L’ape che diventa più felice nel suo sigaro segreto

Un oggetto la cui origine non è del tutto chiara: chi ha creato questo tubo, di una foglia arrotolata su se stessa, con un tappo frutto della stessa clorofilla ed un qualche insolito “ripieno”? Dieci, quindici ne ho messi sopra il tavolo. E quando con mano curiosa ne avvicino uno, che sorpresa! Esso è vivo, riesce a muoversi, davvero! Come se un’insolito RONZIO, cui fa seguito con BRIO, il semplice accenno di un BRUSIO, d’ape. Ape-ape, veramente, di cui appare un’esemplare, per ciascuna capsula degna di un’opificio, ove producano l’esportazione maggiormente rappresentativa dell’Isla de Cuba. Insetti, ottimi artigiani. Specialmente se dell’ordine degli imenotteri, il cui istinto e splendida capacità creativa rientrano tra i più grandi misteri della natura. Più delle piramidi, più di Stonehenge, di Re Artù e dell’Area 51; chi ha potuto “programmare” tali piccole creature, insegnargli il modo di approntare l’universo inconoscibile dell’alveare… Ma togli un’ape dalla sua comunità, come potrebbe sopravvivere… Da sola? Ah, non siamo certo qui riuniti per parlare, di formiche! Poiché esiste una famiglia intera di questi esseri, chiamata Megachilidae, per cui la solitudine è un semplice assunto del quotidiano. Il che non preclude la precisa costruzione di una soluzione abitativa Degna. Abbiamo in effetti parlato in precedenza, e forse vi ricorderete l’articolo, dell’ape blu dei frutteti o ape blu muratrice, della quale sono qui tornato per farvi conoscer la cugina.
Oh, Megachile rotundata! Sorgi quindi dal profondo del tuo tubo. Grazie alle mandibole sporgenti o vere e proprie labbra (χείλος) da cui prendi il nome, caratteristica primaria della tua genìa. É più o meno verso giugno, d’altra parte, quando il contadino o giardiniere (qualche volta complice) può avvistare sulle foglie delle proprie piante uno specifico ritaglio dalla forma circolare. Che potrebbe ricordare il pasto di un bruco, se non fosse per il piccolo dettaglio che neanche l’ombra di una simile creatura sia presente nei dintorni. Finché dinnanzi a quello sguardo attento, non compaia all’improvviso la presenza di una piccola cosa volante, di colore grigio scuro ma dotata di sottili strisce biancastre, con un lampo verde stretto tra le piccole zampette distruttrici; ecco, dunque lei. Non intesa come lei/l’ape, solamente, bensì in quanto esemplare propriamente di sesso femminile, tra i due di questa specie dall’evidente dimorfismo sessuale (il maschio è sensibilmente più piccolo) intenta nella fondamentale raccolta del suo materiale da costruzione preferito.
Quel che segue, come si usa dire, è lo stagionale compiersi di una leggenda straordinariamente iterativa…

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L’esperienza di venire abbordati da una coppia di leoni marini giganti

D’altra parte, nostro padre diceva sempre: “Una barca può essere la vostra casa via da casa, se soltanto imparate le regole di un diverso stile di vita!” E così pensai di nuovo anch’io, mentre appoggiavo la padella sopra il piccolo fornello elettrico, lo sguardo perso verso il finestrino, tra le onde lievemente increspate dello stretto di Puget. C’è in effetti uno specifico rapporto tra gli uomini ed il mare, nell’area settentrionale del Pacific Northwest, dove il territorio degli Stati Uniti, in corrispondenza del singolo tratto di mare che costituisce anche un confine tra i due paesi, tale da permettere uno spostamento rapido e privilegiato tra le due città di Seattle e Vancouver, Victoria e tutti gli altri centri abitati di questa popolosa regione umana. Attorno a questo elucubravo, quando a un tratto, l’uovo dentro il mio tegame si spostava di qualche centimetro a sinistra; strano! Pensai, l’acqua è stabile e la mano ferma. “Quale insolita evenienza, quale anomalia gravitazionale, quale scoglio inappropriato…” Ma non feci neanche in tempo a completare il filo di uno dei possibili pensieri, mentre con un terribile scossone, mi trovai a reggermi appoggiato al bordo dello scaffale, tutto quello che potevo fare prima di cadere rovinosamente sul pavimento. La barca, inclinata di abbondanti 30 gradi, mentre l’acqua minacciava d’invadere orribilmente la cabina. E fu allora che iniziai ad elaborare l’orrido sospetto, in un attimo riconfermato dal possente suono: “AwoooOooo, grunt!” No…Impossibile! “Grunt, sgrunt” subito rispose, da quell’acqua semi-gelida, una seconda fonte di rumore. Di quel verso, quell’orribile sentore. La provata locuzione del pinnipede, senza concetto del possesso e della proprietà privata…
Il video è comparso all’inizio della settimana sulla pagina Instagram di FishingJosh, ex calciatore della cittadina di Olympia nello stato di Washington, oggi a capo della compagnia di articoli da pesca Spawnyfish, durante un’escursione marittima presso l’insenatura di Eld, raccogliendo ben presto 10 di migliaia di visualizzazioni. La scena che vi compare, del resto, non è del tipo che possa essere facilmente dimenticata: un piccolo yacht a vela si trova sulla superficie dell’acqua, pericolosamente inclinato al punto da imbarcare una certa quantità d’acqua. In quanto sopra ad esso, incredibilmente, si trovano due massicci esemplari di leone marino di Steller (Eumetopias jubatus) dal peso unitario di svariati quintali, prossimi effettivamente alla tonnellata. In un secondo video pubblicato soltanto su YouTube se ne vede addirittura un terzo, che per qualche attimo sembra interessato a balzare anche lui sul natante, prima di cambiare idea perché oggettivamente, non sarebbe mai riuscito a trovare lo spazio sufficiente a farlo. Ed è una fortuna poiché difficilmente, a seguito dell’ulteriore aumento di peso, il mezzo di trasporto costruito per mani e utilizzo esclusivamente umane avrebbe potuto restare al di sopra della linea di galleggiamento, scaraventando tutto il suo contenuto al di sotto dei turbini vorticosi degli abissi della baia.
Visione sorprendente, per noi che non siamo di quelle parti, ma purtroppo niente affatto insolita dal punto di vista dei coabitanti geografici di tale specie. La cui recente proliferazione, iniziata a partire dall’emendamento del Marine Mammal Protection Act del 1972 ed ulteriormente favorita dalle norme per la tutela delle acque pulite, ha portato nell’ultimo decennio a difficili circostanze d’interazione e rapporti possibilmente conflittuali, fuori e dentro le acque dell’intera costa occidentale/settentrionale degli Stati Uniti, Oregon e California inclusi. Detto questo c’è ben poco che possa rivaleggiare, per invadenza, spirito territoriale e mancanza di timore, con la versione sovradimensionata di simili creature frutto dell’ipertrofia da climi freddi, che progressivamente sembrerebbe essersi trasformata nel più imprevisto, ma pervasivo di tutti i problemi animali…

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Questa roccia vivente è più antica dell’Impero Romano

É una fondamentale realtà per ogni essere vivente, la maniera in cui, nella maggior parte delle situazioni, l’unione costituisca un sinonimo di forza. Quella tra le cellule dell’organismo, un tempo concepite dai processi naturali come monadi del tutto indipendenti, finché la necessità di sopravvivere, ed in qualche modo prosperare, non ne ha enfatizzato determinate funzioni di caso in caso, rendendole complementari. Ciò detto, esiste il caso di un sistema addirittura più efficiente: quello che si genera grazie al processo di adesione. Compatta, indivisibile corrispondenza, tra creature totalmente indipendenti in linea di principio, che del resto formano colonie, proprio perché questo basta a renderle del tutto impervie al più terribile dei loro avversari: il tempo. Pensate per esempio all’alveare, che rinasce identico al principio delle singole stagioni; oppure alla natura del corallo, scheletro rosato di una plurima e minuscola collettività; ed ancora a certi tipi di coltura batterica, con protisti o microbi perfettamente in grado di clonare se stessi ad infinitum. Ma è soltanto unendo un simile princìpio alla natura estremamente longeva del mondo vegetale, che possiamo giungere alla casistica del tipo più ESTREMO di creatura. Quello che troviamo qui rappresentato grazie all’esemplare notevolmente imponente di Yareta, o Azorella compacta che dir si voglia, che forse al momento in cui Ottaviano Augusto concentrava su di se tutti i poteri della Repubblica, giaceva perfettamente identica ma un po più piccola, nelle sabbiose distese degli alti deserti andini. A cosa ci è possibile, del resto, far corrispondere il concetto di “individuo” se non la specifica continuazione di una singola cosa, con perfetta identità di luogo, aspetto e funzionalità… Come la verde coperta che ogni cosa ricopre, crescendo alla notevole (!) velocità di 1,5 cm l’anno. Eppure, contrariamente a quanto si potrebbe tendere a pensare, la yareta non è affatto un muschio, non è un semplice licheno, bensì un’effettiva pianta legnosa capace di fiorire e far frutti in primavera ed estate, fatti giungere a maturazione nel corso di circa 15 settimane. Imparentata, alquanto sorprendentemente, alle ombrellifere (Apiacee) come il prezzemolo e la carota, in forza della tipica vastità omni-inclusiva della tassonomia vegetale. Ma le somiglianze, come potrete facilmente immaginare, sono tutt’altro che evidenti, data la natura straordinariamente estrema del suo habitat d’appartenenza: le pendici e le asperità del Sudamerica, tra Cile, Perù e Argentina, dove l’assenza di piogge regolari è superata soltanto dal soffio gelido del vento proveniente dal Pacifico, in grado di devastare qualsivoglia tentativo di sopravvivenza vegetativa.
A meno, s’intende… Che questo riesca a svilupparsi in maniera tanto densa e compatta, frutto della collaborazione collettiva, da riuscire a trattenere al tempo stesso calore ed umidità, raggiungendo uno stato d’aggregazione in grado di superare qualsiasi difficoltà. Persino il passaggio dei secoli ulteriori, superati per durata l’uno dopo l’altro, come fossero i lombrichi nel fertile suolo di un’impossibile foresta delle Ere…

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Gioia e giubilo, per il ritorno delle foche nel Tamigi!

Le automobili sull’A2 sfrecciavano a portata d’orecchio, chiaro segno della vicinanza nei confronti della brulicante, cacofonica società urbana “Dev’esserci PER FORZA un modo migliore di farlo” Anna Cucknell della Zoological Society of London pronunciò a volume udibile, un po’ pensando tra se e se, un po’ rivolgendosi al collega vicino, intento nella stessa ardua, possibilmente inconcludente procedura. È l’autunno del 2018 e un sole timido risplende sulle acque opache del più celebre fiume inglese, mentre un gruppo di naturalisti tentano, per quanto possibile, di catturare il flusso del vento, lo scorrere della corrente, il flessuoso agitarsi dei fili d’erba lungo l’estensione dei secondi. Ovvero per usare termini meno affini al concetto di metafora, annotare sugli appositi quaderni le rispettive impressioni numeriche (poiché sfortunatamente, è proprio di questo che si tratta) in merito alla quantità di riconoscibili forme sull’altra sponda, poco a ridosso del ponte Queen Elizabeth, a settentrione del comune di Dartford, nel Kent. Forme di creature, creature che si spostano continuamente, giocano tra loro rotolandosi nel fango, quindi sobbalzando con agilità invidiabile, si tuffano nelle marroni acque, scomparendo nuovamente alla vista. “Io ne ho contate… 27, con 5 cuccioli.” Fece quindi la responsabile del progetto, soltanto per alzar le sopracciglia alla risposta implicita del suo collega “24 e 6 cuccioli, mi spiace.” D’accordo, tempo di ricominciare, sospirò. Mentre la mente ritornava vuota da pensieri e imprecazioni, quindi, il suo sguardo prese a sollevarsi spontaneamente verso il cielo, in direzioni degli alti palazzi di Londra all’orizzonte. E fu allora che scorse, ancor prima di sentirlo, la forma di un piccolo aereo…
Tradizione rinomata e mantenuta in alta considerazione, come tante altre in Gran Bretagna, l’annuale sondaggio delle foche sul Tamigi era ormai diventato, fino all’anno scorso, alquanto prevedibile nei propri risultati. Una nutrita e fluida popolazione di appartenenti alla specie più comune della Phoca vitulina, con gruppi occasionali della Halichoerus grypus o foca grigia, più imponente e in certi casi, aggressiva, benché né l’una nell’altra specie, per motivi dettati dai loro istinti, sembrasse spesso intenzionata a riprodursi tra simili rumorose sponde. Un assunto messo in discussione, e finalmente superato, giusto lo scorso settembre 2018 al completamento e successiva pubblicazione soltanto quest’anno della reiterata iniziativa, grazie all’impiego di una risorsa tecnologica del tutto nuova: l’impiego di un aeroplano monomotore SOCATA Rallye, dall’abitacolo del quale contare i vari gruppi di animali non più direttamente, bensì tramite l’impiego del più risolutivo tra gli approcci immaginabili: la fotografia. Così che, finalmente, le foche non potessero più mescolarsi nel corso dell’annotazione, garantendo l’ottenimento di un conteggio privo d’esitazioni o difetti. Il che avrebbe permesso, a sua volta, di giungere alla conclusione lungamente sospettata: che non soltanto le due specie di foche inglesi avevano infatti fatto il proprio ritorno lungo una significativa sezione del grande fiume londinese, incluso il centro cittadino e fino al comune sito nell’entroterra di Richmond Lock, ma esse stavano visibilmente prosperando, con una popolazione di piccoli stimata essere attorno ai 3.500 esemplari e 138 cuccioli complessivi, ovvero essenzialmente la presa di coscienza di un vero e proprio Rinascimento di questi animali, drammaticamente accelerato nel corso degli ultimi anni. Niente male affatto, per un fiume che era stato dichiarato biologicamente morto soltanto una generazione e mezzo fa…

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