Nello scorrere le foto satellitari del Giappone, giunti al punto mediano del riconoscibile arco formato dalle tre isole principali di Kyushu, Honshu ed Hokkaido, l’osservatore tenderà a notare una corposa macchia di colore grigio, dove alberi o vegetazione paiono lasciare il campo all’impenetrabile barriera del cemento. Essa è, con tutti i suoi tentacoli caoticamente sovrapposti, la colossale hyper-city trantoriana di Tokyo. Con 37 milioni di persone inclini a condividere respiri, spazio vitale, sentimenti. E la costante necessità di crescere in molteplici direzioni allo stesso tempo. In effetti sarebbe sbagliato dire che se agli albori dell’epoca moderna, in molte nazioni è cominciato un rapido processo d’urbanizzazione, nel remoto arcipelago dell’Estremo Oriente una significativa percentuale di persone si è semplicemente trasferita lì, dove Tokugawa Ieyasu ebbe l’iniziativa di stabilire il proprio shogunato nel 1603. C’è dunque tanto da sorprendersi se l’edilizia civile ha visto dei legittimi profili d’espansione ovunque, inclusa l’acqua stessa dell’oceano antistante? Nella baia dove, assai famosamente, l’isola artificiale di Haneda ospita uno degli aeroporti più affollati al mondo. I cui visitatori all’orizzonte, in fase d’atterraggio, possono riuscire a scorgere un particolare edificio in mezzo ai flutti, formato da due oggetti triangolari simili per certi versi a delle vele gonfiate dal vento. Si tratta, per l’appunto, della Kaze no Tō (風の塔 – Torre del V.) neppure la parte maggiormente riconoscibile di quello che è stato il più lungo viale di collegamento marittimo in Asia e nel mondo fin dal remoto 1997, almeno fino all’inaugurazione del ponte-tunnel di Shenzhen–Zhongshan, presso l’affollata megalopoli alla foce del fiume delle Perle. Che da multipli punti di vista avrebbe ripreso lo schema progettuale e determinate soluzioni tecnologiche della qui presente Tokyo Aqua Line, ma probabilmente non l’aspetto distintivo d’integrare, in prossimità del punto mediano, quella che rimane ad oggi l’unica isola commerciale raggiungibile soltanto in automobile, dopo aver attraversato nel modo che si preferisce 4,4, oppure 9,6 Km di aperto mare. Quelli corrispondenti rispettivamente alla parte emersa di un viadotto a campata continua oppur la sua continuazione, in grado di assumere l’aspetto di un tunnel scavato con macchina trivellatrice alla profondità massima di 60 metri. Magari non la soluzione semplice, eppure l’unica possibile al fine di congiungere la zona industriale di Kawasaki con la penisola di Bōsō nella prefettura di Chiba, considerata l’alta quantità di grosse navi che attraversano continuamente questo tratto di mare, in aggiunta ai numerosi aerei di linea che ad ogni ora percorrono l’esatto punto dove avrebbero trovato posto i piloni di un ipotetico svettante ponte sospeso. Lasciando il posto a un’implementazione pratica degna di essere chiamata nell’ormai remoto margine del millennio, “Il progetto Apollo dell’ingegneria civile”, creando nel frattempo l’opportunità di edificare uno dei più bizzarri punti di riferimento cittadini…
megalopoli
L’ombra sopra Tokyo del palazzo in grado di raggiungere i confini della stratosfera
In base al testo di un vecchio proverbio, si è talvolta soliti affermare: “Le strade dell’Inferno sono lastricate di ottime intenzioni”. Lo stesso, d’altro canto, vale per il Paradiso. Strade o trombe verticali di ascensori a dire il vero, di un qualcosa che potremmo definire come l’ago di collegamento, il nesso imprescindibile tra sopra e sotto, presente e futuro, sopravvivenza e inevitabile auto-annientamento della collettività urbana. Fino alla creazione di 30 milioni di effettivi co-inquilini, intesi come gli abitanti di un singolo spazio architettonico, per quanto ciò possa sembrare improbabile, persino dal punto di vista di colui che giunse a dargli forma nella propria fervida immaginazione di scienziato urbano. Il soggetto dell’intero balzo quantico verso il possibile reame delle cose ha dunque il nome di Toshio Ojima, noto educatore, ricercatore, studioso ed ingegnere che insegnò all’università tokyoita di Waseda. Quella stessa città che avrebbe visto un giorno disgregarsi, scomparire al fine di creare un qualche cosa di assolutamente nuovo: la più impressionante, inimmaginabile realizzazione mai teorizzata del concetto di arcologia. Avete presente? Il tipo di costrutto abitativo sufficientemente grande da essere dotato di residenze, luoghi di lavoro, fattorie, fabbriche robotizzate, tanto popolare nella fantascienza letteraria ed altre opere d’ingegno di generi confinanti. Benché sia raro, addirittura in quel contesto, che un autore immagini qualcosa di costruito dalla mera umanità, che possa nel contempo superare l’altezza del monte Everest, considerato fin da tempo immemore il tetto del mondo. Troppo improbabile? Ma un’evoluzione che giammai nessuno avrebbe avuto modo, né ragione di allontanare. Per lo meno nell’idea creata in prima persona dal professore ed illustrata dal disegnatore di concept art Masaki Yabuno, che sarebbe stata oggetto di alcune ragionevoli disquisizioni durante l’evento storico del summit della Terra del 3-14 giugno 1992 a Rio de Janeiro. Il primo grande incontro di nazioni organizzato in merito al tema dell’ecologia e il momento esatto, nell’itera della progressione generazionale contemporanea, in cui sarebbe stato elaborato e promulgato il protocollo di Tokyo. Sebbene molti meno ricordino, o abbiano mai preso in seria considerazione, l’idea parimenti dedicata alla risoluzione dell’impronta carbonica della popolazione globale, il soggetto per riunire l’attuale popolazione di una megalopoli in uno spazio paesaggistico comparativamente insignificante. Ciò grazie all’edificazione della Tokyo Babel Tower (東京バベルタワー) iper-grattacielo dalla forma tondeggiante vagamente riconducibile a una lettera “A” , con riferimento alle soluzioni strutturali utilizzati dall’attuale Tokyo Tower e la sua dichiarata ispiratrice, la torre Eiffel di Parigi. Ma un’altezza superiore ai 10.000 metri e base di 110 chilometri quadrati, essenzialmente sufficiente a ricoprire del tutto i confini urbani all’interno dell’anello urbano della ferrovia di Yamanote. Poiché non sarebbe forse meglio riunire tutte le proprie uova all’interno dello stesso paniere, quando quest’ultimo può essere reso impervio a terremoti, inondazioni, persino l’impietoso passaggio dei secoli nell’inconoscibile avvenire?
Il ponte che ridisegna la megalopoli del meridione cinese
Megalopolis: da un punto di vista prettamente europeo, potremmo identificarle come una serie di banane transnazionali dai molteplici colori. La blu, che parte da Liverpool in Inghilterra, per proseguire verso Bruxelles, Amsterdam, Lussemburgo e, dopo aver attraversato Francia e Germania, trovare il suo punto più a sud nella nostra Italia, all’incirca nei dintorni di Torino. E quella dorata, che partendo da qui, si dirige piuttosto ad Occidente, coinvolgendo Lione, Manresa e Cartagena. Mentre la verde, che ha l’origine in Polonia, coinvolge l’Austria e la nostra città di Trieste. Nient’altro che un gioco, da un punto di vista prettamente grafico, per chi evidenzia contorni e profili degni di nota sulle cartine. Ma anche molto più di questo. Poiché c’è un limite o una distanza massima, oltre cui l’energia intrinseca di un centro abitato può fare il “salto” trovando riconferma ed accrescimento nel prodotto economico dei suoi vicini. Quanto possa estendersi tale spazio, a seconda di chi effettua l’analisi, può variare. Secondo gli studiosi della Commissione di Riforma e Sviluppo Nazionale di Hong Kong, molto evidentemente, si tratta di quello che può essere percorso da un’automobile media in un tempo che si trova, grossomodo, tra le quattro ore ed i trenta minuti. Uno spazio per colmare il quale (assieme ad oltre 50 km di mare) dopo oltre trent’anni di ipotesi ed esattamente 9 di lavori, sta per essere portato a termine il più lungo, e per certi versi significativo progetto relativo ad un ponte che transita sopra l’acqua. Obiettivo: balzare oltre il vasto delta del leggendario Fiume delle Perle, per unire l’ex-colonia inglese nota come Porto Fragrante (questo il significato cantonese del suo nome) al centro abitato antistante di Macao, e per suo tramite la città di Zhuhai. Per un totale di 7,3 + 0,6 + 1,5 milioni di abitanti, al fine di creare un singolo hub di 56 Km quadrati, formato da tre delle principali, e più popolose città dell’intera area cinese meridionale. Ma anche, in effetti, molto più di questo: poiché il semplice conteggio delle teste non può raccontare l’intera storia, quando stiamo parlando di aree portuali in grado di ricevere o spedire incalcolabili tonnellate di merci ogni giorno, senza neanche approcciarsi alla questione dell’aeroporto internazionale di Hong Kong. Per raggiungere il quale dall’altra parte del confine geografico fluviale, fino ad ora, è sempre stato inevitabile un ritardo di mezza giornata di lavoro. Mentre oggi, finalmente, il flusso della storia dei trasporti sta per cambiare.
Il culmine si è raggiunto, guarda caso, la notte stessa del capodanno solare, che qui è vista come una festa secondaria rispetto a quella del calendario cinese, che si celebra in base al novilunio tra gennaio e febbraio. Occasione in cui svariati milioni di cinesi si allontanano per un periodo di fino a quattro giorni dal lavoro, e percorrono miglia e miglia per raggiungere i propri parenti o destinazioni turistiche (o “banane”) di grido. Mentre la celebrazione nostrana, stavolta, ha avuto la fortuna di cadere in corrispondenza del momento in cui, grossomodo, andava accesa per la prima volta l’illuminazione elettrica del grande ponte di Hong Kong-Zhuhai-Macao. Un passaggio dal grande significato simbolico, tuttavia subordinato alla vera e propria inaugurazione, che dovrebbe giungere entro i primi mesi del 2018. Presente per l’occasione, assieme a diverse altre Tv nazionali, era il canale China Global Television Network (CGTN) uno dei pochi occhi scrutatori realmente aggiornati con il permesso di pubblicare online gli eventi relativi al Paese di Mezzo (中國 oppure 中国) del gran Dragone cinese. Per dare luogo all’intervista in lingua inglese di cui potete osservare un breve spezzone nel video di apertura, ma il cui svolgimento completo è stato caricato a questo indirizzo, nel corso della quale Yu Lie, vice-direttore del monumentale progetto ingegneristico, ha elencato e spiegato ampiamente le impressionanti cifre fin qui coinvolte. A partire da quelle relative al materiale principale, l’acciaio, di cui sono state impiegate 420.000 tonnellate, ovvero l’equivalente di 60 Torri Eiffel, per passare poi al cemento. 23 sezioni di 80 metri ciascuna, accuratamente depositate presso il fondale del Fiume delle Perle attraverso un periodo di circa 4 anni. Già, perché questa è forse la faccenda in ultima analisi più affascinante: trovandosi ad attraversare uno dei più importanti punti d’ingresso per le navi porta-container in Cina, se il ponte in questione avesse avuto una sezione sollevabile, si sarebbero formate letteralmente delle code come al casello dell’autostrada. Ragione per cui è stato scelto di perseguire una soluzione inimmaginabile fino ad un paio di generazioni a questa parte: far passare una parte del “ponte” sott’acqua, con un tunnel sotto la baia lungo 6,7 Km.