Niente Coca senza Cola, a meno che…

Double Cola

La solitudine non apre strade Nuove. Benché certi condottieri della mitica storiografia, con boccale di birra in una mano, ascia nanica nell’altra, avrebbero potuto fare la Rivoluzione. Un Gimli più pragmatico e brutale, col cappello da vichingo, contro tutti gli armigeri francesi dell’Ancien Régime, ve l’immaginate? Colpi a destra e a manca, neanche fosse stato un film degli anni ’80, tra battute, ghigliottine, frizzi, lazzi e teste rotolanti. Che risate. Poi ti viene da fare un confronto, quasi subito, con le storie vere della vita. Quei momenti un po’ difficili, l’ansia e il senso di fondamentale smarrimento. Vedi questo, per esempio.
Coca-Cola, nella sua nuova campagna per il web, ci riporta con la mente (grazie!) Al primo giorno di università. Quando dopo la lezione, tutti assieme nel cortile, al freddo e al gelo, sotto un sole che non scalda… Si ascoltava musica dal cellulare. Difficile socializzare, tra gli sconosciuti tanto giovani e inesperti. Fuoriusciti da una vita di cinque anni, almeno, con la stessa gente sempre attorno, pochi professori, una ventina di compagni, ritrovarsi avvolti nella turba trasparente. Sconosciuti, dietro alla cortina tecnologica di un videogame, magari messo in cuffia, oppure a quella di un romanzo, l’impenetrabile cortina della carta. Il tempo scioglie pure il ghiaccio, prima o poi, però appunto: avanza lentamente, il vecchio padre Crono. A meno che non sopraggiunga l’Imprevisto. Immagina! Tu, possibile acquirente della bibita gassata, usa gli occhi della mente! Mettiti nei panni di queste…Comparse? Che si trovano dinanzi ad un distributore molto strano. Un bizzarro figorifero, anzi, diciamolo praticamente: il protagonista della storia, qui presente. Pieno di bottiglie normalissime, però solo in apparenza. È uno scherzo, questo qui, diciamolo, davvero intelligente. Parla di un futuro veramente vantaggioso: con bibite che non si aprono da sole, bensì, l’un l’altra. Sai che convenienza!
Però funziona. E guarda tutte quelle coppie intimidite, attratte dalla malìa di una gratuita regalìa, come avvitano i reciproci tappetti, giungono le linee arcuate dell’oblungo flacone con un ghigno maliardo, ruotano l’arnese con sguardi di sottecchi alla metafora corrente (l’incontro di due navi nello spazio). Suggere il gassato nettare, alla fine, conta poco. Ciò che resta è la commedia visuale, come sempre capitava, pure al tempo dei soldati con la giubba. Dalle rovine fumanti di un antico ordine costituito, rovesciato con la forza e per volere delle moltitudini, spesso emerge un gruppo di oligarchi. 30, 20, 15 persone. A questo punto, il passo è chiaro. Nel giro di un annetto, fra tanti barbogi parrucconi, dovrà restarne solo uno. L’Eroe, il Tiranno, l’Intrepido Generale. L’Unico. In una parola: Napoleone.

Leggi tutto

Il malessere dell’uomo gufo

Lord of Tears

Il concetto alla base di questo mostruoso scherzo è che la paura fa presa maggiormente quando arriva per gradi. Due colpi di pistola in lontananza, lo schiantarsi fragoroso di un veicolo contro un palazzo: questi sono semplici spaventi. L’uomo della strada, camminando verso casa, li percepisce trasalendo, indubbiamente resta male e teme il peggio. Però poi procede, come niente fosse. Beve per dimenticare, guarda la tv. Molto peggio sono quelle cose che soltanto in parte, per un tragico capello, fuoriescono dal tipico ventaglio della quotidianità; il pianto di un bambino fuori dalla stanza, quando sai benissimo che in casa ci sei solo te. Lo squillo del cellulare mentre sei a cena, con una voce che ti fa: “Non osare approfittarti di mia figlia” Quando, tu lo sai benissimo, suo padre è deceduto da sei anni. E allora chi c’era all’altro capo del telefono? THEN, baby, who was phone? Ed è proprio questo il bello: la flessione semiotica di una tale benedetta quotidianità. Per noi semplici mortali, sarebbe casa & chiesa, tre pasti & due trasferte. Mentre certi altri, gli esploratori delle cose abbandonate, rovine marcescenti, porte scardinate, buchi veramente preoccupanti, possono ricostruirla in molti luoghi. Come il generico “St. Mary’s Children Hospital” (un nome più polivalente, questi pubblicitari internettiani, non potevano inventarselo) dove a quanto pare, giorno dopo giorno, venivano aspiranti documentaristi. Ispettori Gadget della fotocamera, con borsa, cappellino, tracolla e cavalletto, presumibilmente pronti per narrare ai loro amici di Facebook l’incredibile esperienza, tra le povere vestigia delle vittime innocenti. Dopo. Prima che arrivasse l’uomo gufo.
Ora, che fra tutti gli animali dell’ambito rurale, fin dall’epoca antica il più temuto fosse l’asio otus, può sembrare molto strano. Il rapace notturno per eccellenza, con le orecchie a ciuffetti e il gran cappotto piumato, oggi è il beniamino degli innumerevoli spezzoni e dolci testimonianze dei rifugi ornitologici. Tutti vorremmo dargli del mangime con il cucchiaino, a un bel pulcino, bravo uccellino e così via. Ma immaginatevi sei o sette di quelle piccole creature, appollaiate sopra un ramo, nel profondo buio della notte. Quando lo sguardo bipede diventa meno penetrante, i loro volti piatti, con gli occhi grandi e tondi, il profilo tondeggiante, potrebbero sembrare… Anche demoni o presenze dello spirito selvaggio, dei della natura. Un movimento inspiegabile ai margini della coscienza! Forse proprio un’esperienza simile fu alla base della leggenda del mostro della cornovaglia, avvistato da due generazioni del villaggio di Mawnan, una sorta di rapace umano con ali artigliate, l’ultimo dei grandi criptidi europei.
Così questi visitatori non autorizzati erano lì, per divertirsi. Ridendo e scherzando, procedevano nel gioco programmato, finché nella stanza non s’insinuò la forma immobile dei nostri incubi ancestrali. Se si fosse mosso rapidamente, avesse tentato di aggredirli, tanto più facile sarebbe stato spaventarsi e poi dimenticare. Procedendo con incedere metodico e tranquillo, invece, quello li ha terrorizzati.

Leggi tutto

In abito elegante, tra leoni e calciatori

Kevin Richardson Van Gils

Ci si veste in base all’occasione. Facendomi ombra con la mano sopra gli occhi, scruto l’orizzonte del marrone sottobosco del Sudafrica. Siamo in pieno highveld, la prateria montana che si estende fino alle propaggini della savana. Gli alberi disseminati tra le colline ed i declivi nascondono, almeno così spero, la famiglia che mi aspetta per l’incontro più formale della nostra vita. Sono nobili di stirpe antica, con corone fulgide e fluenti. L’unica nota discordante nella mia figura: porto ai piedi un paio di scarpe sportivedella Nike. Però per questo, devo dirlo, c’è un perché. Si tratta del regalo che consegnerò, a sorpresa, sulla fine del ricevimento. Giocheremo tutti assieme una partita di pallone! Dopo tutto, già incombe quel momento, di una coppa e della gloria dei mondiali del Brasile. Il polsino bianco è luminoso come il sole che rimbalza contro il fine intreccio provenuto dall’Olanda, mentre il rosso di un distinto fazzoletto a righe, attentamente concordato con la morbida cravatta, presagisce il pasto sanguinoso di bistecche poco cotte; spero di trovarli già satolli, questi miei anfitrioni. Diventano nervosi, se affamati.
O almeno così dicono: non sono certo io, Kevin Richardson, l’uomo che convive coi leoni da una buona parte della sua vita, il fisioterapista che si è fatto guardaparco e poi… Rappresentante. Di giacche, telecamere, tutto quello che riesce a conquistare. Sempre con un ottimo obiettivo: dargli da mangiare (e quanto!) Per poi rappresentante, soprattutto, dei suoi parenti uomini, tra le cosiddette belve. Colui che qui vediamo, in abito di tutto punto, intento a fare quello che gli riesce meglio; ciò che soltanto lui, fra tutti, osa concepire.
Sarebbe, questa, una pubblicità di moda maschile. Fa parte della nuova campagna della Van Gils, la compagnia olandese il cui recente slogan recita “No stitch, no story” (Senza cuciture, niente storia) e che dagli anni ’40 produce dai suoi stabilimenti di Breda numerosi capi, accessori e calzature. Proviene, come creazione mediatica, da quel nuovo modo di concepire l’immagine aziendale sulla base di ciò che universalmente bello, senza mettere il prodotto al centro della scena, ad ogni costo. Però va detto che in questo particolare caso, vista la natura del progetto, si è riusciti a fare pure questo: bastava, dopo tutto, vestire bene l’incredibile protagonista. Guardarlo che cammina con riprese a campo lungo, in mezzo all’apparente nulla, con lo stesso prestigio visuale di un banchiere, già restituisce un certo effetto.

Leggi tutto

La serratura impossibile da scassinare

Forever Lock

Improbabili racconti che provengono da selvagge fantasie. Ovvero, per usare il neologismo a base tipografica: slash fiction [keyword]. Trasformazione dei rapporti, mutamento delle convenzioni. Il corpus leggendario dell’amalgama che definiamo post-moderno è ricco di emblematici rapporti a due: Batman & Robin, Sherlock & Watson, Super Mario & Luigi Mario & Wario & così via…Togli l’ampersland, mettici lo slash, cosa stai creando? Secondo alcuni, gli scrittori di certi racconti autogestiti, così rinasce quel rapporto eroe/spalla, oppure eroe/nemico, nei termini specifici di un vincolo d’amore. Prettamente gay. Persino Spock, l’alieno privo di emozioni, trovò il suo capitano coraggioso in Kirk. Sarebbe questo il parossismo, degli alternativi nerd che diventano nei fatti come Moccia, cantori coloriti dell’amore meno stereotipico, omosessuale. Spada e un’altra spada, niente fodero latino. E doppia chiave senza mezza serratura, se non attaccata ad un lampione Milvio, in quel di Roma, perfettamente riprodotta dentro al Ponte vecchio (olografico dell’Enterprise).
Ogni paladino/a, dei racconti e dei fumetti e delle storie digitali, ha discendenza da figure mitologiche ben chiare. Zorro era Mercurio, Ironman Vulcano, Wonder Woman, um, l’Artemide Latona. Tutto riconduce alle leggende di epoche trascorse. Pensiamo ai figli dell’eccelso Odino: Thor il forte, Loki l’imbroglione. Visualizziamoli codesti due, per un singolo momento, mentre s’incamminano sul ponte iridescente di Bifrost. Mano nella mano, guanti di metallo, elmi articolati e fulgidi mantelli. Sette colori sotto i piedi, come la bandiera di cui sopra, degna di un incontro assai particolare. Ed un singolo bisogno, molto affine a quello degli umani: assicurarsi che l’amore tra due simili campioni sia per sempre chiaro, fino all’incipiente Ragnarok finale. I lampioni c’erano, diciamo, quindi il resto va da se. Ci vorrebbe un nuovo tipo di lucchetto metonimico. Chissà poi, se nel Valhalla avevano YouTube. Perché se così fosse stato, grazie all’onniscenza temporale degli dei, costoro avrebbero chiamato LockMan28, l’uomo che dall’Asia, in qualche modo, si procura le più astruse serrature. Oggetti dalle chiavi serpeggianti, cruciformi, siluroidi ed imperscrutabili. Il personaggio nascente che da qualche giorno, grazie ad un oggetto senza precedenti noti, sta raggiungendo l’Olimpo dei più celebri del web. La meraviglia in questione, proveniente da un’azienda senza nome di Taiwan, trova spiegazione nel più emblematico degli appellativi: “The Forever Lock” – L’eterno chiavistello, l’invincibile chiusura. Un cilindro senza buco, che una volta messo, si apre solo se ci credi. Devi conoscere il segreto. Che fa così, più o meno:

Leggi tutto