Questo gallo è una pantera giavanese

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Non c’è niente di meglio, assieme a un bel pollo arrosto aromatizzato al limone, di un bicchiere di vino classico del Chianti, prodotto DOC di vasti vigneti a giacitura orizzontale, pregiato vanto della splendida Toscana. Versato, tra la gioia dei presenti, da una tipica bottiglia in stile bordolese, sulla quale campeggia, dentro un cerchio rosso d’etichetta, con il becco e gli occhi spalancati, una creatura quasi mitologica: il gallo nero, antico emblema medievale. Simbolo di un’alba assai particolare. Si narra, infatti, di come intorno al XIII secolo, per sedare l’ennesima guerra tra Firenze e Siena, due cavalieri dovessero partire al proverbiale canto che preannuncia l’alba, frutto di cotanti bargigli e zampe triforcute. Era stato infatti deciso, ai fini di ripartizione delle terre, che sull’incontrarsi degli armigeri sarebbe stato stabilito il nuovo confine, per una sorta di tenzone utile a risparmiare innumerevoli campagne militari, spargimenti sanguinari, diplomatiche battaglie. Ma i senesi, per far cantare prima il loro gallo bianco, l’avevano abbuffato a dismisura. Mentre i fiorentini, al proprio uccello del colore della notte, non avevano dato un’oncia di alcunché. Così quest’ultimo, risvegliatosi in anticipo per l’effetto dei morsi della fame, cantò tanto presto che la città del giglio, con rapida e gloriosa cavalcata, poté aggiudicarsi tutto il Chianti.
Eppure il tipico galletto ruspante italiano (gallus gallus) per quanto celebre, non potrà mai davvero assomigliare a una simile chimera: tanto per cominciare, ha il becco giallo. E la cresta rossa, le zampe grige…Il suo coefficiente di melanina, il pigmento che scurisce, basta a mala pena per le piume. Per trovare il vero gallo nero, occorre spingersi verso le terre del remoto Oriente. Ebbene, ripartiamo dal vicino Lazio.
EST! EST!! EST!!! Come aveva detto il vescovo Johannes Defuk, al seguito del Sacro Imperatore Enrico V di Germania, in visita dal papa per la sua incoronazione (1111). Ma mentre lui cercava il vino, da vero intenditore quale era, e lo trovò a Montefiascone, assai più lunga e travagliata sarà questa nostra ricerca, di un vero e proprio gallo in grado d’inghiottire ogni baluginio di luce. Tale da portarci oltre la Vecchia, al di là del Medio-Oriente, per tutto il continente d’Asia e fino alla sua massima propaggine oceanica, dove campeggia l’arcipelago dell’Indonesia…

E fra le molte perle di queste rigogliose isole, presso una in particolare, la tredicesima più grande al mondo: Giava. Dove viveva, secondo una leggenda, il santo guaritore Ki Agung Makukuhan, che possedeva una famiglia intera di pennuti straordinari, della quale mai se n’era visto eguale. Erano, questi stupefacenti polli, totalmente neri tranne che nel loro becco, bianco l’osso. Che contrasto straordinario! Il loro canto, secondo le leggende, poteva curare ogni tipo di malanno. Simili miracolosi esseri, purtroppo, furono persi nelle nebbie dei secoli trascorsi. Benché la storia ci abbia tramandato di come gli abitanti del villaggio di Kedu, fin da tempo immemore, avessero allevato una particolare razza di pollame detta ayam (pollo) cemani (nero). L’ayam cemani esiste ancora, benché sia estremamente raro. Un singolo esemplare può valere fino all’equivalente di 2500 euro, piuma più, bargiglio meno.

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Stiamo parlando, tanto per essere chiari, di quello che talvolta viene definito “la Lamborghini dei polli”. Scientificamente la sua genìa presenterebbe, secondo recenti studi, la stessa caratteristica delle pantere nere. Che non sono, come talvolta si tende a pensare, una specie separata d’animali, ma una fra le più classiche tipologie di grandi felini, affetti dalla condizione anomala del melanismo. Ci sono pantere melaniche, giaguari e puma melanici. Più o meno scuri, a seconda dei casi. Quello che non sapevamo, fino a poco tempo fa, era che tale caratteristica fosse stata artificialmente ricercata, ed altamente valutata, anche tra i volatili allevati nei cortili indonesiani.
L’introduzione ufficiale dell’ayam cemani in Occidente è piuttosto recente: fu l’allevatore olandese Jan Steverink, soltanto nel 1996, a comprarne alcuni e riportarli in patria. Anche se la Compagnia delle Indie Orientali, secondo alcune teorie, ne aveva già acquisiti alcuni simili, alla base di molte delle odierne varianti europee. Oggi questi polli sono diffusi anche in Germania ed in Slovacchia, mentre la Svezia, dal canto suo, ne ha creato una variante particolarmente celebre e apprezzata.  Il pollo nero svedese, esattamente come il suo antenato indonesiano, vanta una colorazione virtualmente uniforme, benché priva dei riflessi verde brillanti che caratterizzano l’originale. Ma la cresta pare meno pronunciata, ed in generale l’animale, nel complesso, non restituisce lo stesso effetto di stupore e meraviglia. È interessante notare come in queste incredibili creature, a differenza delle pantere a quattro zampe, il coefficiente di melanina sia tale da poter colorare anche gli organi interni. Immaginate: un cuore nero, un fegato nero…Secondo alcune leggende, anche il sangue del pollo giavanese, talvolta, avrebbe il colore innaturale della pece.
La carne del vero ayam cemani compare, da Tokyo a Singapore, unicamente sui menu dei ristoranti di maggior prestigio. Mentre è molto più frequente accontentarsi dell’ayam kampong, gallo nero del villaggio, privo del suo stesso legame con il regno del sovrannaturale e della sua capacità di portare, a seconda dei pareri, la buona sorte o la disgrazia. Ma soprattutto di scacciare i vari spiriti maligni della Terra, grazie al suo aspetto che ricorda un dinosauro d’altri tempi.
Beviamo, quindi, un bel bicchiere di Chianti o del bianco di Montefiascone, perché il pollo nero veglia su di noi. Come Batman, non è l’eroe di cui avevamo bisogno. Ma il pranzetto che prima o poi ci meriteremo (cambio-euro permettendo).

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