L’unico ponte con le catene da neve incorporate

C’era un tratto, nella corsa dei Pods su Tatooine nel primo prequel di Guerre Stellari, in cui i sabbipodi prendevano di mira i concorrenti con i loro fucili. Non si trattava di un incidente, per lo meno nella mente degli organizzatori, ma di una semplice caratteristica del percorso. Come il caldo di un pianeta desertico con due Soli, popolato di rettili carnivori, gigantesche formicheleoni ed a quanto pareva, pericolosi predoni delle sabbie. Semplice colore locale. Sono ragazzi, fateli giocare! Una politica simile, a quanto pare, a quella adottata in origine dall’ente pubblico per la gestione dei trasporti nella Columbia Britannica, particolarmente in merito al nuovo tratto di miglioramento autostradale dal nome in codice di Gateway Program, che aveva visto includere nel suo budget di 3 milioni di dollari la spesa, niente affatto indifferente, per sostituire un ponte lungo due chilometri sul grande fiume Fraser, uno dei maggiori di tutta la nazione canadese, sito poco più a est della grande città di Vancouver. Ma il Fato malevolo si trovava in agguato, sui lunghi cavi del nuovo cavalcavia, appartenente alla classe dei ponti strallati più o meno come quello celeberrimo che collega Manhattan al quartiere di Brooklyn. Per capire bene cosa intendo, ritorniamo per un attimo al 19 dicembre del 2012, quando la Sig.ra Caryl-Lee Obrecht si trovava ad attraversare questa meraviglia della tecnica recentemente inaugurata nel ruolo di passeggera, all’interno della Ford Focus guidata da suo marito. I due procedevano serenamente in direzione est, quando qualcosa di strano iniziò a succedere dinnanzi a loro, sulla carreggiata: grossi oggetti, semi-trasparenti, che rovinavano dall’alto con fragorosi impatti, andando in frantumi sull’asfalto semi-ghiacciato. Io non credo che molti di noi possano immaginare il senso di assoluto terrore derivante dall’essere sottoposti a un bombardamento, mentre si tenta di mantenere solida la disperata stretta sul volante. Uno, due, tre impatti sempre più vicini. Finché, all’apice estremo del terrore, un vero e proprio mini-iceberg non cadde fragorosamente nel centro esatto del parabrezza, mandandolo in frantumi. Il vento gelido che penetra nell’abitacolo, con la consapevolezza che non è assolutamente possibile fermarsi per raccogliere le idee o tentare di arginare il danno, finché non si saranno percorsi i restanti due terzi della (non tanto) stretta passerella di cemento sulla grande voragine del nulla. Ma la parte peggiore della loro giornata, a quanto ci viene narrato, non era ancora terminata. Niente affatto. Perché nel giro di pochi secondi, un altro pezzo di ghiaccio colpì la macchina, mandando in frantumi il tettuccio apribile della stessa. Ed infine un terzo, che colpì dritto in testa la malcapitata Sig.ra Obrecht. Nella relazione presentato per fare causa ai progettisti del ponte nei mesi successivi all’incidente, è descritta accuratamente l’intera esperienza: lei che sanguinando copiosamente dal cuoio capelluto lacerato, si puntella coi piedi in alto sul sedile, nel tentativo disperato di impedire al tettuccio di ripiegarsi sull’abitacolo, schiacciandola del tutto. E il marito sconvolto alla guida, che riesce miracolosamente a trarre in salvo se stesso e la consorte dall’incubo di questo inferno congelato.
La loro esperienza di quell’inverno dannato, come potrete facilmente immaginare, non fu l’unica: stiamo parlando, dopo tutto, di un ponte costruito sulla base di un’effettiva necessità della popolazione, che può facilmente raggiungere i 100.000 attraversamenti GIORNALIERI. E fu così che prima della fine di dicembre, furono segnalati alle assicurazioni almeno 300 incidenti da “bombe di ghiaccio” con danni di varia entità, più diversi feriti, benché nessuno con la stessa gravità della casistica fin qui descritta. Fu allora che il BC Public Service (l’ente responsabile) capì di avere tra le mani un significativo problema, e che dato che non era certamente possibile, giunti a quel punto, cambiare la soluzione tecnica dei cavi che passavano sopra la carreggiata, né si poteva chiudere questa fondamentale via di transito per periodi prolungati, occorreva trovare al più presto una perfetta soluzione. Ne andava della sicurezza della popolazione stessa, la più importante risorsa del Canada intero. Venne istituita con estrema rapidità una commissione di valutazione strategica, con alcuni dei migliori ingegneri, tecnici e scienziati di tutta l’area di Vancouver. Furono studiate le casistiche pregresse, benché fossero molto pochi, in effetti, i ponti strallati di simili proporzioni a dover affrontare il gelo estremo in particolari periodi dell’anno.  E si giunse ad una conclusione che sostanzialmente pareva cancellare fino all’ultimo baluginio di speranza: dal punto di vista ingegneristico, non esisteva una singola valida soluzione che potesse risolvere il problema. E tutti gli abitanti della Columbia Britannica avrebbero dovuto rinforzare in modo significativo il tettuccio delle loro automobili. A meno che…

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Cosa fare se si cade nel lago ghiacciato

Pattinare lietamente sopra il lago. Praticare un foro con il trapano a mano, in cui far penetrare la pregiata lenza. Giocare una partita a palle di neve, in un luogo in cui nessun albero possa essere impiegato come copertura. La vita è fatta di piccoli momenti che si muovono ordinatamente in fila, come le zampe di un millepiedi ubbidiente. Finché sul sentiero, sfortunatamente, non capita un oggetto inaspettato: il sasso, il cappuccio della penna, il pezzo di buccia di limone. Ed è a quel punto, in genere, che accade il patatrac. Orribile terrore. Inclemente dannazione. Eh, già! Nonostante le attenzioni, la prudenza, l’incombente senso di condanna che ci segue dal mattino fino a sera, tutte cose che ci portano a evitare “la cosa” è inevitabile che a volte “la cosa” riesca nondimeno a verificarsi. A quel punto, dunque, tutto quello che ci resta è rimanere immobili, sprofondare. E morire. O lasciarci andare al flusso dell’istinto, agitandoci in maniera forsennata, nel tentativo di tornare in qualche modo tra i viventi. E morire, lo stesso. Cosa pensavate? Che fosse possibile, senza alcun tipo di aiuto, tirarsi fuori dall’acqua prossima allo zero, mentre ci si trova nel bel mezzo di una lieve superficie trasparente, la quale molto chiaramente, non può sostenere il nostro peso umano? Voglio dire, tutto è possibile. Ma ammesso e non concesso che una persona comune si ritrovi in questa situazione prossima alla Fine, cosa volete che ne sappia, costui, del giusto metodo di comportarsi…A meno che…Abbia visto l’utile video educativo di Adam Walton, guida del Wisconsin e fondatore della compagnia Pike Pole Fishing, grande pescatore nonché paramedico certificato dei pompieri di Edgerton, nella contea di Rock. L’uomo disposto a soffrire un simile destino per ben tre volte, se soltanto questo può servire a salvare delle vite da qualche altra parte, prima o poi. È tutta una questione di priorità. Una volta che il fisico si abitua, tutto ciò che resta e dominare i propri istinti con la mente. E il senso assoluto d’autodeterminazione.
La scena inizia in un giorno dall’aspetto alquanto polare (a dir poco) con cielo coperto dalle nubi e suolo totalmente imbiancato, tutto attorno ad una polla d’acqua la cui superficie, ormai, è stata trasformata in uno specchio semi-opaco. Poco prima che costui, o i membri della sua nutrita equipe, praticassero un ampio foro dalla forma grossomodo circolare, inteso a rappresentare lo spacco “accidentale” che sarebbe stato indotto dall’incauto sopraggiungere dell’uomo o donna soprastante, per ingoiare entrambi e trascinarli al di sotto della soglia di sopravvivenza. I più attenti ai dettagli, a questo punto, avranno già notato che l’eroe del giorno indossa un pratico giubbotto di salvataggio, facilitazione che probabilmente, ben pochi di quelli coinvolti in simili incidenti hanno avuto dalla loro parte. Ma piuttosto che criticarlo per il poco realismo, io preferirei intendere questo dettaglio come il primo, e più importante dei consigli: se c’è questo bisogno, più o meno motivato, d’inoltrarsi verso il centro del lago ghiacciato, indossatelo! Non vi verrebbe mai in mente di nuotare fin lì senza averlo. E ghiaccio o non ghiaccio, là sotto c’è ancora la stessa identica massa d’acqua, pronta ad accogliervi nel suo soffocante abbraccio. C’è appena il tempo di pensarlo, quindi, quando Adam prende e si tuffa senza un attimo di esitazione, sprofondando immediatamente fino al petto. Prima iterazione: l’ipotesi peggiore. Non avete attrezzi di nessun tipo, e l’aiuto è ancora lontano. Un essere umano in buona salute, generalmente, può sopravvivere nell’acqua a 0 gradi tra i 10 e i 15 minuti, oltre i quali, sopraggiunge il torpore e gli organi cessano di funzionare correttamente. Prima di reagire istintivamente, dunque, occorre fare i propri calcoli accurati. Questo è il primo aspetto sorprendente del video: se cadete laggiù, non tentate subito di tirarvi fuori, ci spiega lui. Aspettate almeno 2 o 3 minuti, perché il corpo cessi d’iperventilare in modo incontrollato e sopraggiunga nuovamente l’assoluta calma. Può sembrare assurdo, ma da un certo punto di vista non lo è per nulla. Se si pensa che le nostre energie residue, a quanto ne sappiamo, siano sufficienti per un unico tentativo, sarà nostro interesse assicurarci di effettuarlo mentre siamo al nostro meglio. Balzando fuori, nella speranza che l’intento porti ai risultati tanto disperatamente ricercati.

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Le due armi segrete del gambero ninja

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Prima del moderno perfezionamento dell’intelligenza artificiale e l’introduzione della grafica tridimensionale calcolata in tempo reale, ciò che caratterizzava ciascun particolare ostacolo nei videogames era un diverso tipo di movimento predeterminato: da destra verso sinistra sullo schermo (una freccia? Un missile? Una palla di fuoco?) Dall’alto verso il basso (una stalattite? Un incudine? Un falco in picchiata?) e così via… Fra tutte le diverse possibilità, ricorreva poi alquanto spesso il tema della “cosa” che fuoriesce dal pavimento. Questo ruolo veniva generalmente occupato un mostro misterioso, del quale persino il manuale d’istruzioni si limitava a dare una descrizione piuttosto vaga. Talvolta insettile, spesso simile ad un ragno, più raramente robotica o comunque di metallo, la creatura presentava sempre un aspetto del tutto imprescindibile: piuttosto che colpire, afferrava. Il che voleva inevitabilmente dire, nel mondo delle tre vite concesse ad ogni inserimento di gettone nel bar, l’immediata (ennesima) dipartita del personaggio principale. Ora chiunque abbia mai approfondito l’argomento, dovrebbe sapere molto bene come il media digitale interattivo, fin dalle sue origini, abbia tentato d’imitare la natura. E per quanto concerne un certo tipo di giochi a scorrimento, ovvero gli sparatutto nel senso classico ambientati spesso nello spazio, l’ispirazione effettiva è sempre stata data dalle profondità azzurre dell’oceano sconfinato. Nel quale, tra i tanti organismi predatori che afferrano le cose di passaggio, c’è n’è uno che spicca per il fascino estetico e le notevoli doti innate. La sua letalità estrema, del resto, ricorda molto da vicino quella di un mostro finale della serie R-Type. Il suo nome è gambero mantide (ordine: Stomatopoda) ma potrebbe altrettanto essere chiamato gambero Ninja Gaiden o gambero Assassin’s Creed.
Per definirne in termini d’assoluta immediatezza le terribili capacità, vorrei provare a riassumerle in un singolo suono. Penetrante e ripetuto, come il battito di un martelletto da calzolaio sulla suola di un stivale privato di suola: TAP-TAP, TAP-TAP. Immaginate, da acquaristi ovvero proprietari di un recipiente per pesci con tutti i crismi, di svegliarvi la notte con questa sensazione che stia per succedere qualcosa di terrificante. Per raggiungere immediatamente il salotto buio, dove alquanto stranamente, vi riesce di scorgere un fievole scintilla; TAP-TAP, eccola di nuovo! È lui non c’è dubbio, può essere soltanto lui. Luce accesa, occhi spalancati per scorgere l’imprevista verità: tra le rocce vive che avete acquistato per dare un habitat più variopinto ai vostri amici pinnuti, dovevano esserci delle uova. Nascosto nella sabbia del fondale, quindi, il mostro è cresciuto, afferrando qualche piccolo pesce di passaggio di cui nessuno avrebbe notato l’assenza, fino a raggiungere misura tutt’altro che trascurabile di 10, 15, forse addirittura 20 cm. Ed ora… Infastidito dalla sensazione di prigionia…Sta BATTENDO sul vetro dell’acquario. TAP-TAP-CRAAK! Con un suono stridente, all’improvviso, si forma la prima crepa. Acqua copiosa inizia a spargersi sul parquet! I due occhi sferoidali in equilibrio su altrettanti peduncoli sembrano focalizzarsi su di voi. Sottolineando l’intenzione, l’animale inclina lievemente la testa di lato. Quindi batte ancora, per l’ultima volta.
Sembra una leggenda metropolitana ma fidatevi, non lo è affatto: questi artropodi possono rompere il vetro degli acquari. Proprio per questo, nonostante la bellezza degli stomatopodi che può raggiungere vette estreme, soprattutto nel caso di specie come il gambero mantide pavone (Odontodactylus scyllarus) dai molteplici colori, l’effettiva addomesticazione di simili animali risulta nei fatti piuttosto rara. Aggiungete poi il problema che tutti questi esseri sono carnivori, nonché dei voraci predatori in grado di far piazza pulita di pesci anche molto più grandi di loro, e comprenderete perché sia molto meglio non avere nulla a che fare con loro. Ci sono casi registrati di sub esperti, che muovendosi per i fatti loro in un qualsivoglia recesso degli oceani tropicali e temperati, hanno inavvertitamente disturbato la tana di un gambero, ritrovandosi tagli sanguinanti sulle mani o gli avambracci colpiti. La ragione è da ricercarsi nel temibile secondo paio di appendici toraciche del crostaceo in questione, che non a caso presentano una forma ed articolazione del tutto simile a quella delle mantidi religiose. Con la sottile differenza che invece di essere fatte di un lieve e delicato esoscheletro chitinoso, tali artigli sono rinforzati da uno speciale composto mineralizzato di carbonio e magnesio, in grado di resistere all’urto con i più solidi involucri di conchiglia. O strati rinforzati di vetro.

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L’uomo assediato dalle vedove nere

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Nella concezione universale dell’utilità oggettiva di possedere un giardino, si prendono generalmente in considerazione vari punti positivi e negativi. Tra i secondi, questo è noto, rientra la problematica potenziale che lo stesso venga preso a residenza da un esercito di piccole creature, siano queste poco gravi (formiche) problematiche sul medio termine (termiti) oppure “assolutamente ter-rific-anti” (RAGNI). Si ma la paura dopo tutto, perché? Dal punto di vista di un europeo, il terrore memetico internettiano per tutto ciò che abbia otto zampe e corre sulla propria ragnatela lascia in genere perplessa più di una persona; cosa mai potrebbe farmi, un animale tanto sfavorito nelle dimensioni che potrei schiacciarlo con la punta del mio dito, cancellandolo da questa Valle di Lacrime al solo costo dell’innocenza karmica di una giornata…Oh, bé. Dipende! Ci sono paesi in cui, se è il RAGNO a vedere prima noi, egli potrebbe fare la stessa cosa a noi. Mors, exitum, kaput; chiamiamola, se vogliamo, la rivincita dei veleniferi innocenti. Certamente avrete conoscenza, per lo meno teorica, del pericolo italiano dei ragni appartenenti al genus Latrodectus, comunemente detti nella nostra lingua marmignatte, o in modo assai più affascinante le vedove nere del Mediterraneo. Esse sopravvivono coi loro splendidi puntini rossi, l’enorme sedere e le zampe affusolate, nella più profonda campagna del Centro e Sud Italia, sulle coste del Tirreno, in Puglia e Sardegna. I casi di contatto diretto con l’uomo, tuttavia, sono piuttosto rari. E meno male. Guardate qui cosa succede, invece, nella terra più remota d’Australia…
Leokimvideo è uno YouTuber con sede nell’area di Sydney famoso per la sua originale trattazione dei giocattoli collezionabili, con più di un figlio piccolo, un’amabile moglie che lui chiama mommy, la quale non compare in genere su schermo e una villetta, del tipo il cui valore immobiliare gravita verso la soglia superiore dello spettro della sicurezza finanziaria. La sua vita tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe presumere, non è perfetta. Principalmente per un piccolo problema, diciamo assolutamente da nulla: detta gradevole bicocca è sita proprio nel mezzo di una delle più impressionanti infestazioni ricorrenti di ragno dalla schiena rossa, ovvero Latrodectus hasseltii, denominato sulla base della striscia uniforma che prende il posto sulla loro schiena delle coppie di puntini delle nostre più familiari della nostra zona. Ora ci sono molti modi, per affrontare un problema come questo. Incluso quello (presumibilmente favorito “per scherzo” dagli americani) di bruciare tutta la casa e trasferirsi altrove (ah, ah, ah, ehm) tra i quali il nostro eroe di oggi ha scelto quello più interessante per noi: affrontare il problema personalmente, fida telecamera alla mano, quindi catturare i ragni e metterli nel suo terrario. Assolutamente condivisibile. Credo che chiunque di noi, al suo posto, avrebbe fatto proprio così.
Nelle fasi d’apertura del video pare di assistere alla preparazione di un Rambo dei nostri tempi. L’armamentario previsto per affrontare il pericolo include infatti: barattolino con tappo perforato per contenere i prigionieri, spazzola nera per stanarli, un bel paio di spessi guanti (ma va?) insetticida che purtroppo pare non sia particolarmente efficace (e ti pareva) lanciafiamme fatto in casa con la bomboletta di aerosol (escono dalle fottute pareti, Ripley!) e un intrigante gancetto creato all’apparenza con una stampella, deformata sulla base di una specifica visione personale e in funzione del quale l’autore afferma, semi-serio, che potrebbe diventare un giorno miliardario. Ad un tal punto risulta efficiente l’oggetto nel perpetrare l’ardua mansione designata, di stanare gli aracnidi dagli oscuri pertugi in cui essi vanno a nascondersi durante il giorno, per sfuggire al Sole come orribili vampiri zampettanti. Controllato nuovamente lo stato d’efficienza del kit, è giunto quindi il momento d’immergersi nel verde-marroncino, per portare a compimento l’opera di atroce sterminio…

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