I fiori sono fuori, eccoti una palla d’origami

Kusudama

Ci sono innumerevoli modi, da un’estremità all’altra dell’umana civilizzazione, per comunicare un senso di profonda gratitudine. Baci, abbracci, schiere di regali. A volte basta un gesto, purché sia molto significativo. Qualche altra, invece, occorre rinunciare a qualche cosa. Dimostrare con l’impegno e la giusta dose di abnegazione che si, le cose materiali contano davvero. Ma lui/lei/l’animale, per te, vale quanto il palazzo dell’Imperatore. Pure se tu quest’ultimo, non sai nemmeno immaginartelo!
C’era un tempo un giovane di nome Karoku, che viveva con sua madre in una piccola capanna, in mezzo alle montagne del Chūbu, in bilico tra il Kantō ed il Kansai. I due tiravano a campare faticosamente, ma lavorando in modo onesto. Raccoglievano il carbone da miniere improvvisate, tra le rocce affioranti della cordigliera. Un giorno, risparmiati un po’ di soldi, la donna chiamò a se suo figlio, e disse: “Figlio, recati al villaggio. Con queste sei monete, comprami un tatami“. Faceva freddo ma naturalmente, poiché era un giovane gentile & rispettoso, lui assentì. Indossato il cappotto di paglia ed uscito di casa, camminò a lungo sul sentiero accidentato. Tra gli alberi piegati dalla neve, in mezzo al sibilo del vento. Quando a un tratto vide qualche cosa di tremendamente inaspettato lì, fra le fronde in mezzo all’ombra. Una splendida tsuruka o gru della Manciuria, l’uccello dalla testa rossa, le lunghe zampe, il collo nero e le ali bianche; bloccata, senza un grammo di speranza, nella trappola di un cacciatore. Così pianse disperato, finché non ebbe la sua idea migliore. Karoku, infatti, conosceva il proprietario della trappola. Un uomo burbero, ma giusto, e un vecchio amico di famiglia. Recatosi presso l’abitazione di quest’ultimo, gli chiese di liberare quel magnifico animale. “Perché mai dovrei farlo, piccoletto? Quella bestia l’ho catturata e adesso è mia. Hur, hur, hur…” Signore, disse lui. Prendi queste tre monete e libera la gru. Fu così che il potere del denaro, ancora una volta, si dimostrò determinante. La gru fu libera e felice, volò via. Ma giunto presso il villaggio, Karoku non poté comprare il tatami per la madre, che dovette accontentarsi invece di una ciotola di riso. Nonostante questo lei capì, perché suo figlio, l’aveva tirato su bene. E l’amore per la natura è cosa giusta, in ogni paese del creato.
Passarono i giorni, fra dure picconate e scomode notti, sopra letti ormai del tutto consumati. Finché una sera… Karoku era sul portico della capanna, a guardare lo splendore della Luna. E con sua sorpresa, quella illuminò una splendida fanciulla! Camminava sul sentiero, tra la neve, sorridendo. Lentamente, giunse fino a lui e gli chiese: “Sono molto stanca, posso passare la notte qui con voi?” Dopo un attimo di smarrimento e superato il senso di vergogna per la sua umile dimora, lui accettò. Passò una notte silenziosa. Una mattina di lavoro. Un pomeriggio di piacevoli conversazioni. Lui, stranamente, quella ragazza sembrava già conoscerla da un’intera vita. Quindi a cena, all’improvviso, lei esclamò: “Signora, vorrei sposare vostro figlio!” Ciò colse, naturalmente, tutti quanti di sorpresa. Chi era questa donna, da dove proveniva? Perché voleva unirsi a una famiglia tanto derelitta? Ma Karoku, che già sapeva tutto il necessario, fu subito d’accordo e disse: ordunque, si. Saremo marito e moglie (a quei tempi, a quanto pare, bastava l’intenzione).

Passò un mese intero. Nella seconda fase della storia, convenzionalmente, la madre passa in secondo piano. Mentre si parla a lungo della vita famigliare dei due giovani, così amorevoli l’un l’altro, tanto allegri e spensierati. E di una strana ed improvvisa situazione. Lei che dice, a un tratto, come colta da un fulmine: “Adesso, voglio tessere una stoffa. Mi chiuderò nello stanzino. Qualunque cosa accada, tu non aprire quella porta, non entrare a nessun costo!” Che poteva fare, lui? Annuì perplesso, guidato dall’amore. Per tre giorni e per tre notti, la moglie restò chiusa nella stanza. Quando stava per cedere ed andare a chiamarla, lei emerse all’improvviso, con in mano una splendida coperta bianca e morbida, perfetta. Era liscia come la seta e mirabile allo sguardo. Lei disse: “Portala al villaggio, vendila. Vedrai che ti andrà bene!” Karoku, sempre pronto ad osservare astruse direttive dei suoi conviventi, prese quella cosa e scese giù dalla montagna.

Kusudama 4
Fiore tondo, tondo come il mondo

Dapprima ci rimase male, perché nessuno dei negozianti, dinnanzi a un simile splendore di stoffa, sapeva dargli un prezzo. Finché uno particolarmente onesto, non esclamò: “Questa cosa eccezionale è degna del signore di Gifu! Quindi vai al castello ed offrila a lui. Vedrai quanto la pagherà”. E Karoku andò al castello. In qualche modo, superò le guardie. E il signore guardò la stoffa e subito, colpito dal suo candido splendore, la pagò 2.000 ryo. Una cifra inusitata.
Quella sera, dunque, la famiglia festeggiò. Per qualche tempo, marito, moglie e madre fecero la bella vita, finché la miracolosa tessitrice, di sua spontanea iniziativa, non decise che era tempo di rinchiudersi di nuovo. Di tessere un’altra preziosa coperta, dentro allo stanzino, tanto per continuare a mangiare riso e bevere saké. Passarono due notti. Tre, quattro. Preoccupato, il giovane iniziava a chiedersi se la moglie avesse bisogno di aiuto. Così, nel mezzo della quinta notte, socchiuse leggermente la porta. Per vedere, in quello spazio stretto, non la donna che aveva sposato! Ma l’uccello splendido, che in un giorno di primavera, spontaneamente, liberò.
La gru lancia un grido, si rivolge dall’altra parte. È subito chiaro, quello che stava facendo: usando le sue stesse penne, strappate una ad una, aveva intessuto quella prima stoffa candida e meravigliosa. E adesso, lavorando alla seconda, le aveva praticamente esaurite, come certe oche che malauguratamente appaiono in TV.

Kusudama 3
Magnifico profumo di beltà

Questa è la propensione degli uccelli magici, capaci di mutare forma: devono mostrarsi grati. Anche a costo della loro stessa salute. In un classico incontro tra credenze dello Shintō e interrelazione karmika buddhista, la storia della gru ricorre, da una regione all’altra dell’arcipelago, in centinaia di varianti. Qualche volta, piuttosto che da un giovane, l’uccello viene salvato da un uomo anziano che già vive con sua moglie, e i due adottano la strana fanciulla come fosse la loro stessa figlia. In tale versione, la vicenda ricorda da vicino quella della Principessa Kaguya, recentemente oggetto del film Ghibli.
Ad ogni modo, una cosa è certa: le gru giapponesi erano tantissime. Ciascuna dotata del potere di cambiare per il meglio la vita degli uomini. E per questo, secondo l’usanza del Senbazuru, ad esse veniva offerto un singolare atto di fede, che diede, a partire dalla sua evoluzione, il punto di partenza all’arte degli origami. Consisteva nella piegatura ripetuta di mille gru di carta, tutte quante poi infilate, in sequenza, lungo un filo. Ed esposte fuori da un tempio, perché possano dissolversi via nel vento e nella pioggia, come le bandiere votive dei tibetani. Secondo la prassi, non è possibile ricevere in dono tutto, o parte di, un Senbazuru dai propri amici o familiari. Deve essere tutto frutto delle proprie mani, affinché possa esaudire un solo, sentito desiderio. È celebre la storia tragica di Sadako Sasaki, la bambina che fu contaminata dalle radiazioni della bomba atomica su Hiroshima e crebbe fino a dodici anni, da sempre rinchiusa in ospedale. Secondo i resoconti dei medici, lei continuò a piegare uccelli di carta fin quasi al 25 Ottobre del 1955, il giorno della sua morte.  Nella versione popolare del racconto, a quel punto ne aveva realizzati 644. Chissà altrimenti, come sarebbe andata…

Kusudama 2
Perché sei tu, pomandro!

Piega e infila, gira e guarda. Il mistico potere della guarigione di quel bianco materiale, la carta, era noto già al popolo dell’epoca dei samurai. Tanto che si registra, intorno al 1600, la pratica di realizzare dei ricettacoli di forma sferica, detti kusudama (da kusuri, medicina e tama, palla) in cui mettere dell’incenso o altre sostanze profumate. Questi venivano quindi usati come ornamenti, talvolta anche da portare sulla propria persona, come avveniva nell’Occidente coevo, per preziose sfere d’ambra grigia, dette pomi d’ambra o pomander.
Questi oggetti venivano realizzati, oltre che con piegature di numerosi fogli di carta, grazie all’impiego di colle o sottili fili da cucito, un trattamento simile a quello riservato alle catene di gru Senbazuru, appese come gesto votivo. Per tale singola ragione, in tali espressioni prototipiche, i puristi non vorrebbero riconoscere che la remota origine degli origami, che devono nascere invece da un solo foglio, soltanto due mani abili e niente di più. Comunque il kusudama, nell’epoca moderna, non è mai scomparso. Si è piuttosto evoluto, grazie all’introduzione della categoria dei cosiddetti origami modulari, comparsi per la prima volta in un testo del 1734, il Ranma Zushiki. Qui si spiegava una semplice teoria, che consisteva nella produzione ripetuta di un modulo ad incastro. Che assieme ad altri 32, 64… Come lui, alla fine, riusciva a formare quella palla, magnifico strumento conduttivo per la guarigione. Niente colla, non c’è trucco, non c’è inganno. Oggi, nell’epoca digitale, numerosi autori creano variazioni su quello stupendo tema. Un catalogo piuttosto fornito, completo d’istruzioni, è disponibile presso il portale OrigamiYard. Per il resto, basta inserire il termine su Google, ormai associato per antonomasia a tutte le composizioni di carta modulari, di forma pur soltanto vagamente sferoidale.
La gru che era stata donna, che era stata moglie di Karoku, per la cronaca, a quel punto se ne andò. Non era semplicemente possibile, per una creatura magica, convivere con degli umani che sapessero del suo segreto. Che tremendo dispiacere. Roba da iniziare subito a piegare…

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