiglia, dunque, è che poi crescono. E poi crescono ancora…