L’impiego migliore per 216 palline magnetiche al neodimio

Kaplamino

Prendi un componente, chiamalo giocattolo, soprattutto battezzalo con qualche nome accattivante: Neocube, Buckyball, Magnetix, Geomag. Qual’è lo scopo? Fare $oldi, so£di & sol₯i! Non è, del resto, che simili elementi sferoidali siano così straordinariamente utili all’industria. Stiamo parlando, per intenderci, di particolari cuscinetti a sfera costruiti in lega di neodimio, ferro e borro e per questo naturalmente in grado di aderire per l’elettromagnetismo a superfici di metallo. Ma il principio stesso di un sistema concepito per ridurre l’attrito grazie a una tale forza invisibile dell’Universo, è che ogni elemento mobile sviluppi un attrito prossimo allo zero. E dunque perché usare forme in qualsivoglia modo, rotolanti… Molto, molto meglio prendere le strane biglie, tutte quante in fila per formare un treno semi-rigido e piuttosto resistente, e cavalcarle fino alla stazione del divertimento! Oh, yeah! Un successo, oserei dire, quasi garantito. Chiedetelo ai numerosi produttori che hanno combattuto sul mercato di questi ultimi anni… E così deve averla pensata, come si desume dai suoi chiari gesti, anche il geniale Kaplamino, già l’autore internettiano d’innumerevoli marchingegni basati sul principio dell’effetto domino ingegnoso, o in altri termini, della più indiretta reazione a catena. Le nostre solite, memorabili Macchine di Rube Goldberg. Un termine mutuato dal nome del fumettista statunitense degli anni ’50 e ’60 che le aveva per primo disegnate, come ausilio alle avventure di un suo personaggio preferito, il Dr. Butts. Uno stravagante individuo che piuttosto che asciugarsi i baffi con un tovagliolo, preferiva mettere del mangime per uccelli su un cucchiaio, che liberato dal suo peso grazie a un merlo (oppure corvo?) si sollevava basculando, per tirare in basso un filo che azionava un accendino, finalizzato a far partire un fuoco d’artificio, che metteva in modo un pendolo, che faceva il gesto avanti e indietro, avanti e indietro! Con la salviettina già posizionata, senza fare la fatica di dover sollevare la proprio mano. Ma era proprio questo il bello: il concetto di fondo che doveva risultare divertente, in simili bizzarri meccanismi, era la fondamentale, apparente pigrizia degli utilizzatori, come se costoro non avessero dovuto precedentemente lavorare molte ore, per non dire giorni, a collegare ogni singolo anello della loro imprescindibile catena. Che poi tra l’altro, la stragrande maggioranza di simili “macchine” (se davvero tali possono essere chiamate) poteva essere impiegata solamente una singola volta, prima di essere sostanzialmente ricostruita partendo da zero.
Mentre pensa tu, i pallini usati per i cuscinetti a sfera. Piccoli pegni in grado di spostarsi nello spazio, nonché naturalmente propensi a farlo, purché siano stati attentamente predisposti su di un piano in qualche maniera inclinato. A circa 45° nello specifico, questo è il consenso collettivo, nel fantastico nuovo video del nostro eroe di oggi, molto appropriatamente intitolato Magnets and Marbles! che Kaplamino ha realizzato nel periodo di circa 3 mesi intercorso dall’ultima volta che aveva fatto sentire la propria voce sul web. La ragione di una tale attesa viene chiaramente offerta nella descrizione al video: “Sono allo stesso tempo pigro e perfezionista” dichiara l’autore: “Una combinazione che complica notevolmente molti dei miei progetti.” Così diventa facile, immaginarselo un pomeriggio dopo l’altro, concentrato sul suo semplice quanto efficace materiale, mentre sposta prima un pezzo, quindi l’altro, poi decide che non basta e ricomincia tutto da capo. In particolare, una scoperta da lui fatta in corso d’opera è stata l’importanza di impiegare per le riprese del marchingegno unicamente la luce naturale, donandogli un chiarore che altrimenti sarebbe stato irraggiungibile all’interno di un appartamento. E costui giunge addirittura, incredibile ma vero, a scusarsi per il passaggio di una nube a un certo punto della scena, che avrebbe compromesso l’ideale perfezione dello show. E a chi si prenderà la briga di notare un simile insignificante, irrisorio difetto, consiglierei di mettersi anche lui a produrre qualche cosa di paragonabile a una tale meraviglia. Dal confronto diretto con l’opera del maestro, crescerà il fecondo tubero dell’umiltà.

Leggi tutto

La casa che non scende a compromessi se si tratta di trenini

Lego Train Set

Un viaggio fantastico in prima persona, narrato dalla telecamera sulla locomotiva: a partire dalla grande e silenziosa stazione, ricoperta dall’apposita struttura gigantesca, con quattro zampe che sostengono una rete protettiva. Sopra cui, racconta la leggenda, dormirebbe la figura del gigante. Colui che avrebbe costruito, si racconta, tutto questo mondo favoloso delle ferrovie. Dedicando i suoi spazi, ed il suo tempo libero, alla realizzazione di quel che può essere soltanto definito un grande sogno di bambino, finalmente realizzato grazie alle risorse degli adulti. Ma che ne sappiamo, noi…. Che del resto, in questi fatidici 3 minuti di video veniamo chiamati a trasformarci in letterali pupazzetti della Lego, magicamente trasportati nell’abitacolo della singola più bella, e preziosa, motrice dell’intera collezione. Per un giro esplorativo dell’intero, incredibile sistema. Si parte dal capolinea CDL (Camera Da Letto) il cui suolo con moquette è ormai un variegato deposito di ruspe, macchinine del pronto intervento, autoambulanze, camion dei pompieri. Pronti ad ogni possibile emergenza! Di questi tempi nel rurale Queensland, persino in questa vasta proprietà privata, non si può mai essere sicuri a sufficienza. E tra gatti giganti, piogge improvvise, vegetazione rigogliosa e batraci sonnolenti, il rischio del deragliamento è sempre in agguato. Proprio per questo, l’arrivo della ferrovia fu bene accolto dai nostri padri pellegrini, che raggiunta la frontiera con i loro carri trainati da bovi, vi si erano stabiliti per non partire mai più. Mentre guardateci…Adesso! Cittadini dell’antico regno in scala 1:48. Persino il giardino, luogo di pericoli spropositati, è ormai raggiungibile in pochi minuti di viaggio. Benché gli orari non siano mai stati chiari. E ciascun giro possa concludersi, a seconda delle situazioni, per un improvvisa interruzione di corrente.
Lasciata quindi la prima stanza, si prosegue nella regione del Soggiorno, in cui grandi sculture simili a mobilia (non che ce ne siano molte) sovrastano un paesaggio di complessi svincoli e scambi, da cui il conduttore, volta per volta, può decidere verso che direzione far proseguire il viaggio. Certo, questo può sembrare un piccolo problema: avete mai sentito di una linea ferroviaria che tiene i suoi passeggeri all’oscuro della loro ultima destinazione? Ma noi altri della Casa, ecco, facciamo tutto in modo differente. Incolpate, se ne avete voglia, l’aria umida di questi luoghi, oppure il fatto che le nostre stesse infrastrutture siano state costruite in circostanze ormai dimenticate, da una figura torreggiante quanto totalmente misteriosa. Fatto sta che il nostro orgoglio, questi circa 50 metri di strada al tempo stesso bitorzoluta e ferrata, potrebbero facilmente essere definiti come l’ottava meraviglia dei giocattoli di costruzione. Per lo meno, se ce ne fossero altre 7, per così dire, ufficiali…Bando alle elucubrazioni, dunque. Il nostro treno è già passato oltre l’ingresso, dove sonnecchiava il gatto colossale che talvolta visita l’insediamento, per giungere gloriosamente sotto la luce dell’ardente Sole. È una visione semplicemente gloriosa! Le regioni periferiche, fatte d’erba, asfalto, e titanici edifici distanti. I nostri fisici teorici, ricercatori all’istituto in mattoncini, hanno elaborato una teoria secondo cui ciascun simile elemento del paesaggio, in realtà, altro non sarebbe altro che un’intera abitazione, come questa, come il nostro intero mondo conosciuto. Dimostrare una simile ipotesi, tuttavia, richiederebbe una risorsa che noi ancora non abbiamo. Il volo?! Aerodroni aerodinamici, chissà…Il futuro è ricco di scoperte tecnologiche potenziale.

Leggi tutto

Azienda dimostra il potere della tecnologia sui tubi

Rotenberger

Si guarda intorno, quindi spalanca le sue braccia e declama, con voce stentorea: “Nulla di tutto questo, sopra il primo piano, sarebbe potuto esistere senza la scienza del trasferimento dei fluidi, condotta fino ai nostri giorni fin dall’epoca delle piramidi e dei faraoni”. La tuta color jeans, la maglietta rigorosamente rossa, come vermiglio è anche il caschetto protettivo. Che sarebbe poi l’equivalenza, più pratica e sicura, di un antico tricorno o la corona. Non ha un mantello, certo. Sulla sommità scoperchiata del quarantaquattresimo grattacielo costruito sulla sponda di ponente, le perturbazioni dovute alla variazione della pressione atmosferica l’avrebbero ben presto trasformato in una vela. Dopo tutto l’eroismo, ai nostri tempi rapidi e sfuggenti, non ha più bisogno di particolari simboli di riconoscimento. Laddove un tempo il termine di paragone supremo era un’esistenza post-umana devota al bene collettivo, di fantastiche persone in grado di volare, leggere la mente, far tremare le montagne con un pugno all’indirizzo dei crudeli malfattori, oggi la lotta contro il crimine è passata in secondo piano. E la gioventù in cerca d’occupazione, sommersa di lauree e riconoscimenti d’Alta Accademia (il cui costo ed il valore differiscono quanto i due poli di una calamita) guarda al mondo dei lavori manuali con invidia e desiderio. Lassù, dove campeggia l’allegorica figura di colui che può risolvere i problemi, veri e/o quotidiani, in cambio di un compenso lauto, quanto meritato. L’idraulico, metafora vivente. Come l’elettricista o il muratore. Figure che sempre più spesso vengono “da fuori” perché il cosiddetto primo Mondo, tutto ha voglia di produrre, tranne ciò che è straordinariamente necessario. Eppure ce ne vuole, a dire che si tratti di un mestiere poco interessante!
Guardate, a supporto di una simile disquisizione, il video che l’utente Dave Dangerous ha saputo creare, partendo dal nutrito catalogo di una grande multinazionale tedesca che opera nella produzione di attrezzi specializzati, la Rothenberger di Kelkheim, circa 10 Km a nord di Francoforte. Perché ogni azienda sceglie i propri metodi di comunicazione ritenuti più efficaci: sponsorizzazioni sportive, infotainment, la pubblicazione di una rivista a cadenza mensile o bimestrale… Ma per chi produce in campo tecnico, generalmente, c’è un solo metodo davvero efficace: mostrare al mondo quello che si fa, come funziona, e creare il desiderio sulla base dell’imitazione. E in questo, il dipartimento marketing dell’azienda in questione si è sicuramente dimostrato maestro, con un canale di YouTube, intitolato giustappunto RotenbergerTv, dotato di centinaia di video e con oltre 250.000 visualizzazioni. Principalmente impiegato per dare visibilità agli ultimi prodotti dell’azienda, ma anche con la funzione di una sorta di ufficio stampa, che ha la finalità di far sentire agli clienti, siano questi dei privati o aziende del B2B, la voce stessa di chi ha rifornito i loro furgoni e cassette portatili del pronto intervento. Comparabilmente, il vero e proprio sito ufficiale appare relativamente povero di contenuti, con l’unica risorsa utile dell’impressionante catalogo aziendale da 376 pagine, tuttavia fornito unicamente in PDF e non cliccabile secondo i crismi contemporanei dell’ipertesto. Il che tutto sommato stupisce, trovandoci di fronte ad un’azienda da 1.600 dipendenti e 60 sedi distribuite in quattro continenti (manca come al solito l’Australia) che in fondo dovrà anche una parte del suo fatturato agli acquisti per corrispondenza fatti su portali come Amazon e similari.
Considerazioni che svaniscono, al giro dei secondi, con l’osservazione di quanto siamo qui chiamati ad apprezzare. Mentre l’uomo tecnico avvicina la sua pinza ROMAX 300 al recalcitrante tubo in rame, preme lievemente sull’impugnatura e attende, 1, 2, 3 secondi. Al termine dei quali, l’oggetto è diventato tutt’uno con il gomito di raccordo. Ciò che l’uomo ha unito, la natura non divida. Fin da qui all’eternità…

Leggi tutto

I vantaggi tecnologici del molo galleggiante

Surin Jetty

Ho profondamente chiaro nella mia analisi geometrica di quanto ci circonda, che la sfera sia una forma veramente poco empatica e gentile. Perché se la lasci sola per un paio di minuti, quella tende normalmente a rotolare, scappando per i ripidi pendii, eternamente persa al suo benefattore. Una sfera non può essere impilata, con altre sfere, a meno che quest’ultime non siano chiuse da un recinto, o letteralmente cementate al suolo sottostante. E per di più il risultante cumulo, se pure dovesse riuscirvi con qualche metodo complesso di farlo stare assieme, avrà una resistenza strutturale meno che perfetta, e sarà inoltre inadatto al calpestìo, nonché pieno di vuoti in cui far scomparire oggetti utili, come le chiavi di casa, il cellulare, il portafoglio… Della sfera…Non ti puoi fidare. Tutt’altra storia, a conti fatti, rispetto ai sei volti sorridenti dell’amico Cubo. Un’entità capace di costituire il modulo più piccolo di praticamente ogni forma,  guadagnandosi un posto d’onore in qualsivoglia impresa che possa dirsi, senza esitazione, come rientrante nel metodo ingegneristico dei prefabbricati. Nulla si combina meglio con se stesso, in effetti, che un oggetto che ha la stessa altezza, larghezza e profondità, sia pure generalizzando, visto come determinate soluzioni aderenti a un tale stile di pensiero, molto spesso, si affidino a dei parallelepipedi di variabilissima entità. Ma tutti sempre conformi, non difformi, i loro spigoli perfettamente opposti e non proposti, le linee rette e perpendicolari. Datemi una fila di cubi abbastanza lunga, e vi solleverò il mondo – Cit.
Così avvenne all’uomo con la telecamera, il cui nome chiaramente scritto in fondo al video è Adam Hobbs, di trovarsi un giorno in un soggiorno vacanziero presso la costa ovest dell’isola di Phuket, in quella località dall’alto tasso turistico che ha il nome di spiaggia di Surin, qualche chilometro a nord della città di Patong. Per osservare con un vago senso di stupore, sull’immediato e catartico momento, l’esistenza di una strana propaggine mirante al mare aperto, costituita in materiale plastico di due colori, azzurro e celestino chiaro. Un molo? Una piattaforma? Una via marittima per biciclette? Tutte queste cose, e molte altre. O per usare un solo termine, il tipico esempio autoconcludente del sistema brevettato Candock, la più diffusa soluzione per la costruzione di ponti o pontili galleggianti, che dal fresco Canada è giunto a diffondersi, negli ultimi anni, presso i centri abitati e le proprietà private di una buona metà del mondo. Non che sia l’unico approccio conforme a tale descrizione, sia chiaro. Abbondano, anzi, le imitazioni, con diversi gradi di miglioramento del progetto originale. Eppure c’è qualcosa di chiaro e lampante, semplicemente funzionale, nel concetto di una moltitudine di cubi in PVC, collegati tra di loro grazie ad asole e grosse viti da inserirvi, anch’esse realizzate nello stesso materiale. Che risulta solido, abbastanza da camminarci o legarci le barche, ma al tempo stesso straordinariamente flessibile, come stava per scoprire il viaggiatore in quel frangente certamente degno di registrazione.
Se attendi l’arrivo dell’onda grande su di un molo convenzionale, tutto quello che potrai aspettarti è qualche schizzo, magari una pozzanghera tra i piedi, che presto si dissolve come neve al sole. Ma se ti trovi su di un simile apparato, potrai sperimentare l’esperienza di essere letteralmente sollevato, assieme al pavimento, di anche parecchi centimetri, tornando quindi presto al punto di partenza. Una sorta di naturale montagna russa, o l’approssimazione ragionevole di quello che potrebbe essere camminare sull’acqua, ma in un luogo in cui quest’ultima è mobile e irrequieta. Pur costituendo uno strumento architettonico vero e funzionale, è quindi chiaro che il molo galleggiante si presti in modo particolare ad assumere una dimensione affine a quella del divertimento…

Leggi tutto